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Dialogo di Fine Anno tra Analogico e Digitale

Un affascinante dialogo tra il mondo analogico e quello digitale nell'ambiente delle costruzioni in questo articolo esclusivo di Angelo Ciribini dal titolo "Dialogo di Fine Anno tra Analogico e Digitale". Il pezzo presenta un confronto coinvolgente tra due esperti del settore, il Prof. Analogico e il Prof. Digitale, moderato dal Dottor Moderatore. Affrontando temi critici come la digitalizzazione e la sua influenza sul settore dell'edilizia, questo dialogo stimolante promette di offrire prospettive uniche e approfondimenti preziosi. Unisciti a noi in questa discussione stimolante che mette in luce le sfide e le opportunità della trasformazione digitale nell'ambito delle costruzioni.

Si riporta, in questa nota, la trascrizione di un confronto avvenuto tra due autorevoli esperti, il Prof. Analogico (PA) e il Prof. Digitale (PD), con l’ausilio del Dottor Moderatore (DM).

La digitalizzazione sarà un fattore decisivo per le costruzioni?

DM: Ben trovati, cari studiosi, oggi avremo modo di dibattere sulla dialettica che intercorre tra la cultura analogica e quella digitale nel settore dell’ambiente costruito. Vi ringrazio, anzitutto, per la Vostra preziosa disponibilità. Desidererei, anzitutto, che condividiate qualche franca riflessione sullo stato delle cose. Premetto che lo scenario prospettico recentemente adombrato dal CRESME presenta notevoli elementi di incertezza, a causa della progressiva caduta degli investimenti in riqualificazione dell’edilizia residenziale, non del tutto, nei prossimi anni, compensabile dalla crescita dei lavori pubblici, non solo infrastrutturali e per la maggior parte non legati al PNRR. L’istituto romano, per queste ragioni, intravede nella digitalizzazione un fattore decisivo verso i temi dei nuovi modelli organizzativi, specie per il partenariato pubblico privato e per la rigenerazione urbana.

 

PA: Vorrei, anzitutto, dire che il settore, da tempo, sta subendo una profonda trasformazione, a prescindere dalla digitalizzazione (la nuova costruzione residenziale è, a titolo esemplificativo, al minimo storico), ma che, per certi versi, fortunatamente, esso resta quello di sempre e dimostra ottime capacità di resilienza. Non credo che senza una modernizzazione si rischi di scomparire, semmai vi sarà un qualche divario tra differenti mercati, ma la polverizzazione rimarrà, a dispetto di tutti i tentativi di aggregazione, così come il forte carattere identitario dei diversi attori. E vedremo se davvero la digitalizzazione potrà abilitare il vasto programma di riqualificazione (energetica) degli edifici dettato dalla nuova direttiva comunitaria, come, invece, non è avvenuto con il Super Bonus 110%. Anzi, proprio questa stagione ha dimostrato come si potessero usare analogicamente le soluzioni tecnologiche digitali.

 

PD: Devo riconoscere che, per molti aspetti, mi trovo d’accordo col collega, nel senso che, in fondo, inizio a essere stanco nel professare fede in un orizzonte destinale della digitalizzazione, dipinto come ineluttabile, ma sempre più banalizzato in termini analogici. Ma stiamo parlando di resilienza o di resistenza? Vi ricordo, però, che il CRESME, già ai tempi della crescita della domanda (specialmente privata) dovuta agli incentivi fiscali, metteva in guardia relativamente alla capacità dell’offerta di farvi fronte, anche a causa di un deficit nella cultura digitale. In realtà sia la domanda sia l’offerta appaiono spesso inadeguate a fronte delle sfide poste dalla Twin Transition, e molti casi di successo sono principalmente efficaci narrazioni.

Angelo Ciribini

 

Digitalizzazione, un futuro ineludibile o un nuovo feudalesimo? 

DM: Ma come, Lei PD, non è un pioniere e un profeta? Non è che così disorienta i suoi seguaci, o meglio, i suoi follower? Invita a non credere ai racconti così affascinanti sulle virtù del digitale?

 

PD: Mi lasci dire che i miei sentimenti sono contrastanti, anche forse contraddittori: da una parte,mi infastidisce sempre più vedere che il tema, così complesso e sfidante, sia ridotto a mercificazione acritica, nel senso, appunto paradossale, di essere piegato alle ragioni della cultura tradizionale, mentre, all’opposto, inizio a misurare con una certa inquietudine l’essenza autentica del dato.

