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Primo, secondo e terzo condono: una sanatoria non vale l'altra

Ogni procedimento di condono non può che valutarsi rispetto alla disciplina cui afferisce la domanda, senza che sia evocabile alcuna automatica estensione, non prevista, di altre distinte e diverse successive discipline, ancorché riferibili in astratto al medesimo istituto del condono. Ogni sanatoria straordinaria, infatti, è autonoma rispetto alle altre.

Un condono edilizio non vale l'altro, perché non siamo in presenza di una norma 'standard', come è quella della sanatoria ordinaria, sia classica (art.36 dpr 380/2001), che semplificata (art.36-bis, introdotto dal Decreto Salva Casa), ma di una sanatoria straordinaria, con precise regole e soprattutto 'forchette' temporali predefinite, che sono il riferimento per ogni singola richiesta di regolarizzazione dell'abuso edilizio.

Ogni richiesta di sanatoria si deve quindi riferire a un condono preciso (primo, secondo o terzo, datati rispettivamente 1985, 1994 e 2003), non potendo presumere che automaticamente la richiesta venga estesa ad un condono successivo.

 

La richiesta di condono per la villa abusiva

Questa è una delle importanti indicazioni fornite dal Tar Lombardia nella sentenza 1326/2025 dello scorso 14 aprile, che si riferisce alla richiesta di condono, ai sensi della legge 47/1985 (quindi primo condono), per un abuso consistente nella costruzione di una villa indipendente, avente sagoma e distribuzione dei vani diversa da quella assentita dal Comune con concessione edilizia del febbraio 1983.

 

Le prove per dimostrare l'anteriorità delle opere ad una determinata data sono a carico del richiedente

La ricorrente, in primis, assume l'impossibilità di dimostrare l'anteriorità della realizzazione delle opere da condonare rispetto alla data del 1° ottobre 1983 (limite di ultimazione delle opere per 'accedere' al primo condono ex legge 47/1985), non essendo essa autrice dell'abuso, ma soltanto un'avente causa indiretta dell'originaria proprietaria.

In ogni caso, da un complessivo e obiettivo esame degli atti del procedimento - sempre secondo la ricorrente - si possono comunque ricavare importanti indicazioni che smentirebbero le conclusioni cui è giunta l’Amministrazione, ossia che l'intervento sarebbe stato realizzato in un periodo successivo al mese di settembre del 1984, anche avuto riguardo alla circostanza che l'autore dell'abuso era un'impresa di costruzioni, ovvero un soggetto professionale, certamente attento a procedere secondo logica e coerenza nello svolgimento delle proprie attività.

Ma, come evidenzia il TAR:

  • grava sul richiedente l’onere di provare l’esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria, tra cui, in primis, la data dell’abuso. Solo il privato può, infatti, fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso, mentre l’amministrazione non può materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio";
  • ciò vale anche con riguardo alla materia del condono edilizio, rispetto alla quale “l’onere di provare l’ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all’interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca l’assistenza del presupposto temporale per usufruirne. Al riguardo, non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti".

 

Se non si rispetta la data limite per l'ultimazione dell'opera da sanare, niente condono

In questo caso, la parte ricorrente non ha fornito alcun elemento di carattere oggettivo e documentale in grado di dimostrare che il manufatto da condonare sia stato realizzato in data anteriore al 1° ottobre 1983, piuttosto emergendo la prova contraria, ovvero che l'intervento è stato effettuato successivamente al mese di settembre 1984, come comprovato dalla documentazione richiamata dall'Amministrazione comunale e posta a fondamento del provvedimento di diniego impugnato.

Gli Uffici comunali hanno evidenziato come la parte istante non abbia tempestivamente prodotto la documentazione comprovante in modo certo e univoco l'ultimazione al 1° ottobre 1983 delle opere oggetto dell'istanza di condono, in particolare non descrivendo gli abusi e non depositando, se non molti anni dopo, le pertinenti planimetrie e la documentazione fotografica, espressamente richieste dall’art. 35, comma 3, lett. a e b, della legge n. 47 del 1985.

In definitiva, la ricorrente non soltanto non ha fornito alcuna prova della preesistenza dell'immobile da condonare alla data del 1° ottobre 1983, ma dagli atti reperiti dagli Uffici comunali risulta dimostrato che la realizzazione dell'immobile risale a un periodo ricompreso tra la fine dell’anno 1984 e l'inizio del 1985.

In definitiva, emerge la mancata prova della condonabilità dell'immobile di proprietà della società ricorrente, conseguendone la legittimità del diniego comunale impugnato.

 

Primo, secondo e terzo condono: non esistono estensioni automatiche

Ma la parte più interessante di questa pronuncia arriva dopo, allorché il TAR deve raffrontarsi con l'affermazione della ricorrente secondo cui illegittimamente il Comune avrebbe omesso di applicare d’ufficio all’istanza di condono presentata dalla dante causa della ricorrente le successive disposizioni contenute nelle leggi n. 724 del 1994 (cd. secondo condono) e n. 326 del 2003 (cd. terzo condono).

In pratica: se il primo condono non è andato a buon fine, si puà automaticamente valutare l'opera da sanare con riferimento agli altri condoni (che, evidentemente, hanno date di ultimazione delle opere successive)?

Il TAR respinge la censura osservando, in primis, che a prescindere dalla oggettiva impossibilità di condonare l'opera realizzata dalla dante causa della ricorrente applicando le norme contenute nelle leggi 724/1994 (secondo condono) e 326/2003 (terzo condono) e nella legge regionale attuativa di quest’ultima (legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004), non sussistendone i relativi presupposti, ogni procedimento di condono non può che valutarsi rispetto alla disciplina cui afferisce la domanda, senza che sia evocabile alcuna automatica estensione, non prevista, di altre distinte e diverse successive discipline, ancorché riferibili in astratto al medesimo istituto del condono, anche in applicazione del principio di tipicità degli atti e dei procedimenti amministrativi, che impone la correlazione tra domanda, relativa disciplina e decisione finale (cfr., in generale, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 24 febbraio 2025, n. 621).

 

Il condono è straordinario: a ogni richiesta la sua sanatoria

Peraltro, chiude il TAR, sia l’art. 35 della legge 47/1985 che l’art. 39 della legge 724/1994 e l’art. 32 del DL 269/2003 (convertito con modificazioni nella legge 326/2003) hanno stabilito peculiari requisiti per accedere al procedimento di sanatoria e hanno individuando altresì il lasso temporale entro il quale presentare la domanda, sancendo chiaramente l'autonomia delle discipline riguardanti i vari condoni.

Le differenze di carattere strutturale delle citate (diverse) discipline di condono, quanto ai requisiti richiesti, ne impediscono l'indifferente applicazione a domande presentate sotto il vigore di una specifica normativa, a prescindere dal citato vincolo di carattere temporale.

A conferma di tale conclusione, ovvero della non estendibilità della disciplina riferita a uno specifico condono a ipotesi governate da altra disciplina, può essere richiamata anche la costante giurisprudenza costituzionale che, in molteplici occasioni, ha ribadito che «l’insistente ricorso ad aggettivi come “eccezionale”, “straordinario”, “temporaneo” e “contingente”, utilizzati per descrivere la normativa sui condoni edilizi, esprime la peculiare ratio di queste misure, da considerare come assolutamente extra ordinem e destinate a operare una tantum in vista di un definitivo superamento di situazioni di abuso».


LA SENTENZA E' SCARICABILE IN ALLEGATO

Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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