Architettura bio-based tra natura, innovazione e futuro rigenerativo
Dalla paglia al micelio, passando dalla conoscenza accessibile open-source alla rigenerazione urbana, lo studio Henning Larsen ridefinisce il senso del costruire abbracciando un approccio bio-based. L’intervista a Jakob Strømann-Andersen e Nicole Vettore ci accompagna in un viaggio tra materia viva, ricerca interdisciplinare e nuovi paradigmi per l’architettura del futuro.
In un momento storico in cui la sfida climatica impone nuove responsabilità all’architettura, Henning Larsen si distingue per una ricerca pionieristica sui materiali bio-based.
Dalla scuola in paglia alla “biblioteca dell’imperfezione” in micelio, lo studio danese esplora l’impatto ambientale, la bellezza organica e la dimensione sociale dei materiali naturali.
In questa intervista, Jakob Strømann-Andersen - Direttore Innovazione e Sostenibilità, Henning Larsen - e Nicole Vettore - Lead Architect, Henning Larsen - raccontano visioni, prototipi e traiettorie future di un’architettura che collabora con la natura.
Ricerca sperimentale sui materiali bio-based in Henning Larsen
Quali motivazioni e visioni progettuali hanno spinto Henning Larsen ad avviare una ricerca sperimentale sui materiali bio-based? C’è stato un evento o un progetto specifico che ha rappresentato per il vostro studio un punto di svolta?
Jakob Strømann-Andersen
Il nostro lavoro con i materiali bio-based nasce dal nostro contesto nordico, con sede a Copenaghen. In Danimarca, i sistemi energetici sono già ampiamente decarbonizzati: il nuovo fronte è il carbonio incorporato, ovvero le emissioni legate ai materiali da costruzione. Le nuove normative sulle emissioni di CO₂ in Danimarca hanno accelerato questo cambiamento.
Progettare con materiali bio-based a basse emissioni non è più un lusso, è un requisito. Questo ha rappresentato un grande stimolo per ripensare sia cosa costruiamo, sia come lo facciamo.
Un esempio di cui siamo particolarmente orgogliosi è il progetto della Scuola di Feldballe , recentemente nominato per il Construmat Healthy Architecture Award. Per una generazione che affronta le sfide del cambiamento climatico, abbiamo progettato una soluzione scalabile che utilizza materiali biogenici in grado di sequestrare carbonio, considerando l'intero ciclo di vita dell'edificio. Abbiamo scelto legno, paglia, intonaco di argilla e alghe marine – materiali naturali, privi di tossine e ignifughi – per creare uno spazio fondato sulla responsabilità sociale e ambientale.
Questa attenzione alla responsabilità ambientale si traduce anche in un approccio radicale alla sperimentazione, dove estetica, durabilità e comportamento nel tempo diventano parte di un’unica riflessione progettuale.
Quali sono gli obiettivi principali che guidano la vostra sperimentazione con i materiali bio-based? Puntate più all’innovazione delle performance tecniche, alla ricerca di nuove espressioni estetiche, o a una sintesi tra le due dimensioni?
Jakob Strømann-Andersen
Stiamo cercando di capire come si comportano i materiali bio-based nel tempo. Non sono statici – cambiano colore, texture, forma. Questo ci costringe a ripensare la durabilità, l’estetica e cosa significhi davvero “buona architettura”.
Dobbiamo smettere di considerare i materiali come componenti isolati. Vanno letti come parte di un ecosistema circolare molto più ampio – dove approvvigionamento, utilizzo e fine vita vengono considerati fin dall’inizio.
Attualmente stiamo anche collaborando con un impianto di trattamento delle acque reflue per esplorare l’uso architettonico dei rifiuti organici acquatici.
La sperimentazione, insomma, continua – e diventa sempre più interdisciplinare.
Quali tipologie di materiali bio-based avete esplorato fino ad oggi? Legno, paglia e alghe marine appartengono a una tradizione costruttiva che state reinterpretando in chiave contemporanea, ma cosa vi ha spinto a indagare anche il potenziale architettonico del micelio, un materiale radicalmente diverso e ancora poco conosciuto nel settore?
