Di chi è la responsabilità di infortuni se il DVR è carente?
Il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) è un elemento fondamentale per la sicurezza sul lavoro nel settore edilizio. Attraverso l’esame di una recente sentenza della Corte di Cassazione, si evidenziano le conseguenze penali e amministrative derivanti dalla valutazione inadeguata dei rischi e dall’assenza di misure di prevenzione efficaci. La sentenza sottolinea come la carenza di un DVR dettagliato e conforme alle normative possa comportare responsabilità gravi per i datori di lavoro, rafforzando il principio che la sicurezza sul lavoro rappresenta un dovere imprescindibile.
Il documento di valutazione dei rischi (DVR): fondamento della sicurezza aziendale
La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro rappresenta un pilastro fondamentale dell’edilizia, dove deve emergere con rigore e forza il tema del rispetto della norma per salvaguardare l’integrità psico-fisica del lavoratore.
Uno dei mezzi per concretizzare tale principio è il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), previsto dal DLGS 81/2008. Il DVR è un documento in cui vengono riportati meticolosamente e dettagliatamente tutti i possibili rischi professionali a cui i lavoratori potrebbero essere esposti durante la loro attività lavorativa.
Tale documento deve contenere una serie di informazioni, ossia:
- l’anagrafica aziendale;
- una descrizione dettagliata che riguarda l’ambienti di lavoro e dei diversi cicli produttivi;
- una descrizione dettagliata dei compiti dei dipendenti con le postazioni assegnate;
- l’indicazione dei criteri di valutazione dei rischi;
- le misure e strategie di prevenzione e di protezione da adottare;
- un programma di formazione dei dipendenti relativamente ai rischi e sulle strategie di prevenzione e di protezione stabilite;
- un piano di miglioramento della sicurezza per aumentarne la prestazione nel tempo.
Esso deve essere redatto dal datore di lavoro di ogni azienda, che abbia almeno in lavoratore alle proprie dipendenze, in collaborazione con determinate figure professionali come:
- il medico competente;
- il rappresentante dei lavoratori;
- il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Esistono delle eccezioni, ossia sono esonerati dall’obbligo di redigere questo documento per l’assenza di dipendenti: i liberi professionisti, le imprese familiari (senza personale alle proprie dipendenze) e le ditte individuali.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 8301/2025 sottolineare l’importanza di avere un DVC dettagliato e coerente effettivamente con le lavorazioni e i rischi peculiari della singola realtà aziendale. Nella sentenza si chiariscono anche di chi siano la responsabilità qualora avvenga un infortunio con un DVR non calato sulla specifica situazione.
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Infortuni sul lavoro: di chi è la responsabilità?
Con la sentenza della corte di Cassazione n.8301/2025 si chiude il cerchio relativo alle responsabilità degli infortuni sul luogo del lavoro. Il caso in oggetto riguarda l’infortunio di un lavoratore avvenuto durante la rifilatura manuale di componenti in plastica ABS con una sega a nastro. Il lavoratore stava eseguendo un’operazione che richiedeva il contatto diretto con il pezzo, quando una rotazione improvvisa dell’elemento conico lo ha fatto urtare contro la lama in movimento, provocandogli una lesione al dito indice sinistro con interessamento dei tendini e conseguente inabilità per 100 giorni.
La prima parte della sentenza si ripercorre l’iter giuridico precedente alla Cassazione, con riepilogo dei pareri sia del Tribunale di Firenze e sia della Corte d’Appello di Firenze, le quali avevano già individuato di chi fossero le responsabilità.
In particolare in secondo grado, i giudici avevano deliberato che il datore di lavoro fosse colpevole del reato di lesioni colpose gravi per non aver adeguatamente valutato i rischi nell’utilizzo della sega a nastro e per non aver fornito misure di sicurezza idonee, mentre la società era inoltre responsabile di un illecito amministrativo in quanto il reato era stato commesso nell’interesse e a vantaggio dell’azienda.
Tali condanne hanno promosso il ricorso in Cassazione da parte del datore di lavoro e della società.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che “il DVR si era quindi rivelato inadeguato, posto che le peculiari modalità in concreto imposte per la rifilatura dei pezzi conici con la sega a nastro, incluse genericamente nelle ipotesi per le quali non era possibile utilizzare dime o altra attrezzatura di protezione, generatrici di rischio di gravi infortuni per i lavoratori addetti, non erano state considerate ai fini della individuazione dei necessari mezzi di prevenzione, consistenti nella sostituzione delle seghe a nastro utilizzate con altre più adeguate, ovvero nella stessa interruzione dell'attività di rifilatura dei pezzi conici; la lacuna del DVR, sottolinea la sentenza alla pag. 32, era resa ancora più grave alla luce della piena consapevolezza della presenza di pezzi da rifilare per i quali non sarebbe stato possibile utilizzare dime e spingi pezzo, tanto che lo stesso DVR aveva previsto, alla raccomandazione n. 1, che durante la lavorazione non si sarebbero dovute avvicinare le mani alla zona di taglio ed un cartello era stato apposto sulla sega con la scritta "attenti alle mani", dunque, la violazione dell'art. 28 TULS era derivata dal fatto che la accertata impossibilità di utilizzare dime o altre attrezzature per rifilare i pezzi conici avrebbe dovuto comportare una approfondita valutazione delle diverse modalità di lavorazione, a una o a due mani, con consequenziali determinazioni di tipo prevenzionistico (…)”.
Di conseguenza, il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) non prendendo in considerazione il pericolo specifico, legato alla lavorazione di pezzi conici con la sega a nastro, non ha valutato opportunamente i rischi legati a una modalità concreta di lavorazione, la quale non permetteva l'uso di dispositivi di sicurezza come dime o spingi pezzo. Il DVR non ha quindi promosso soluzioni tecniche o organizzative adeguate, come l’uso di seghe più sicure o l’interruzione della lavorazione, comportando la violazione dell’art. 28 del Testo Unico sulla Sicurezza (TULS), che richiede una valutazione approfondita e adeguata dei rischi e delle misure di prevenzione.
Inoltre la Corte sottolinea che “(…) la colpa di organizzazione deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli (…)”. Riassumendo, non è stato quindi adottato un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati colposi in materia di sicurezza.
In conclusione il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile per l’omessa valutazione del rischio specifico non considerando il pericolo connesso alla rifilatura manuale di pezzi conici in plastica con la sega a nastro, violando gli art. 28 e 71 del DLGS 81/2008 (Testo Unico Sicurezza Lavoro).
Mentre l’azienda è stata sanzionata per non aver adottato un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati colposi in materia di sicurezza.
La sentenza rinforza un principio fondamentale quando si parla di lavori di edilizia, ossia che la sicurezza sul lavoro non possa essere un optional, ma debba essere invece un dovere inderogabile.
Se le norme non vengono osservate, ovvero se la valutazione dei rischi viene omessa o non sia adeguata, ci saranno conseguenza gravi sui lavoratori, comportando severe ripercussioni sui responsabili. La vita e la salute umana valgono più del profitto e solo il rispetto delle regole può prevenire tragedie evitabili, di rimando è possibile concludere come chi non la osservi tali prescrizioni sia costretto a pagare in prima persona.
LA SENTENZA della Corte di Cassazione n. 8301/2025 É SCARICABILE IN ALLEGATO.

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