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Come si misurano le distanze tra costruzioni

La distanza tra costruzioni deve essere verificata in modo lineare, tracciando linee perpendicolari tra gli edifici. Questa conclusione non contraddice il principio giurisprudenziale secondo cui la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano.

L’Autrice torna sulla modalità di misurazione delle distanze tra fabbricati (trattata più volte su Ingenio sotto diverse angolazioni) con un contributo che appare esaustivo e di ineccepibile applicazione a chiarimento di ogni residuo dubbio possa ancora sussistere.

Lo fa ripercorrendo in sintesi la finalità della norma esposta nella sua formulazione letterale e secondo l’ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale.

*presentazione di Ermete Dalprato


Distanze tra costruzioni: i principi fondamentali

Sulle modalità di misurazione delle distanze tra costruzioni sussiste un orientamento ormai consolidato tanto della giurisprudenza amministrativa che di quella civile.

Ciò nonostante si tratta di un argomento che continua ad occupare il dibattito e le attività, degli uffici tecnici e dei tribunali.

Trattiamo in particolar modo delle distanze tra costruzioni previste dall’art 873 c.c., che statuisce che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri, distanza che può essere maggiorata dalla disciplina urbanistico-edilizia locale, e della distanza minima di 10 metri tra pareti frontistanti prevista dall’art. 9 comma 2 DM 1444/68.

Considerato quanto sopra vanno sempre opportunamente premessi alcuni principi fondamentali che riguardano la tematica in trattazione.

In primo luogo ciò che conta in tema di distanze è la presenza di costruzioni intendendosi qualsiasi manufatto, a prescindere dall’uso e dai materiali di realizzazione che non sia completamente interrato e che abbia caratteri della stabilità ed immobilizzazione al suolo.

In ordine alla ratio della norma rilevano (quindi fanno distanza) tutte le opere che non abbiano una funzione meramente decorativa ed ornamentale, comprendendo pertanto sporti, terrazze, scale e corpi avanzati che vanno considerati parte della costruzione.

Alla disposizione di cui all’art. 9, comma 1 del D.M. 1444 del 1968 è poi pacificamente riconosciuta una finalità pubblicistica - quella cioè di salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità ect - che ne giustifica la natura inderogabile - al punto che le disposizioni citate, secondo un risalente e non superato insegnamento, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cds sez IV 4933/2023).

Perseguendo tale interesse pubblico e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione (regolata e tutelata, invece, dal codice civile), le distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti devono ritenersi inderogabili, come tali vincolanti sia per i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato n. 7029/2021), sia per i privati (i confinanti non potrebbero, con patti stipulati tra loro, derogarle).

La distanza suddetta trova applicazione anche tra due edifici frontistanti appartenenti al medesimo proprietario ed anche nel caso in cui si tratti di un unica costruzione distinta in due corpi di fabbrica.

Diversamente, per quanto attiene la distanza prevista dall’art 873 cc, “è legittima, dal punto di vista privatistico, la realizzazione di costruzioni ad una distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario” (cfr. Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2017 n. 6855).

 

La distanza di 10 metri vale per qualsiasi forma di nuova costruzione

In un recente intervento il Consiglio di Stato (sez IV 4933/2023), rispetto ad un intervento di ristrutturazione eseguito con parziale demolizione e sopraelevazione di 3 piani del fabbricato esistente, ha ulteriormente ribadito che la distanza minima di cui sopra, è imposta per qualsiasi forma di nuova costruzione da effettuarsi in tutto il territorio comunale, quest’ultima intesa nel senso più ampio con riguardo, sia al regime di nuova costruzione (id est, nuovi edifici; ampliamenti, sopraelevazioni, addizioni volumetriche, superficie), che al regime ricostruttivo (id est, demolizione e ricostruzione, integrale o parziale di edifici, traslazione volumi e area di sedime; modifiche di sagoma, anche a parità di volume, modifiche planivolumetriche). Tali distacchi si applicano sia in senso planimetrico che in senso altimetrico o elevazione.