Jakob Strømann-Andersen
Il nostro lavoro si è concentrato nel riscoprire e reinterpretare materiali da costruzione biogenici tradizionali – come legno, paglia, argilla e alghe marine – e comprendere come possano adattarsi alla costruzione contemporanea.
Ma ovviamente guardiamo anche al futuro.
Il micelio è particolarmente affascinante perché introduce un modo completamente nuovo di pensare alla produzione dei materiali. Non è un materiale bio-based convenzionale, ma agisce come legante naturale che può essere coltivato e modellato in ambienti controllati.

Questo apre la porta a nuovi sistemi circolari nella progettazione e fabbricazione. Ci interessa molto capire come il micelio possa essere integrato con altri materiali biogenici – non come sostituto, ma come complemento – all’interno di un ecosistema più ampio di progettazione rigenerativa.
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Micelio: un organismo antico può essere la chiave per costruire un futuro più sostenibile?
I funghi sono tra gli organismi più diffusi sulla Terra, eppure raramente ne percepiamo o consideriamo la presenza nella sua totalità. Che si tratti di raccogliere funghi nel bosco, eliminare muffe o impiegare lieviti nella preparazione di cibo o farmaci, la maggior parte delle nostre interazioni con i funghi riguarda solo la punta dell’iceberg – il fungo vero e proprio che cresce sopra il suolo. Il micelio è il sistema radicale ramificato dei funghi, che può estendersi per chilometri nel terreno o nei substrati. È uno dei più antichi organismi riciclatori della natura, con miliardi di anni di evoluzione alle spalle. In grado di crescere su vari materiali bio-based come tessuti, segatura o fondi di caffè, il micelio può trasformare scarti organici come i residui agricoli in una vasta gamma di materiali da costruzione, tra cui isolanti, pannelli rigidi e persino elementi strutturali. I prodotti a base di micelio non contengono tossine e sono completamente biodegradabili al termine del loro ciclo di vita. Il risultato è un ciclo a zero rifiuti, in cui i nutrienti ritornano nel biosistema. (Estratto del White Paper "Changing Our Footprint")
Accanto alla costruzione, la condivisione è un altro pilastro della visione di Henning Larsen: per accelerare il cambiamento serve rendere la conoscenza accessibile. Da qui nasce Open Detail.
Open Detail: il database open-source che accelera la transizione ai materiali biogeni in architettura
In occasione dell'AEC Hackathon 2024, avete presentato Open Detail, un database di materiali biogeni che rappresenta un contributo concreto alla condivisione delle conoscenze nel settore. Innanzitutto, cos'è e come è strutturato questo database e quale impatto auspicate possa avere sul modo di progettare e costruire nei prossimi anni?
Jakob Strømann-Andersen
Crediamo che questa transizione debba avvenire rapidamente. Per questo abbiamo deciso di rendere open source la nostra ricerca e i nostri dettagli costruttivi attraverso
Open Detail
.
Il database offre ad architetti, ingegneri e clienti accesso a soluzioni reali e costruibili basate su materiali bio-based – tutte testate e documentate.
Abbiamo collaborato con KEA (Copenhagen School of Design and Technology)
per integrare Open Detail nella formazione degli architetti. Le nuove generazioni di progettisti saranno i principali protagonisti di questo cambiamento, e vogliamo che siano preparati fin dall’inizio.
La nostra speranza è che questa condivisione di conoscenze acceleri l’adozione dei materiali bio-based – aiutando le persone a capire che non solo sono fattibili, ma anche belli, durevoli e desiderabili. Il database sarà lanciato presto!
E se i materiali bio-based non fossero solo “alternativi”, ma anche capaci di ridefinire il modo stesso di pensare un progetto? Il padiglione realizzato per la Milano Design Week è stato un laboratorio vivente di questa idea.

Il padiglione sperimentale di Henning Larsen alla Milano Design Week 2025
Il padiglione presentato al Campus Bonardi durante la Milano Design Week invita a ripensare l’intero processo progettuale. Quali sono i messaggi chiave che avete voluto trasmettere con questa installazione?
