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Rappresentazione o Presentazione?

Fra la bulimia di pixel che smarrisce la realtà e le rovine del Colosseo che sfidano la Musa del Tempo, Marcello Balzani interroga il nostro sguardo: rappresentiamo ancora o ci limitiamo a presentare? E, nel corteggiamento di Clio, qual è il destino delle immagini e delle storie che ci definiscono?

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Auden, Brodskij e il Colosseo: si può ancora corteggiare la vanitosa Musa del Tempo?

In un mondo progressivamente sempre più “digitalizzato” la distinzione tra tempo e cronologia sembra dissolversi e anche la storia viene stimolata a motivare la propria esistenza.

Ciò che passato e futuro hanno in comune è la nostra immaginazione, che li evoca: l’idea di antichità o di utopia. Un foglio di carta appallottolato mentre vola nel cestino potrebbe facilmente essere scambiato per una scheggia di civiltà, specie se siamo senza occhiali. Il tempo non è un puzzle, perché è fatto di pezzi deperibili. I resti, gli avanzi della necessità (o della vanità) sono residui di considerazioni sempre miopi. Inutile picchiare con le dita contro il marmo, non ci sono posti liberi.

È lo straordinario Iosif Brodskij in “Profilo di Clio” a cura di Arturo Cattaneo per Adelphi.

Clio è la Musa del Tempo e, come dice W.H. Auden, nel tempo nulla accade due volte. Un bersaglio non accetta il proiettile e la distinzione tra tempo e cronologia è andata perduta. Come banca dati del potenziale umano negativo la storia non ha rivali e comunque ogni qualvolta si muove ci coglie di sorpresa. La caratteristica principale della storia e del futuro è la nostra assenza: non si può essere certi di qualcosa di cui non si è mai stati parte. Ecco perché la Musa del tempo possiede quell’espressione vaga. Forse perché tanti occhi l’hanno fissata con incertezza? Perché ha visto tanta forza e confusione? Se avesse risposto allo sguardo dei suoi corteggiatori li avrebbe resi ciechi. Clio, la vanitosa Musa del Tempo, cammina in mezzo a noi e ci rende irrimediabilmente… assenti.

Nel “gigantesco cervello invecchiato”, come direbbe Brodskij, del Colosseo, i residui delle combinazioni spaziali dell’ipogeo ci interrogano incessantemente. Quanto più i “detriti dell’antichità” sono a nostra disposizione, quanto più a lungo li si guarda, tanto più sembra che ci venga negato l’accesso. Un puzzle temporale in 3D. Un tetris, destinato a durare più dei suoi costruttori, fatto per raggiungerci? “Mentre l’antichità esiste per noi, noi per l’antichità non esistiamo. Non siamo mai esistiti, né mai lo saremo”. Geneticamente la distanza è immensa. Ma la nostra immaginazione…

Una mia immagine del “piccolo Colosseo”, come viene chiamato lo straordinario ipogeo stratificato in alcune centinaia di anni dove i “munera” (i doni offerti dagli imperatori in forma di giochi) erano attivi. (Marcello Balzani)

    


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Rappresentazione o Presentazione? 

Come la tautologia della realtà/verità si incarna divinamente nel rituale dell’uso e abuso di immagini e comunicazioni digitali.

