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Il futuro dell’umanità

L’architettura diventa narrazione sensibile del desiderio, dell’ignoto e del ricordo: è soglia tra interno ed esterno, luogo dell’attesa e del passaggio, specchio del cuore delle cose. L’architettura accoglie il pensiero errante, intreccia memoria, corpo e paesaggio. Un viaggio tra parola e immagine che invita progettisti e architetti a scoprire nel frammento l’armonia nascosta del reale.

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Un’odissea in un giorno

Leggerlo è come “compiere un’odissea”. Possiede un significato dinamico, narrativamente frammentato. È un “generosissimo mosaico di straordinaria ricchezza lessicale, tematica e stilistica”, che si modifica ad ogni capitolo. Sembra di scorrere in un incessante ossimoro: una estrema chiarezza in una estrema oscurità.

Italo Svevo si era perso sul finire dimenticando il principio. Un “maledettissimo romanzaccione” scritto con la cura di un esigente poeta.

È meglio non leggerlo per la trama: l’Odissea di Omero si svolge in anni, l’Ulisse di Joyce in un solo giovedì (qualsiasi) nella Dublino del giugno 1904. Anche se la struttura si sovrappone a quella omerica tutto viene stravolto e il suo Ulisse è, come ebbe a dire Joyce, l’epopea del corpo umano che vive e si muove attraverso lo spazio. Ciascuno dei 18 capitoli fa riferimento a un tema omerico e un organo del corpo, un colore e un simbolo, un’arte/scienza e una tecnica narrativa, un luogo e un orario specifici. Oltre cento anni fa, il 2 febbraio del 1922, a Parigi con l’aiuto essenziale di Sylvia Beach (proprietaria della libreria “Shakespeare and Company”) l’Ulisse venne pubblicato. Con l’Ulisse vi immergerete nel “stream of consciousness” e scoprirete che è intriso anche di una “comicità a scoppio ritardato, carsica e corrosiva”.

Oggi l’Italia, che nella Trieste del 1914 aveva dato asilo a Joyce mentre iniziava la prima stesura, è al primo posto per traduzioni dell’Ulisse: De Angelis e Melchiori, poi Terrinoni e Bigazzi, a cui seguono Gianni Celati, Bona Flecchia e la recente di Mario Biondi.

Che cosa avete fatto nel centenario di uno dei capolavori assoluti del Novecento? Lo avete letto o riletto … “pericolosamente”? Se volete vi può venire in aiuto “Ulisse di James Joyce. Guida alla lettura” di John McCourt per Carocci editore, da cui ho tratto alcuni di questi accenni.

Per quanto mi riguarda ho un ricordo indelebile. Stavo preparando in un totale isolamento l’esame universitario di Analisi 2 esiliato nella mia casa al mare in un autunno meraviglioso. Unico sollievo dalla logica matematica: Joyce e il suo Ulisse. Forse il mio senso dell’umorismo stava già mettendo i suoi frutti…

 

un’opera di Damien Hirst presentata all’interno della sua mostra “Archaeology Now
L’immagine è un mio scatto cromaticamente rielaborato di un’opera di Damien Hirst presentata all’interno della sua mostra “Archaeology Now” allestita qualche anno fa in Galleria Borghese a cura di Anna Coliva e Mario Codognato. (Marcello Balzani)

 

Questo “corpo” estratto dalla profondità del tempo racconta tante storie e trasmette con le sue amputazioni anche le sue tante trame.

 


5

Capire e non-capire

“Era come frugare nella sostanza viva del sole

per rubare una stilla di fuoco liquido,

un grumo viscoso di carne-di-sole”.

Tuffarsi nella fornace fragorosa, in quell’apertura fiammeggiante ed estrarre, come Prometeo, un qualcosa di divinamente corporeo in cui la bolla di fiato, alito di vita, rende possibile la creazione. Ma non essere così orgoglioso, amico mio. L’orgoglio non è un piatto di spinaci. Non puoi mangiarlo, sicché, non ti farà crescere. Ricordati cosa è successo ai greci. Prassitele? Colui che mostrò per primo Afrodite nuda? Fidia, colui che scolpì una testa di Centauro, ritenuta il suo autoritratto? Forse stai solo scoprendo qualcosa di te stesso, un’ombra vagante fra le stelle, incapace di trovare le porte del Paradiso. L’arte vive di incidenti e, come dice Picasso, “non dipingiamo quello che vediamo ma quello che sappiamo che c’è”. È così che si nasconde la nudità.