 

DM: Su questo ultimo punto, mi piacerebbe capire meglio.

 

PD: Non so oltre quale limite sia corretto assecondare l’impoverimento dei contenuti e della ricchezza del linguaggio naturale strumentalizzandolo e riducendolo al fine di farlo interamente comprendere e interpretare dagli algoritmi. Pensiamo al tema del cosiddetto permesso di costruire digitale, per cui si dovrebbero riscrivere i regolamenti edilizi in termini comprensibili dagli algoritmi, dopo aver utilizzato, ad esempio, il Natural Language Processing per tradurre negli stessi termini i regolamenti edilizi redatti attraverso il linguaggio naturale. Di che intelligenza stiamo ragionando? Perché usare questa parola, intelligenza?

 

PA: Caro collega, come vedi, è importante esercitare una certa opposizione a questo ecosistema digitale onnicomprensivo e condizionante, da feudalesimo digitale, da capitalismo di sorveglianza, su cui la letteratura è copiosa. Sappiamo bene, infatti, come l’avvolgimento degli attori in ambiti digitali stia letteralmente confinando in certi ecosistemi gli operatori, senza che se ne accorgano.

 

PD: Gentile collega, facciamo attenzione: occorre distinguere tra una miope opposizione al cambiamento e una sua fideistica adesione, in realtà più formale che sostanziale. Questo ossessivo ripetere che l’innovazione digitale sia inarrestabile, senza fare davvero i conti con essa, è, infatti, il modo migliore per diluirla, rallentarla, infine, sospenderla.

 

PA: Non è così che funziona sempre con l’innovazione in questo settore? Non se ne assimilano, neutralizzandoli, sempre alcuni tratti, per successivamente fermarla definitivamente? La fortuna del cosiddetto BIM non ne è una prova provata? Tutti ne parlano, molti pensano di identificarlo con uno strumento tra i tanti o con una certificazione tra quelle possibili. Vi è chi, addirittura, chi fa «Full BIM».

 

PD: È proprio così, ma siamo sicuri che possa funzionare anche questa volta, nel senso che avviare, più o meno inconsapevolmente, un processo di trasformazione, per contrastarlo, lasciandolo a metà, non potrebbe causare danni irreparabili? E poi, di fatto, aderire al BIM, ad esempio, significa entrare nella infosfera, senza avere spesso i codici interpretativi necessari.

 

Dal BIM al Gemello Digitale ((Ingenio))

 

L'evoluzione digitale è un processo governabile? 

MD: Cari studiosi, in effetti, questa è proprio la sensazione prevalente: che si stia cercando, tra digitalizzazione e sostenibilità, di costruire un impalcato di facciata dietro al quale le caratteristiche strutturali rimangano sostanzialmente inalterate, ma, al contempo, di innescare meccanismi difficilmente governabili.

 

PA: Non demonizziamo gli operatori: credo che siano sinceri nell’aspirare a incrementare le proprie condizioni di efficienza e di efficacia, ma non possiamo chiedere loro di snaturarsi. In fondo, se davvero la digitalizzazione servisse a migliorare le prassi analogiche, perché non esserne soddisfatti? Poi, siamo sicuri che siano così insoddisfatti delle lacune dell’analogico?

 

PD: Mi pare una considerazione legittima, ma dobbiamo interrogarci: vale la pena realmente chiedere al mercato, sia alla domanda sia all’offerta, di sostenere ingenti investimenti per migliorare processi che potrebbero essere incrementati altrimenti?

 

MD: A questo proposito, esistono ormai obblighi di legge e riferimenti a norme volontarie, ma non vi pare che questi siano espresse in un linguaggio poco accessibile?

 

PD: Bisogna, in primo luogo, dire che un gergo che esprime una propria tecnicalità sia del tutto legittimo, è frutto di anni di riflessioni e di studi. Dopodiché, occorre che i contenuti siano comprensibili a tutti gli operatori, ma è altresì vero che questi ultimi non paiono spesso volersi sforzare oltremodo nell’approfondire.

 

PA: Diciamo, però, che i sostenitori della digitalizzazione si fanno sempre carico di promesse che siano verificabili solo nel medio e nel lungo periodo, mentre gli operatori quasi sempre non possono andare oltre il breve periodo. Un tale disallineamento non consentirà facilmente la disseminazione.