A volte, guardando e riguardando la bulimia di immagini che divoriamo e rimettiamo in rete con una rapidità assurdamente ipertrofica, penso che la “Crisi della rappresentazione” abbia raggiunto il suo stadio di maturità. La fotografia, come Roland Barthes ricordava essere “emanazione del referente” con le proprie tracce di luce che impressionano materia da materia, con quella “immobilità amorosa o funebre, proprio in seno al mondo in movimento”, diviene mera “citazione e frammento” della realtà. La fotografia digitale segna la fine del Reale? Forse l’iper-realtà della iper-fotografia non rappresenta nulla, ma solo “presenta”? Sono “citazioni di Realtà” mescolate all’immaginario? La “trasmutazione delle apparenze” così cara al “ruolo magico” della rappresentazione, che con la fotografia (ossessionata dall’originale) perpetuava l’immagine della “durata”, vede non possedere più quella “impronta della somiglianza” che ne sapeva estrarre l’anima primitiva (Lévi-Bruhl), come un ghost incarnato. Il fotografo se era uno sciamano ora cos’è? La Realtà “a due facce” (una visibile e localizzata e l’altra rappresentata a cui rimanda biunivocamente) con cui siamo nati e abbiamo convissuto sembra essere diventata ubiquitaria e sfuggente, forse veramente “invisibile” nella sua mera “presentazione”. 

Lo so, sono un po’ complesso… Ho usato le mie parole con le parole di Byung-Chul Han in “Nello sciame. Visioni del digitale” edito da Nottetempo per la traduzione di Federica Buongiorno con quelle di Philippe-Alain Michaud di “Anime primitive. Figure di celluloide, di peluche e di carta”, edito da Quodlibet nella traduzione di Andrea Pitozzi e Caterina Serra. E in questo tentativo di “thanatografia” ho lasciato talmente troppi “cadaveri” sulla scena, che neppure lo sguardo di Alfred Hitchcock mi può aiutare. Rimane il fatto che la domanda (“Ceci n’est pas une pipe”) di René Magritte sulla tautologia della realtà/verità forse oggi si incarna divinamente nel rituale frammentario e mosaicato che la selezione delle immagini dal nostro cellulare propone. 

L’immagine è un mio dettaglio digitale virato di una bellissima fotografia (predigitale) di Helena Almeida dal titolo “Tela habitada” del 1976, esposta all’Istituto Moreira Salles di Sāo Paulo in Avenida Paulista nella mostra “Helena Almeida. Fotografa habitada”, curata da Isabel Carlos nell’estate del 2023. La dimensione tattile dell’immagine sembra confondersi con fantasmi sospesi e ritardati nella corporeità velata della membrana osmotica del Reale. La fotografa performer portoghese rappresenta (non presenta) contemporaneamente tante cose... e ce lo ricorda magnificamente.ù

L’immagine è un mio dettaglio digitale virato di una bellissima fotografia (predigitale) di Helena Almeida dal titolo “Tela habitada” del 1976, esposta all’Istituto Moreira Salles di Sāo Paulo in Avenida Paulista nella mostra “Helena Almeida. (Marcello Balzani)

       


Dalla rubrica «Marcello Balzani: tra Parola e Immagine»

C’è un numero che, più di altri, incarna l’idea di equilibrio e compiutezza: sei. È il primo numero perfetto, perché somma dei suoi divisori (1, 2, 3), ma è anche la metrica dell’esametro omerico, che ha guidato per secoli il racconto del viaggio, del mito, dell’umano.

A questo numero si ispira la struttura di “Perfetto Sei”, una rubrica che raccoglie i testi di Marcello Balzani come pensieri in cammino, intrecciati a immagini e citazioni che non illustrano, ma evocano, non spiegano, ma interrogano.

Il titolo è anche un gioco di specchi: si può leggere come “Sei perfetto”, allusione alla somiglianza divina dell’essere umano, fatto — secondo la tradizione — a immagine di Dio. Un invito, forse, a riscoprire nel frammento la traccia di un’armonia nascosta.

Ogni articolo della rubrica ospita progressivamente sei pensieri. Sei come unità compiuta, come sequenza che diventa ciclo. Quando l’articolo si completa, ne nasce uno nuovo. E ogni nuovo inizio si pone in cima alla serie, come il primo passo di un nuovo viaggio. L’intero progetto si dispiega così in una serie aperta di cerchi perfetti, ognuno con il proprio tema originario e la propria traiettoria di senso.

PERFETTO SEI

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