Non capire, come scrive Rainer Maria Rilke, è la missione che occupa una vita, e tutti riconosciamo quanto è difficile! Soprattutto in una società come quella di oggi che tende ad eliminare l’errore ovunque e a ottimizzare ogni fase di ogni processo, ricercando ed eliminando i conflitti. Desiderare di percepire il reale con meno difetti e errori, evitare pensieri negativi, non provare dolore, costituiscono emozioni ed esperienze afferenti alla medesima nervazione quasi corporea del bisogno (individuale quanto sociale). Rilke ci ricorda che “non capire” consapevolmente è importante quanto “capire” consapevolmente.

Fidelman nella Venezia, sposa bagnata del mare, ad imparare l’arte di soffiatore di vetri. Fidelman pittore che vaga nell’infelicità erotica di Modigliani come fosse nei “Canti di Maldoror” di Lautrémont.

Fidelman, devastato e afflitto, distrugge le sue tele a Firenze gettandole in Arno.

Fidelman, falsario nudo o svestito, dipinge con quel che rimane del suo cuore la “Venere di Urbino”.

Fidelman, nella Trastevere acciottolata, cerca la natura morta in qualche biomorfica simmetrica ma trova solo carne luminosa.

Chi è Arthur Fidelman? È lo straordinario antieroe messo in viaggio da Bernard Malamud in “la Venere di Urbino”, un libro da cercare sul web pubblicato da Einaudi (un po’ di anni fa) nella splendida traduzione di Ida Omboni.

L’ironia e la tenerezza di Malamud mi aiutano da quando l’ho conosciuto nella sua ricchezza di sognante realtà, perché i fallimenti quotidiani e le incomprensioni costellano la vita come una galassia, i debiti non saldati verso se stessi e le “pratiche inevase” aumentano giorno dopo giorno e tanta mediocre limitatezza richiede una “percezione supplementare”.

“I ricordi sono in-grammi. E cosa sarebbero? Impronte, una sorta di cicatrici della mente.”

 

Robert Doisneau dal titolo
L’immagine è una mia rielaborazione di una famosa immagine di Robert Doisneau dal titolo "Le Combat du Centaure" del 1971. (Marcello Balzani)

 

La famosa fotografia originale di partenza fu scattata al Metropolitan Museum of Art di New York e mette in primo piano un uomo e una donna abbracciate in piedi che osservano l’imponente e grande scultura "Il Centauro e la Lapite" di Antoine-Louis Barye. La mia azione trasformativa (pratica evasiva) prende il dettaglio centrale del centauro che trattiene una ninfa, la ribalta di 180 gradi e la vira cromaticamente: tanto per “capire”….

 


4

L’ignoto intatto

“Dopo cena loro uscirono fuori sul balcone.
Da dove sentirono il fiume che piombava nella gola e,
più da presso, lo stridio degli alberi, i sospiri dei rami.
L’erba alta giurava di stormire per sempre.
Lei gli mise una mano sul collo. Lui le sfiorò una guancia.
Ma da ogni dove spuntarono pipistrelli e li ricacciarono in casa.
Una volta dentro, chiusero tutte le finestre. Si tennero a distanza.
Osservarono una processione di stelle. E, di tanto in tanto,
creature che si gettavano in picchiata davanti alla luna.”

Cosa succede? Le labbra si preparano? Il vento che arruffa i capelli può essere più delicato delle dita di una donna? A volte è bellissimo, nel pomeriggio calmo, scambiarsi degli sguardi e sorridere, “senza sprecare nemmeno una parola”.

Non so se nella “fulminea velocità del passato” riuscirò a fidarmi della memoria.