 

PD: Qui cadiamo in un circolo vizioso: se ci allontaniamo dal ricorso corto-mirante agli strumenti, qualunque essi siano, nessuno può pretendere che la riconfigurazione del mercato e il ripensamento della catena di valore avvengano dall’oggi al domani. Non è per questo che si debba giustificare l’avversione al cambiamento.

 

Digitalizzazione: quanto è stato fatto fino ad oggi?

MD: Scusatemi, ma mi pare che il CRESME abbia stimato in circa 5.000 i Progetti, nel senso degli investimenti pubblici in lavori pubblici, che nel 2025 dovranno essere realizzati con la gestione informativa digitale. Pensate che la domanda pubblica, così come l’offerta privata, siano pronte?

 

PD: Temo che non lo siano né che lo saranno, ma devo dire che, considerando che il DM 560/2017 risale, appunto, a ormai sette anni or sono, tanto la domanda pubblica quanto l’offerta privata abbiano, in linea generale, fatto ben poco per attrezzarsi tempestivamente. La strategia è sempre quella di trascurare e di differire, al fine di dichiarare l’impraticabilità dell’obbligo.

 

PA: Che cosa ci si sarebbe dovuto aspettare? Non ci si accorge che le criticità strutturali, dall’età media dei dipendenti pubblici nelle posizioni apicali alla carenza di organico, rendano impossibile l’avverarsi delle previsioni di legge? Se poi guardiamo sia alla domanda sia all’offerta, il nanismo dimensionale prevale. E sappiamo bene che l’impiego pubblico non è attrattivo.

 

PD: Ciò che si può rilevare, in realtà, è che i meritori tentativi di esercitare pressioni sul mercato non siano stati accompagnati da un’altra leva, la funzione da agency, di capacità di azione, che le strategie e i programmi nazionali stanno esercitando negli altri Paesi Europei, Stati Membri o meno, centralisti o federali, dal Regno Unito alla Germania, dalla Francia alla Spagna. Il mercato necessita di essere orientato e accompagnato.

 

PA: D’altra parte, anche se l’eccesso della domanda, pubblica e, soprattutto, privata nei confronti di una offerta privata iper sollecitata si sta progressivamente attenuando, mancano in assoluto neolaureati e neodiplomati a sufficienza e i profili più innovativi legati a digitalizzazione e a sostenibilità stentano a crescere. Come pensate che, dal 2025, si possano ritrovare nelle amministrazioni pubbliche CDE CoordinatorBIM Manager e BIM Coordinator?

 

L'intelligenza artificiale entra nella digitalizzazione delle costruzioni
L'intelligenza artificiale entra nella digitalizzazione delle costruzioni ((INGENIO))

Il ruolo del nuovo codice dei contratti

MD: Eppure il Codice dei Contratti Pubblici contiene molti riferimenti al processo di digitalizzazione.

 

PD: I riferimenti alla digitalizzazione che si rinvengono nel D. Lgs. 36/2023 sono, tuttavia, scissi in due componenti, non del tutto sinergiche: l’approvvigionamento digitale, ovvero l’e-Procurement e la gestione informativa digitale, vale a dire l’Information Management. Ne è prova la necessità di integrare o di rendere interoperabile la piattaforma di approvvigionamento digitale e l’ambiente di condivisione dei dati, i due corni della gestione del contratto pubblico, tra affidamento ed esecuzione.

 

PA: L’ostinazione con cui si è voluto enfatizzare la digitalizzazione quale valore in sé ha condotto a una paradossale dicotomia e, in parte, sovrapposizione tra l’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici, nell’ambito di un ecosistema digitale olistico, che ha ricompreso anche la qualificazione di stazioni appaltanti o di enti concedenti.

 

PD: A questo proposito, anche se il Codice tendenzialmente è incentrato verticalmente sul singolo investimento pubblico e sul ciclo di vita del contratto pubblico, esso contiene molti riferimenti alla dimensione opposta della programmazione pluriennale degli investimenti e della gestione patrimoniale complessiva dei beni fisici oppure cyber fisici. Su questo punto ci si è piuttosto distratti, nonostante il testo di legge e i relativi allegati, sia pure in termini facoltativi, ne accennino esaurientemente. Non dimentichiamo che al centro della digitalizzazione del cespite sta la sua vita utile di servizio.

 

PA: Caro collega, figurati se questo aspetto abbia attratto l’attenzione di soggetti già infastiditi dagli obblighi dell’innovazione digitale che essi faticano a comprendere. La maggior parte di essi semmai, tardivamente, cercherà di capire come adempiere formalmente all’obbligo, cercando di redigere qualche estemporaneo capitolato informativo.

