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Pulitura dei Beni Architettonici: inquadramento sulla normativa di riferimento

In questo breve scritto viene introdotto e discusso l’apparato normativo esistente in campo nazionale ed europeo, riguardante la pulitura delle superfici dei Beni Architettonici costituenti il Patrimonio Culturale. Si tratta di 4 norme che hanno come argomento un inquadramento generale dei metodi di pulitura, la strumentazione laser, i metodi di desalinizzazione e i protocolli di valutazione di efficacia e potenziale danno.

Cosa significa pulire un monumento

La Costituzione recita all’Art. 9. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

La tutela consiste in ogni attività diretta a riconoscere, proteggere e conservare i beni che costituiscono il nostro patrimonio culturale, con il fine di poter essere fruito pubblicamente dalla collettività.

Il processo di Conservazione comporta una serie di operazioni, alcune delle quali si svolgono sulla superficie del bene stesso, che hanno finalità diverse. Una sequenza tipo di queste operazioni consiste di:

  1. Pulitura. Operazione indirizzata a rimuovere il materiale indesiderato dalla superficie;
  2. Consolidamento superficiale. Operazione finalizzata a restituire la coesione perduta in seguito al degrado;
  3. Integrazione. Serie di operazioni che si effettuano se è necessario ristabilire una continuità interrotta dal degrado stesso;
  4. Protezione superficiale. Applicazione di prodotti che inducano la superficie idrofila a divenire idrorepellente, al fine di tenere lontana l’acqua individuata come co-fattore di molti meccanismi di degrado.

Una trattazione sistematica dell’insieme di operazioni che compongono un processo di conservazione, esula dagli scopi di questo articolo, ma si può trovare in numerosi manuali che trattano estensivamente l’argomento (Lazzarini & Tabasso, 1976; Winkler, 1997; Siegesmund & Snethlage, 2011; Fassina, 2023).

Questo articolo vuole presentare l’attuale quadro normativo che riguarda la prima delle citate operazioni e cioè la pulitura. La pulitura è un processo che parte dalla individuazione e dalla localizzazione di una serie di materiali indesiderati presenti sulla superficie di un bene culturale.

Il loro “status” di materiali che inficiano la corretta conservazione del bene stesso, in quanto in grado di innescare ulteriori fenomeni di degrado, oppure di limitare una corretta leggibilità dei valori artistici e culturali che una superficie possiede, rendono auspicabile la loro rimozione.

L’operazione di pulitura deve quindi essere efficace nell’obiettivo che si prefigge, ma nel contempo deve essere rispettosa del substrato sul quale agisce. È infatti molto diverso applicare il concetto ad una superficie industriale, per fare un esempio, in cui l’operatore vuole ottenere un livello soddisfacente in prima istanza, dal caso in cui chi opera è un restauratore, che si prefigge soprattutto la salvaguardia del bene.

Ecco che quindi i requisiti di efficacia e di sicurezza devono trovare una loro ottimizzazione ed equilibrio, ben diversi se l’oggetto della pulitura (così chiamata perché comporta un processo che comprende una serie di conoscenze) è un bene culturale, oppure una operazione di semplice pulizia che privilegia il risultato in termini di efficacia (Torsello, 1995).

Da qui conseguono una serie di requisiti che la progettazione di una operazione di pulitura deve perseguire, tenuto conto che si tratta di una operazione irreversibile, e cioè la selettività, la graduabilità e la controllabilità, definite come segue:

  • selettività: in una superficie multistrato capacità del metodo di pulitura nel selezionare i materiali da rimuovere da quelli che devono essere lasciati intatti;
  • graduabilità; capacità da parte del metodo di pulitura di procedere micrometricamente nella rimozione che si è prefissa;
  • controllabilità; possibilità insita in un metodo di pulitura di procedere in modo che il risultato ottenuto sia evidente momento per momento.

Nei paragrafi che seguono si fornisce al lettore, il quadro che la Normativa di riferimento propone al momento attuale al fine di indirizzare, la scelta, la progettazione e la valutazione di un metodo di pulitura per un Bene Architettonico.