Sono parole di Raymond Carver (1938-1988) in “Veglia”, tratta dalla raccolta “Voi non sapete cos’è l’amore” del 1983.

La realtà, ogni piccola o grande parte o segmento della realtà, per Carver sembrano essere fluorescenti, nitidi, impegnati in uno scambio di energia magnetica, che alimentano costellazioni sospese nell’universo (di casa): piatti, dita dei piedi, bicchieri, aringhe, coltelli affilati, porte, peli del viso, libri, unghie, popcorn, davanzali saltellano, volteggiano, vivono e muoiono con noi. Tutto, prima o poi, torna a galla: nello spazio come nell’anima, anche se ti è sfuggito di mente. Sganciare gli occhiali, sbottonare i corsetti, lasciar cadere i vestiti sul freddo parquet sono azioni potenti come una bella voce, uno sguardo di sfuggita, lo sfiorare di una mano l’orlo di una gonna di seta, perché ogni cosa può essere “tesa” con il desiderio.

E poi cosa c’è di più bello in una poesia quanto lasciarne l’ignoto intatto: il mistero del quotidiano e lo stupore dell’atto creativo forse posseggono la medesima radice, naturale e casuale.

“Sole e luna se ne stanno sospesi fianco a fianco sull’acqua.

Due facce della stessa moneta.”

 

L’immagine è un famoso scatto de “l’Helmut Newton britannico-irlandese” Robert Carlos Clark.
L’immagine è un famoso scatto de “l’Helmut Newton britannico-irlandese” Robert Carlos Clark. (Marcello Balzani)

 

Le due forchette a tre rebbi si intersecano eroticamente e mescolano l’azione del cibarsi, dell’amarsi e del dare significato al mistero quotidiano che ci circonda. Perché ogni cosa può essere “tesa” col desiderio. Due facce della stessa moneta.”

 


3

Dea Nera e Dea Bianca

“Nei miei occhi avviluppa la notte”

È caldo, troppo caldo.

Attendo che nella notte delle stelle cadano i desideri. Aspetto e leggo Catullo.

L’amore catulliano sviscera una delusa sete di tenerezza pura. Il mistero erotico: la sovranità apollinea non regna più. Gli Dei adesso vengono di dentro, non di fuori. Sembra, guardando il cielo della notte, di intravvedere una circolazione invisibile della vita, l’area di Broca stellare. Ed è facile confondere i linguaggi: quello comune e il suo indefinibile contrario, quello della Poesia. Stai penetrando nel midollo semantico?

Non confonderti in un’apologia dell’infedeltà simile all’antico teistico offerto ormai al moderno ateistico. Per fortuna il nostro mistero poetico della vita rimane, dalla classicità greco-latina, tenuto in vita nelle aurore umanistiche e nei crepuscoli cristiani. Denuda la spiga di frumento! Un fine giambico e una sfrenata interpretazione erotica ci assolvono.

Il corpo è Clodia: lanifica, pia, pudica, frugi, casta, domiseda, univira…

Il simbolo è Lesbia: femina simplex, da divinità buona a potenza di rito segreto femminile, della libertà erotica femminile, accerchiante…

Forma ideale, ricordo ed essenza divina, ora, con le poesie di Catullo, per sempre.

Nel buio (della notte) la Dea Nera e la Dea Bianca (delle stelle) si attraggono e si rendono esplicite. Forse è sempre così che accade quando “nei miei occhi avviluppa la notte”. Le divinità femminili oppositive (ma solo per semplicità di credo o di liturgia intellettuale e formale) intersecano il loro sguardo col mio, con i miei ricordi e spengo la luce facendo riposare anche le pagine del libro.

Gaio Valerio Catullo nasce a Verona nel 84 a.C. e muore a Roma a trent’anni da brillante poeta. Guido Ceronetti, scomparso nel 2018, traduce mirabilmente i suoi 116 carmi e frammenti per Adelphi in una edizione dal titolo “Le poesie” in cui viene riportato il suo saggio “Dei e imenei, ladri e matrone” del 1969 da cui ho tratto questi straordinari “segmenti” di versi critici catulliani.