 

MD: D’altra parte, non si tratta semplicemente di rispettare obblighi di legge che si riferiscono al singolo investimento pubblico?

 

PD: Proprio qui risiede il peggiore errore che si immagini di compiere e che si sta commettendo: risolvere puntualmente e discontinuativamente la necessità di configurare processi e flussi che non soffrano di soluzioni, di interruzioni, a partire dalla formulazione dei requisiti informativi strategici, di carattere organizzativo e patrimoniale.

 

PA: Gentile collega, non starà mica accennando ai cosiddetti OIR e AIR? Chi li capisce? Si tratta semplicemente di redigere un capitolato informativo e di risolvere la vicenda con qualche, ahimé, costoso strumento.

 

PD: Qui devo totalmente dissentire, poiché si seguita a equivocare: senza affrontare il tema a livello dell’intera organizzazione, senza coinvolgere nella gestione del dato (possibilmente strutturato) tutte le unità organizzative della amministrazione pubblica nella gestione dinamica dei processi decisionali, non si otterrà nessuna vera e propria digitalizzazione, che comporterebbe progressivamente l’affrancamento del dato dal documento e una semi automazione di alcuni processi decisionali. Del resto, il capitolato informativo non è più un documento (sic!) autonomo, ma fa parte del documento di indirizzo alla progettazione, per poi evolvere nel corso della progettazione e oltre.

 

Milano, rigenerazione urbana verticale ed orizzontale
Milano, rigenerazione immobiliare urbana verticale ed orizzontale

 

Quale futuro per le costruzioni: digitalizzate o analogiche?

MD: Secondo Voi, che cosa ci si può aspettare per il prossimo futuro?

 

PD: La parte principale degli attori maggiori della domanda e dell’offerta si è attrezzata digitalmente, almeno in termini analogici, con qualche sforzo e con alcuni risultati positivi, così come altre organizzazioni medio-piccole particolarmente motivate, ma per la maggior parte degli operatori il tema resta sideralmente lontano e remoto.

 

PA: La cosa non può meravigliare, troppi aspetti sembrano astratti e altri troppo impegnativi, fuori scala. Qui occorre intervenire nel vissuto quotidiano, bisogna esprimersi con parole semplici, soprattutto, familiari ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

 

MD: Il tema della scalabilità mi pare rilevante.

 

PA: Certamente, vi è tutto un costrutto che mira ad asserire che tutte le soluzioni siano scalabili: al contrario, occorre semplificare, per i più, ma ciò davvero consente di conservare la essenza del tema? Oppure la semplificazione non crea un divario digitale tra diverse interpretazioni a scale differenti?

 

PD: Ancora una volta, si fa confusione: un conto è tenere conto delle dimensioni e di altri elementi, ma ciò non permette di passare tout court alla banalizzazione. Un conto è rivolgersi al mercato in maniera semplice, un altro è semplificare.

 

MD: Ritorniamo al BIM.

 

PD: Io vorrei tanto fare a meno del BIM: ormai l’acronimo, che indica una parte che sta per un tutto, ha perso, ritengo, significato e contribuisce a creare confusione, anche perché sono ben altri i dispositivi più avanzati della digitalizzazione. Oltre al tutto, tutti noi, digitali, abbiamo contribuito negli ultimi lustri, a creare un immaginario del BIM che non avrebbe potuto inverarsi. Sono, però, cosciente del fatto che dell’acronimo non ci libereremo, perché evoca significati non meglio definibili.

 

PA: A me pare veramente curioso che il collega, noto per essere un profeta del BIM, ora lo rinneghi. Ma se il BIM non è ancora davvero penetrato e non è stato interiorizzato dal mercato, come si può pensare al quantico e oltre? Sappiamo bene che la partita si gioca non sui campioni, ma sulla disseminazione in filiere articolate e lunghe.

 

PD: Di là di una facile ironia, anche a me infastidiscono i superficiali richiami, sempre più insistiti, a titolo esemplificativo, ai cosiddetti gemelli digitali, epperò forse bisognerebbe riconsiderare anche il BIM, o meglio, la modellazione informativa, nella sua veste più corretta, legata alle basi di dati.Non scordiamo che ormai si inizia a lavorare, per gli ambienti di condivisione dei dati, sullarelazione tra macchine.

 

MD: Il colloquio mi pare molto interessante, ma temo che vi sia abbastanza tempo per sviscerare temi così complessi. Vorrei, comunque, capire meglio ciò che possa stare oltre il BIM.