 

I Metodi di pulitura a disposizione delle imprese di restauro

Norma UNI EN 17138: 2019. Conservazione del Patrimonio Culturale - Metodi e materiali per la pulitura di materiali inorganici porosi.

La norma intende fornire un insieme di riferimento e un indirizzo operativo a chi si occupa, a vario titolo, degli interventi di conservazione dei manufatti architettonici, partendo dagli uffici territoriali del Ministero della Cultura, agli architetti conservatori, ai restauratori nonché ai conservation scientist e ai curatori museali.

Come specificato in precedenza gli effetti prodotti dalla pulitura sono irreversibili. Per questo motivo essa va effettuata con cautela e controllo in modo da non superare il grado di pulitura che il progetto di conservazione ha individuato.

È quindi necessario tenere in considerazione che ogni materiale rimosso oltre la soglia individuata, costituisce un danno, tanto più che spesso i valori culturali dell’oggetto sottoposto a pulitura sono spesso concentrati sulla superficie.

Nel documento normativo è presentato l’insieme dei requisiti che l’operazione di pulitura deve avere nel suo complesso, oltre ad una lista dei metodi con i loro dettagli operativi. Vengono specificati e discussi vantaggi e svantaggi che ogni metodo offre e vengono indicati quei materiali appartenenti alle architetture storiche che non e possibile assoggettare ai metodi specifici come ad esempio quei materiali che, essendo sensibili all’acqua, non possono essere puliti con sistemi a base acquosa.

I requisiti generali di selettività, controllabilità e graduabilità vengono considerati nello specchio più ampio della efficacia e della potenziale invasività, declinando ogni sistema di pulitura sui differenti materiali.

L’apparato normativo sottolinea l’importanza della fase diagnostica preliminare e, in particolare, la conoscenza, la più precisa possibile, del materiale da rimuovere, sia nel suo dato compositivo, sia nella sua localizzazione (distribuzione in superficie e/o in profondità).

Si accenna alla necessità di progettare aree pilota da studiare prima e dopo le operazioni per comprendere gli effetti che le stesse hanno indotto sul manufatto; il dettaglio è presentato nella Norma UNI EN 17138: 2019 (Conservazione del Patrimonio Culturale – Metodi e materiali per la pulitura di materiali inorganici porosi).

Il cuore del documento normativo è costituito dall’elenco dei sistemi descritti in base ai parametri che li definiscono.

I sistemi di pulitura sono classificati come sistemi meccanici, che lavorano essenzialmente per abrasione, i sistemi chimici e i sistemi fisici rappresentati dalla pulitura laser (Figura 1).

 

Pulitura superfici storiche: Dettaglio di una bugna in cui si osserva chiaramente la zona sottoposta ad un tassello di pulitura, durante uno studio preliminare.
Figura 1 - Dettaglio di una bugna in cui si osserva chiaramente la zona sottoposta ad un tassello di pulitura, durante uno studio preliminare. (Antonio Sansonetti)

 

Uso dell'acqua per la pulitura delle superfici storiche

I sistemi descritti come sistemi ad acqua sono essenzialmente dei lavaggi dove l’acqua è veicolata come acqua “libera” (lavaggi, spray d’acqua e acqua nebulizzata, vapore) oppure acqua “immobilizzata”; con questo termine si intende un sistema che ha l’obiettivo di applicare l’acqua in una certa specifica superficie (impacchi), oppure prevedono l’uso di acqua gelificata e quindi resa poco disponibile a subire fenomeni di trasporto al di sotto della superficie stessa. Questo fenomeno interviene, ad esempio, nei gel a base polisaccaridica come l’agar, poiché il polimero naturale trattiene una parte dell’acqua, rendendola meno mobile (Figura 2).