In vento et rapida scribere oportet aqua

Nel vento è scritto sull’acqua è scritto

 

"Dama col liocorno” dipinta ad olio su una tavoletta di legno da Raffaello nel 1505 circa e conservata in Galleria Borghese a Roma. (Marcello Balzani)

 

Lo straordinario volto di una casta giovane diviene (nel controscambio cromatico) una luna nera che accende i suoi occhi come stelle.

 


2

Il cuore delle cose

“L’amore rende anche il dono più insignificante

troppo sacro per mostrarlo. Quando c’è il desiderio.”

Quali domande porre?

Risponderanno gli dei?

Si possono insegnare alle labbra a formare parole che portano il suono di uno sguardo?

L’aria teporosa è permeata dagli effluvi soavi e pungenti della resina. In Giappone si immaginava che in preda a un dolore o un desiderio acuti, causati dall’amore, lo spirito della persona sofferente creasse un Doppio, un’apparizione. Ricorda che ogni specchio è cosa arcana e che l’Anima di uno Specchio è femmina! Il Giappone, il paese più arduo da conoscere al mondo. Come una città fatata sorta dalle brume e dai sogni. Antiche narrazioni, storie esistite in un cervello che ormai da secoli è polvere.

La forma è vuoto. Il vuoto è forma.

Sopravviene il torpore grato all’ebrezza. Una mano di donna lo guidò: come viaggiare in incognito e rimuginare pensieri. Una donna ispirata al piacere che sentiva il cuore. Accettare la sua ammirazione. La lunga veste bianca di una cascata che precipita da un’altura: il divino racchiuso nel cuore umano. Un’aureola e la luce della neve. Ma poi anche il rancore, la vendetta, inghiottire un’anima. Pian piano il sentimento si acuì in rimorso e gli tolse ogni serenità d’animo. Un fremito che infilò la canna fumaria.

Oni-bi, aruji, saisen-bako, fusuma, mamori, kagé-zen, yuki-akari, manajiri, kèrai, o-fuda, … Peonie, salici verdi, ragni, granchi, insetti, folletti di sembianze femminili, insidie soprannaturali, forza e coraggio e quella “continuazione fantasmatica del gioco che tutti i bambini giapponesi fanno con i sassi…” sono ombre e cancelli, varianti e rilievi, sagome e traduzioni, rifacimenti e reinvenzioni incessanti.

Sono le “Ombre giapponesi” di Lafcadio Hearn (1850-1904), nomade d’intelletto e di esperienza, che vive in mezzo mondo e approda sul finire in Giappone, nel Paese degli Dei, incantato e adottato. Piccoli racconti che sono traduzioni, imitazioni, rielaborazioni in 39 testi (dei 50 circa messi insieme negli ultimi 5 anni di vita).

“Kokoro” (che è il titolo originale) lo trovate curato e tradotto da Ottavio Fatica (con uno scritto di Hugo von Hofmannstahl) per Adelphi, pubblicato con una copertina dorata e veramente magica. Sembra di leggere residui di narrazioni coagulate nell’immensa traslucidità del sole, sostanza di generazioni d’anime, in un momento di trapasso della storia giapponese tra antico e contemporaneità.

Ed è il femminile che trasporta sempre il cuore, che sia spirito, senso, animo, decisione, sentimento, affetto o significato interiore: è il “kokoro”, il cuore delle cose, come ci ricorda Hugo von Hofmannstahl.

Siamo ancora capaci di cercarlo? Di trovarlo? Di ascoltarlo? In questi giorni dove ricordo la perdita di un amico che possedeva questo dono ogni cosa diventa più intensa e mi sembra di essere con lui ai piedi di quella cascata a vedere emergere la luce.

“Queste cose le intuì come si intuiscono le sagome in mezzo ai lampi.

Fra una lampo e l’altro, e più in là, era quella tenebra assoluta che è la misericordia degli dèi.”