 

PD: Parlando di modelli, segnatamente a proposito dei modelli informativi, credo abbiamo eccessivamente enfatizzato la questione geometrico-dimensionale, sia pure parametrica, in molti casi generativa, a discapito del risvolto alfa-numerico. Soprattutto, non ci siamo interrogati abbastanza su che cosa significhino rappresentazione e simulazione: per gli esseri umani e per gli algoritmi. Da ciò discende anche un certo semplicismo su aspetti come quelli legati al gemello digitale.

 

PA: Vorrei venire incontro all’amico PD: perché mai demonizzare l’ambiguità, ad esempio, quella contenuta nello schizzo? Perché volere rendere tutto interpretabile dall’algoritmo che apprende, in modo supervisionato o meno, generativo o meno, etichettando questo processo come intelligenza, in assenza di una coscienza? Non è vero che si sia passati dalla logica alla statistica?

 

PD: Devo qui sentirmi in completa sintonia col collega: credo che stiamo assistendo ad alcuni fenomeni su cui esercitiamo poca attenzione critica, perché, di là di discorrere di connessione tra le entità, di intelligenza artificiale o di notarizzazione decentrata delle transazioni, di sicurezza e di protezione dei dati, non stiamo avviando, anche nel settore della costruzione e dell’immobiliare, un serio ragionamento sull’etica della digitalizzazione nell’ambiente costruito.

 

PA: Vabbé, ma se vi siete dimenticati che digitale deriva da dito e modello da modulo, come potete ora cercare di evadere dalla computazionalità?

 

MD: Qui interviene il confronto col mondo della manifattura.

 

PD: Si tratta di un confronto più che centenario, mai risolto, ma bisogna dire che la digitalizzazione della manifattura è stata sicuramente virtuosa, oltre che più precoce di quella dell’ambiente costruito, ma si basa su uno stato di necessità ancora oggi ignoto nel nostro settore, senza considerare il fatto che i modi della produzione siano intrinsecamente assai più consoni alla logica digitale.

 

PA: Bella forza, perché ostinarsi sempre al confronto con ambiti incommensurabili?

 

PD: A parte il fatto che anche, ad esempio, l’agricoltura si stia fortemente digitalizzando, è opportuno ricordare che la posta in gioco riguarda l’identità degli attori, non solo i modi della produzione. Di questo aspetto persino le rappresentanze non si stanno facendo adeguatamente carico.

 

BIM o non più BIM?

MD: Andando verso la conclusione, vorrei un po’ tirare le somme: BIM o non più BIM?

 

PD: Anzitutto, vorrei storicizzare alcuni passaggi dell’ultimo periodo: una certa fortuna dell’acronimo ha fatto sì che, a parte alcuni esperti accademici (si sa che il rapporto degli operatori con l'accademia sia abbastanza controverso), la consulenza strategica sia stata prevalentemente erogata dalle organizzazioni che mettono a disposizione anche gli strumenti. Ciò è avvenuto poiché, appunto, il BIM necessita di essere supportato dai dispositivi e partire da essi consente di reificare il tema del processo e del metodo, più intangibili. Ora, in termini di commodity, quel ruolo inizia a essere svolto dalle grandi società di consulenza generale, entro uno spettro di servizi più ampi. La domanda che ci si deve porre, tra BIM e gestione informativa digitale, è se questa evoluzione permetta una migliore sartorialità o, all’opposto, una maggiore normalizzazione, se in primo luogo stiano le organizzazioni o le commesse.

 

PA: Beh, sarà difficile che gli operatori, per primi, ricerchino una personalizzazione se percepiscono l’obbligo come un fardello da neutralizzare. Ritorniamo al tema del ritorno sull’investimento, che si stima in quattro-cinque anni.

 

PD: Assolutamente, non solo. Di là di un ossimoro (rendere analogico il digitale), persiste anche la convinzione che la tecnologia impersonificata dal BIM sia neutrale. Chiunque abbia cognizione della storia del BIM, così come del CAD, conosce bene quali siano stati i contesti in cui la tecnologia sia sorta e in quale quadro valoriale. Si dovrebbe parlare di BIM solo dopo averne indagato seriamente le origini, che risalgono agli Anni Cinquanta e solo dopo aver letto la tecnologia cogli occhi della ingegneria dell’informazione.

 

DM: Che cosa è, allora, la digitalizzazione per l’ambiente costruito?