 

Pulitura superfici storiche con gel specifici.
Figura 2 - Rilievo pulito con un gel durante la sua rimozione. Si osservano gli effetti della pulitura. Foto courtesy ACONERRE Milano. (ACONERRE Milano)

 

Questa modalità risulta utile qualora si voglia limitare l’apporto di acqua su sistemi “water sensitive” come gli stucchi, soprattutto quando sono composti da gesso. Il sistema di nebulizzazione consente di minimizzare il quantitativo di acqua utilizzato, massimizzando al contempo le proprietà solventi dell’acqua stessa mediante l’uso di minutissime goccioline che incrementano la superficie specifica, parametro attraverso il quale l’acqua esercita il suo potere pulente. In questo modo, inoltre, viene minimizzato l’impatto meccanico che le minute goccioline possono esercitare; al contrario se venissero veicolate diversamente esse potrebbero innalzare gli effetti meccanici. Non è da dimenticare che le operazioni di pulitura si esercitano a volte su superfici molto degradate che non sopportano nemmeno i minimi effetti di invasività.

Nell’uso di sistemi ad acqua, dove il liquido viene applicato per mezzo di supportanti (argille speciali, polpa di carta o di legno, eccetera) ha importanza anche la microstruttura del sistema supportante, capace di indurre un effetto di assorbimento delle soluzioni che si formano nella zona sotto-superficiale e di ottenere ad esempio l’estrazione di materiali salini solubili che devono essere estratti per la buona conservazione del bene (vedi paragrafi successivi). Tutti i sistemi ad acqua vedono un possibile pericolo nell’uso su materiali molto porosi, in speciale modo nei mesi invernali dove la penetrazione di acqua nella porosità potrebbe indurre i fattori di degrado legati ai cicli di gelo-disgelo (Fassina 2023).

 

Pulitura chimica delle superfici storiche

Le possibilità offerte dalle puliture chimiche sono in grado di proporre numerose opzioni che spaziano dall’uso di solventi organici a polarità crescente (ad esempio etanolo, acetone, alcol benzilico, etere di petrolio, esano, etc.), di norma applicati mediante l’uso di tamponi di cellulosa, o di soluzioni a pH vicino alla neutralità.

Naturalmente le puliture chimiche vanno sempre progettate in funzione del substrato da pulire, che deve essere salvaguardato. Ad esempio, nel caso di puliture operate su pitture murali, risulta essenziale tenere conto della sensibilità di alcuni pigmenti, come ad esempio i pigmenti a base di rame - come malachite ed azzurrite - che possono risultare sensibili agli agenti chimici presenti nel formulato.

Una parte degna di nota della ricerca attualmente in essere presso importanti centri di ricerca, riguarda l’uso di gel additivati con solventi, con chelanti, oppure con formulati enzimatici. Tra i più recenti risultati si possono annoverare la scoperta delle proprietà chelanti di componenti naturali dei gel di agar, e la ripartizione di acqua tra fase libera e fase legata, sempre nei gel di agar, tramite tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) (Sansonetti et al., 2020).

 

Sistemi di pulitura di tipo meccanico

I sistemi meccanici si fondano essenzialmente sull’uso di una serie di strumenti abrasivi quali bisturi, spazzolini, pennelli e risultano quindi strettamente connessi alle abilità manuali del restauratore. Essi sono quindi difficilmente parametrizzabili, cioè il risultato che si ottiene non può essere messo facilmente in relazione con una grandezza misurabile, come il tempo di esecuzione o la forza impressa agli utensili.

Il documento normativo non si sofferma quindi su questi metodi. Diversa è invece la situazione per la cosiddetta micro-sabbiatrice di precisione. Questo sistema spara una polvere abrasiva a pressione controllata sulle superfici, dove viene quindi esercitata una abrasione sul materiale da rimuovere. Questo è quindi l’unico sistema meccanico i cui effetti vengono facilmente connessi ad una serie di misure, quali la pressione di esercizio, la distanza di lavoro, la durezza secondo la scala di Mohs dell’abrasivo utilizzato, le modalità con le quali la superficie viene scansionata con il flusso di polvere abrasiva. Si controlla inoltre la morfologia delle particelle (a spigolo vivo piuttosto che arrotondate, cui corrisponde una pulitura più dolce) e la traiettoria con la quale la polvere di abrasivo raggiunge la superficie, che può essere perpendicolare oppure tangenziale rispetto alla superficie stessa.
Questi sistemi oggigiorno tendono ad essere meno presenti nella pratica di cantiere, dal momento che risultano poco selettivi.