 

Bruno Munari tratta dal suo straordinario libro del 1971
É un’immagine (da me rielaborata) di Bruno Munari tratta dal suo straordinario libro del 1971 "From afar it was an island" (Da lontano era un'isola) che è perfetta per interpretare il “koroko” di Lafcadio Hearn. (Marcello Balzani)

In ogni cosa comune si nascondono altri mondi, i cuori che pulsano nelle venature delle pietre… texture di nuove narrazioni. Basta imparare a guardare. Vale per il paesaggio, per l’architettura, come per la vita.

 


1

Il futuro dell’umanità

Il futuro dell’umanità è una libreria. La luna in plenilunio luccica con la prima orma della suola di Armstrong. Ora sei entrata dentro il profumo di un olivo in fiore. La duna di sabbia oltre il calore trasparente è il colore delle tue cosce e dei tuoi fianchi. E il prato di margherite in fiore emette l’inudibile suono delle tue immobili ciglia. Cammino nella sabbia umida e penso alla tua pelle, penso alla tua schiena, bagno il viso in quell’acqua santa e mi faccio il segno della croce con la verticale del tuo sesso e l’orizzontale della mia bocca.

Bohumil Hrabal con “Una solitudine troppo rumorosa”, tradotto e curato da Sergio Corduas per Einaudi. Un libro stupendo e crudamente tenero, che onora i libri quando stanno per morire e che si chiude (divinamente) con una poesia in omaggio allo (zio) Kafka.

È la storia di un uomo che per 35 anni pressa carta vecchia e ne spreme il meglio come per le olive nel Talmud, immerso in quintali, tonnellate di libri, valanghe, cornucopie di libri, creando “una specie di museo immaginario dell’antico passato e del vivente presente”.

Ma, come scriveva György Lukács, il presente è inesistente, il passato minaccioso è il futuro (ormai) così ben, ah così ben conosciuto… quindi? Quindi è una trappola, uno strano inferno in cui i cieli non sono umani e dove “l’uomo che si occupa del pensiero non è umano neanche lui.”

La “Solitudine” è un assoluto capolavoro (anche di schegge e frammenti di letteratura). In questi giorni del ricordo, dove il mio corpo segue il pensiero nei luoghi più cari del riposo infinito, guardo le pareti della mia “casa libro” e ogni anno che passa mi sembra di essere sempre più nel sottosuolo di quell’antico palazzo di Praga.

Mio padre è sempre lì, curioso e stupito tra il (pro)fumo della sua pipa e la ciambella che fa la nostra gatta accanto al suo braccio, mentre legge seduto al tavolo.

 

L’immagine è un mio dettaglio di San Girolamo di Caravaggio, eternamente leggente e scrivente, seduto al suo tavolo nella Galleria Borghese di Roma.
L’immagine è un mio dettaglio di San Girolamo di Caravaggio, eternamente leggente e scrivente, seduto al suo tavolo nella Galleria Borghese di Roma. (Marcello Balzani)

 


Dalla rubrica «Marcello Balzani: tra Parola e Immagine»

C’è un numero che, più di altri, incarna l’idea di equilibrio e compiutezza: sei. È il primo numero perfetto, perché somma dei suoi divisori (1, 2, 3), ma è anche la metrica dell’esametro omerico, che ha guidato per secoli il racconto del viaggio, del mito, dell’umano.

A questo numero si ispira la struttura di “Perfetto Sei”, una rubrica che raccoglie i testi di Marcello Balzani come pensieri in cammino, intrecciati a immagini e citazioni che non illustrano, ma evocano, non spiegano, ma interrogano.

Il titolo è anche un gioco di specchi: si può leggere come “Sei perfetto”, allusione alla somiglianza divina dell’essere umano, fatto — secondo la tradizione — a immagine di Dio. Un invito, forse, a riscoprire nel frammento la traccia di un’armonia nascosta.

Ogni articolo della rubrica ospita progressivamente sei pensieri. Sei come unità compiuta, come sequenza che diventa ciclo. Quando l’articolo si completa, ne nasce uno nuovo. E ogni nuovo inizio si pone in cima alla serie, come il primo passo di un nuovo viaggio. L’intero progetto si dispiega così in una serie aperta di cerchi perfetti, ognuno con il proprio tema originario e la propria traiettoria di senso.

PERFETTO SEI

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