Nicole Vettore
Uno dei nostri obiettivi principali era mettere in discussione l’idea tradizionale della natura come qualcosa di separato – o addirittura subordinato – all’ambiente costruito.
Riteniamo sia necessario ripensare il ruolo della natura in architettura. L’architettura non deve dominare i sistemi naturali, ma interagire e collaborare con essi.
Ogni sfera dell’installazione racconta una storia diversa – modellata dalle condizioni in cui è cresciuta. Il rapporto tra materiale e processo è fondamentale. Soprattutto con materiali bio-based come il micelio, non si può separare il “fare” dalla “materia”: il processo stesso diventa progetto.
Abbiamo voluto anche evidenziare il ruolo del tempo. Il padiglione era pensato come interamente temporaneo – le impalcature sono state prese in prestito localmente, le sfere di micelio sono biodegradabili. Dopo la Design Week, tutto viene restituito o compostato. Questa logica ciclica è stata una scelta intenzionale: è una critica al “fast design” spesso presente in eventi come questo.

Un altro livello del progetto è stato il concetto di "biblioteca vivente dell’imperfezione". Volevamo far crescere 100 sfere identiche, ma ovviamente la natura ha avuto la sua opinione. Nessuna è risultata uguale all’altra. È stato un modo poetico per chiederci se, come progettisti, siamo pronti ad accettare le irregolarità che derivano dal lavorare biologicamente – variazioni di colore, texture, forme che sfuggono alla standardizzazione.
Infine, il padiglione è stato anche un invito aperto al dialogo intersettoriale. Architetti, biologi, costruttori, designer – il progetto è stato tanto un’occasione per costruire, quanto un pretesto per conversare. Lavorare con il micelio ci obbliga a ripensare concetti chiave dell’architettura: cosa consideriamo durevole, bello, “finito”.

Quali sfide avete incontrato nel lavorare con un materiale vivo e biologico come il micelio, soprattutto in fase di prototipazione e installazione?
Nicole Vettore
Lavorare con il micelio è stato un esercizio di umiltà. È un materiale vivo, e ciò significa che non hai mai il pieno controllo. Una delle sfide maggiori è stata abbandonare l’idea di precisione e coerenza. Il micelio reagisce all’ambiente – umidità, temperatura, circolazione dell’aria – e ottenere risultati uniformi è praticamente impossibile. Invece di combattere questa variabilità, l’abbiamo abbracciata.
Un altro grande ostacolo è stato il tempo. Il micelio non cresce secondo la tua scadenza – cresce secondo la sua. Coordinare la produzione di quasi 100 sfere ha richiesto una pianificazione meticolosa, dall’inoculazione all’essiccazione. Anche così, abbiamo dovuto affrontare problemi di contaminazione, soprattutto nelle prime fasi: alcuni lotti sono falliti completamente e abbiamo dovuto ricominciare. Alla fine abbiamo ridimensionato l’obiettivo – da 100 a 80 sfere – ma non è stato un compromesso, è diventato parte del racconto.
Anche strutturalmente è stato un percorso di apprendimento. Il micelio è sorprendentemente resistente da secco, ma fragile se umido o non essiccato correttamente. Abbiamo fatto molti test per trovare il giusto equilibrio tra tempo di crescita, essiccazione e rinforzo. Da qui nasce l’idea delle sfere di supporto in rami – che ci hanno permesso di superare i limiti strutturali del materiale senza sacrificare l’idea progettuale.
Infine, abbiamo scontrato con i limiti del settore stesso. È stato sorprendentemente difficile reperire abbastanza micelio della qualità e quantità richiesta. Abbiamo quindi suddiviso la produzione tra due fornitori, MABA Lab e Spore, e fortunatamente si è trasformata in una collaborazione molto positiva. Questo dimostra quanto siamo ancora agli inizi nell’applicazione del micelio: c’è un grande potenziale, ma stiamo appena cominciando – e servono più persone, più ricerca e più voglia di sperimentare.
Implicazioni future dei Materiali Bio-Based nei progetti di architettura
Quali sono, secondo voi, i principali limiti che oggi ostacolano un utilizzo più diffuso dei materiali bio-based in architettura? Le criticità riguardano soprattutto la durabilità, i costi, la normativa o l’industrializzazione del prodotto?