 

PD: Per prima cosa, chiediamoci che cosa sia oggi l’ambiente costruito, tra edifici, infrastrutture, reti e comportamenti. Di fatto, la digitalizzazione sta ibridando il cespite fisico, lo sta facendo divenire un bene comportamentale, in cui il dato sempre più potrà, con tutti i limiti, contribuire autonomamente a governare le decisioni?

 

PA: Posta in questo modo, la questione si fa seria, nel senso che questa digitalizzazione, gemellata colla sostenibilità, porrebbe davvero un interrogativo inerente alla radicalità della trasformazione promessa…

 

PD: È proprio per questo, che occorre chiarire quale sia il discrimine tra uno sforzo, tutto sommato, modesto di modernizzare il processo, cioè di migliorare ciò che avviene da sempre, oppure dare avvio a una riconfigurazione che agisca profondamente sulla catena di fornitura e sulla catena del valore.

 

PA: Capisco ora perché la infastidisca la citazione superficiale del BIM come sinonimo della digitalizzazione. Il rischio è quello di consentire che i fenomeni avvengano, accettando di aderire a ecosistemi digitali senza averne consapevolezza e senza coglierne le implicazioni.

 

PD: A me desta preoccupazione il fatto che si identifichi la digitalizzazione con una serie di tecnologie che si sciorinano disinvoltamente.  Bisogna, invece, interrogarsi sul significato del dato, della possibilità di interrogare e di sfruttare dati non strutturati o strutturati, dal data lake alla data warehouse.

 

DM: Il settore è sensibile?

 

PD: Francamente, tranne le dovute eccezioni, non mi pare: potrà esserlo forse allorché si materializzeranno i rischi, dalla violazione del dato al contenzioso sulla sua proprietà, ma non ritengo che a breve molti operatori colgano poco la valenza sistemica di ciò che sta avvenendo.

 

PA: Come può essere sensibile se non possiede una cultura del dato?

 

PD: A lungo si è creduto al committente come motore primario della trasformazione digitale, ma molto spesso così non è stato, perché ​questi non ha saputo interiorizzare il tema e, anzi, è stato il primo a subirlo. Ora vedremo quale sarà il ruolo dell’operatore finanziario.

 

DM: Che cosa intende?

 

PD: L’operatore finanziario, di per se stesso, è, ovviamente molto sensibile alla mitigazione del rischio nel proprio ambito di competenza: laddove a esso si aggiunga, a livello del diritto comunitario, la gestione del rischio legato alla finanza sostenibile, riversato su ed esteso a la intera catena di fornitura, degli operatori economici cui eroga risorse, la digitalizzazione costituisce un formidabile strumento per alimentare indicatori almeno semi quantitativi inerenti alle materialità.

 

DM: Quale conclusione trarre?

 

PD: Nessuna, laddove il fenomeno è in continuo divenire. Occorre auspicare che intervenga una maggiore conoscenza della natura dei dati e una maggiore coscienza delle sue ricadute. Possiamo davvero abbandonare la causalità, perché, comunque, stiamo accettando di predire gli accadimenti senza offrirne una spiegazione causale? Del resto, ormai molti colleghi del settore utilizzano una rete neurale. Come spiega Luciano Floridi, siamo passati a un approccio connessionista. 

 

PA: Rimarremo a metà del guado?

 

PD: Temo di sì, ma ciò vorrà dire che qualcun altro ci traghetterà all’altra sponda senza che ce ne accorgiamo.

 

DM: Che cosa si vuol dire?

 

PD: Semplicemente che è terminato il tempo delle facili narrazioni e che è iniziato quello del disincanto. Sviluppiamo una maggiore conoscenza del tema e otterremo anche una migliore coscienza critica dello stesso. Alcune delle forme di ciò che forse impropriamente definiamo intelligenza artificiale mettono in risalto una diversa comprensione del tema della causalità rispetto alla interpretazione e alla previsione dei fenomeni. È in questo orizzonte che si deve iscrivere, specie nei tentativi frequenti di normalizzazione (si pensi al data dictionary, all’ontologia, e così via recitando), la digitalizzazione del settore. Il BIM, in fondo, non è un modo, tra gli altri, di produrre dati. Come saranno essi usati? Ha davvero senso subordinare il nostro modo di agire a quello necessario agli algoritmi? La promessa di efficienza prospettata dal digitale non nasconde minacce? 

Credo che dovremmo formare un profilo diffuso di soggetto digitalmente consapevole per la gestione dell’ambiente costruito.

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