 

Distanze di 10 metri tra edifici: regola generale, tipi di costruzioni, eccezioni, possibili deroghe

La distanza minima di 10 metri tra gli edifici riguarda sia le nuove costruzioni (nuovi edifici, ampliamenti, sopraelevazioni, addizioni volumetriche, superficie) che le ricostruzioni edilizie, come ad esempio la demolizione e ricostruzione, integrale o parziale, di edifici.


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Le eccezioni

Entrando nel merito, lo stesso Consiglio ha poi precisato che le uniche eccezioni sono costituite da:

  • i) interventi di risanamento conservativo;
  • (ii) le ristrutturazioni di edifici situati nelle zone omogenee A (centri e nuclei storici), dove le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
  • iii) i gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con specifiche previsioni planovolumetriche;
  • iv) la particolare deroga prevista per finalità di risparmio energetico (id est, “cappotto termico”) all'art. 2-bis, co. 1-ter del d.p.r. n. 380 del 2001, introdotto nel testo unico edilizio con il d.l. n. 76 del 2020.

 

Distanze tra edifici: deroga ai 10 metri solo per gruppi di edifici del piano particolareggiato

La deroga dell'art. 9 ultimo comma DM 1444/1968 riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata, per cui non può operare per un singolo edificio inserito in un contesto già edificato in precedenza.


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La definizione di distanza

Tornando all’oggetto specifico di trattazione, l’elenco delle definizioni uniformi relative ai parametri urbanistici ed edilizi, adottate unitamente allo schema del regolamento edilizio tipo (intesa del 20/10/2016), si occupa espressamente di distanze al punto n. 30, descrivendole comeLunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta.”

La definizione richiamata non chiarisce espressamente quale sia il metodo di misurazione dello specifico parametro ma, come anticipato, si tratta di un argomento su cui possono sussistere ormai pochi dubbi.

 

Distanze tra costruzioni: si applica il criterio lineare

La distanza tra costruzioni deve infatti essere verificata in modo lineare, tracciando linee perpendicolari tra gli edifici (Consiglio di Stato sez. II, 10/07/2020, n.4465).

Applicando tale criterio viene riconosciuto che non si configuri un’intercapedine dannosa, secondo la ratio delle previsioni di cui all’art. 9 D.M. 1444/68, laddove, facendo avanzare idealmente le facciate, manchi l’incontro delle costruzioni.

Tale conclusione non contraddice il principio giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, IV, 11-6-2015, n. 2861; IV, 5-12-2005, n. 6909), secondo cui la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano.

Esso, invero, comporta che il computo delle distanze vada effettuato con riferimento a tutti i punti dei fabbricati interessati, ma non deroga all’applicazione del richiamato metodo di misurazione lineare, con la conseguenza che il computo delle distanze andrà pur sempre effettuato tracciando linee perpendicolari e non oblique (metodo radiale usato per le distanze dalle vedute), sicché la violazione dell’articolo 9 citato, potrà dirsi configurabile solo ove si riscontri una ideale linea perpendicolare, che unisca le due costruzioni, della lunghezza inferiore a dieci metri.

Ne deriva pertanto che la disciplina di cui trattasi non trova applicazione “…quando i fabbricati sono disposti ad angolo e non hanno fra loro pareti contrastanti perché ciò che rileva è la distanza fra opposte pareti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5348; TAR Veneto 1063/2017- TAR Emilia Romagna n 600/2017).

La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, così come la distanza prevista ex art 873 cc, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale (Consiglio Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909; Cons. Stato 7731/2010, Cds 7004/2023), ciò a prescindere dalla specifica conformazione dell’edificio (pareti lineari o ricurve).

Ai Comuni è poi consentito, ai sensi dell’art. 873 c.c., stabilire negli strumenti urbanistici distanze maggiori, ma non alterare il metodo di calcolo lineare (Cass civ sez II, 10580/2019).

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