Jakob Strømann-Andersen
La barriera principale è la conoscenza – lungo tutta la filiera, dai progettisti agli assicuratori. Riusciamo a soddisfare i requisiti antincendio e prestazionali, ma gli assicuratori vogliono case study e referenze per sentirsi sicuri. Per questo è essenziale costruire un patrimonio condiviso di conoscenza: più esempi possiamo fornire, maggiore sarà la fiducia in questo tipo di progettazione e costruzione.
Quali sono, a vostro avviso, i prossimi passi per rendere questi materiali scalabili, economicamente accessibili e normativamente accettati nei cantieri contemporanei?
Jakob Strømann-Andersen
La documentazione è fondamentale. Dobbiamo continuare a produrre progetti di riferimento tangibili, casi studio e documentazione open-source che dimostrino le prestazioni reali di questi materiali.
Allo stesso tempo, anche la normativa deve aggiornarsi. Finora ci siamo concentrati sull’ottimizzazione energetica; ora è tempo che le regolamentazioni includano l’intero ciclo di vita dell’edificio – dalla culla alla tomba.
Come cambierà il ruolo dell’architetto nell’era dei materiali bio-based e delle architetture “vive”? Ci sarà bisogno di nuove competenze e collaborazioni interdisciplinari?
Jakob Strømann-Andersen
Sì, dovremo progettare edifici resilienti e adattabili a cambiamenti climatici, nuovi programmi d’uso e bisogni sociali. Questo richiederà nuove competenze, nuove collaborazioni e nuovi modi di pensare.
Lavorare con materiali e filiere locali sarà essenziale. Progetti come Sundby School in Danimarca mostrano come possiamo valorizzare le tradizioni locali come la paglia. In molti modi, il futuro dell’architettura è anche il suo passato – rivisitato con strumenti e conoscenze nuove.
La transizione sostenibile non riguarda solo l’impiego di materiali bio-based, ma anche il recupero e la rigenerazione dell’esistente. In che modo il vostro studio sta affrontando questo tema, e quali ricerche o sperimentazioni state portando avanti in quest’ambito? Quale contributo possono offrire i materiali bio-based?
Jakob Strømann-Andersen
Assolutamente. Diciamo spesso: l’edificio più sostenibile è quello che esiste già.
I materiali bio-based sono particolarmente interessanti qui perché sono più leggeri e adattabili, ideali per progetti di riuso e retrofit.
Stiamo esplorando sistemi modulari e disassemblabili che possano essere inseriti in strutture esistenti e poi rimossi, riutilizzati o riconfigurati.
Un esempio è la trasformazione della segheria Strømsbu ad Arendal, in Norvegia: un intervento che rigenera un importante sito industriale usando materiali bio-based. Circa il 40% dell’edificio è stato restaurato, e i materiali rimanenti sono stati riutilizzati in loco per ridurre le emissioni e conservare il carattere originario.
Ricerca, condivisione, circolarità: i pilastri del cambiamento
La visione di Henning Larsen va oltre la materia: è un invito a ripensare l’architettura come pratica rigenerativa, aperta e relazionale.
In un momento storico in cui l’urgenza climatica incalza, lo studio danese dimostra che costruire con la natura non è solo possibile, ma desiderabile. Un cambio di paradigma che chiama a raccolta architetti, ricercatori, industrie e comunità per immaginare insieme una nuova ecologia del progetto.
Ringraziamo lo studio Henning Larsen per aver condiviso con Ingenio la propria esperienza, e per continuare a tracciare nuovi orizzonti per un’architettura profondamente connessa alla vita.
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Bioedilizia: materiali naturali, tecnologie sostenibili, salubrità indoor, CAM e progettazione ecocompatibile. Una guida completa per chi costruisce pensando all’ambiente e alla qualità dell’abitare.
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Cambiamenti climatici e progettazione: articoli, strategie e soluzioni per mitigare gli impatti sul territorio, le infrastrutture e gli edifici. Una guida tecnica per progettisti e operatori del settore.
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