 

Innovazione e ricerca nei sistemi di pulitura

Un ulteriore orizzonte della ricerca esplora le possibilità offerte dall’uso di microrganismi che utilizzano metaboliti al fine di rimuovere in maniera ultra selettiva determinate sostanze. Queste possibilità sono state recentemente utilizzate per affrontare i complicatissimi problemi di conservazione delle pitture murali strappate del Camposanto Monumentale della città di Pisa (Ranalli & Zanardini, 2021).

 

Un metodo particolare: la pulitura laser

Norma UNI EN 16782: 2017 Conservazione dei beni culturali - Pulitura di materiali inorganici porosi - Tecniche di pulitura laser per i beni culturali.

A partire dalla metà degli anni Novanta circa si è affacciata al mondo del restauro una nuova tecnologia che utilizza strumentazione laser, grazie a diversi progetti finanziati dall’Unione Europea.

Un dispositivo laser (acronimo di light amplification by stimulated emission of radiation) è in grado di produrre una radiazione caratterizzata dall’essere monocromatica, coerente e a fascio parallelo, cioè priva di divergenza. In questo modo il dispositivo laser è in grado di depositare un grande quantitativo di energia in una piccola macchia focale denominata spot.

L’energia inviata sulla superficie viene utilizzata in un processo definito di foto ablazione che funziona al suo meglio nei casi in cui si riscontra una notevole differenza tra i coefficienti di assorbimento di ciò che si vuole rimuovere ed il substrato che si desidera salvaguardare.

Il sistema così concepito ha avuto un notevole successo soprattutto in Gran Bretagna, Spagna ed inizialmente anche in Francia, dove poi alcuni risultati controversi hanno rallentato la corsa degli strumenti laser e consigliato ulteriori approfondimenti. Nel nostro paese, dopo un primo tempo di grande cautela, i sistemi laser hanno avuto un grande successo e attualmente una azienda italiana è leader mondiale nella produzione di dispositivi laser mirati alla pulitura di beni culturali.

Inizialmente si usava in maniera pressoché esclusiva una sorgente denominata Nd:YAG con emissione a lunghezza d’onda di 1064 cm-1, mentre ora si sono affiancate anche altre lunghezze d’onda ed altre sorgenti come quella ad Er:YAG che sembra molto promettente, soprattutto su policromie (Figura 3).

 

Pulitura laser superfici storiche.
Figura 3 - Tasselli di pulitura laser su di un pilastrino di marmo bianco rosato interessato da importanti croste nere. Si osserva lo spot laser bianco grigio. (Antonio Sansonetti)

 

La pulitura si caratterizza quindi in base ai parametri di emissione; la norma UNI EN 16782: 2017 (Pulitura dei materiali inorganici porosi. Tecniche di Pulitura Laser per il Patrimonio Culturale), elenca quindi i parametri che è necessario conoscere quando si affronta un tale tipo di pulitura e fornisce le indicazioni su come misurarli correttamente. Tra i parametri che risultano cruciali sono la fluenza o densità di energia, la frequenza di ripetizione (numero di impulsi per secondo), dati per noti la lunghezza d’onda della radiazione emessa ed il cosiddetto regime d’impulso. Quest’ultimo parametro riguarda la durata dell’impulso (normalmente nel range dai nano-secondi ai microsecondi) che, a sua volta, determina il meccanismo id pulitura: a regime d’impulso ultracorto corrisponde essenzialmente un meccanismo di rimozione foto-meccanico, mentre ad impulsi di lunghezza maggiore corrisponde essenzialmente un meccanismo di rimozione foto-termico.

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L'articolo prosegue fornendo indicazioni su come valutare un'operazione di pulitura e su come fare a rimuovere sali solubili dalla muratura, così come prescritto dalla normativa tecnica di riferimento in materia. L'articolo riporta una bibliografia dettagliata sull'argomento.

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