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L’impiego della precompressione esterna nella riparazione e nell’adeguamento statico dei ponti

Precompressione esterna: che cosa è, in quali casi utilizzarlo e i principali criteri di progettazione

La precompressione esterna, proposta fin dal 1934 da Dischinger, sta conoscendo in questi anni una crescente diffusione sulla spinta degli studi e delle applicazioni svolte in particolare negli Stati Uniti, in Belgio ed in Francia. Il suo impiego riguarda sia la costruzione di nuovi ponti, ed in special modo quelli costruiti con conci prefabbricati, che il rafforzamento di quelli esistenti.

In questo secondo caso la precompressione esterna può risultare utile per diverse ragioni come adeguare un ponte a nuovi e più pesanti carichi, consentire l’allargamento dell’impalcato, rimediare ad errori di progettazione o ripristinare il livello di precompressione iniziale ridottosi per cause naturali o accidentali.

Un notevole vantaggio della precompressione esterna è che essa, prevedendo l’impiego di cavi disposti al di fuori della sezione resistente di calcestruzzo, richiede interventi limitati sulla struttura in esercizio talché spesso è possibile non chiudere totalmente il ponte al traffico.

Nel seguito verrà trattato solo il caso di cavi in acciaio armonico anche se lo sviluppo di nuovi materiali non metallici, quali i polimeri rinforzati con fibre, fanno prevedere nuove interessanti applicazioni.

 

Gli aspetti teorici alla base della precompressione esterna

L’analisi di una struttura con cavi non aderenti risulta generalmente più complessa di quella di una analoga struttura con armature aderenti, sia post-tese che pre-tese. Ciò perché la tensione dell’acciaio non dipende più dal comportamento della sola sezione che si sta studiando bensì dalla deformazione dell’intero elemento strutturale (Figura 1)

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L’allungamento unitario nel cavo è costante (a meno di piccole variazioni dovute agli attriti nei deviatori, se presenti) su tutta la lunghezza e si ottiene imponendo la compatibilità geometrica tra il cavo, vincolato alla struttura in un numero discreto di punti (ancoraggi, deviatori e sostegni) , e la struttura stessa nella sua configurazione deformata.

Ciò fa sì che l’incremento di tensione nel cavo dovuto ai carichi esterni, sia molto modesto e difficilmente si raggiunga lo snervamento dell’acciaio prima del collasso del calcestruzzo nella sezione più sollecitata. 

In generale, quindi, la precompressione esterna comporta una diminuzione della duttilità e quindi della redistribuzione dei momenti nelle strutture iperstatiche.

Dal punto di vista del calcolo un criterio molto semplificato (e comunque a favore di sicurezza) per trattare la precompressione esterna è quello di supporre la forza nel cavo costante e pari al valore di pretensione, al crescere dei carichi esterni. Ciò equivale a considerare nullo l’allungamento complessivo del cavo ovvero a trattare questa forza di precompressione come una forza esterna.

Un criterio più approssimato, valido però solo per travi semplicemente appoggiate e cavi con andamento simmetrico, è quello proposto da Naaman [5].

Il calcolo viene ricondotto a quello di una sezione in cemento armato precompresso con armature aderenti mediante l’introduzione di un coefficiente riduttivo Ω dell’allungamento dell’acciaio. (Ovviamente l’ipotesi vista in precedenza di forza costante equivale ad assumere Ω = 0).

Il coefficiente Ω è diverso per i tre stati in cui può trovarsi la sezione: (AB) elastica non fessurata, (BC) elastica fessurata, (CDE) stato limite ultimo (Figura 2).

 

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I valori di Ω, ΩCR, Ωµ vengono forniti dall’Autore per diverse condizioni di carico e vari profili di cavi e sono riportati nelle Figura 3 e Figura 4.  Nel caso di strutture molto deformabili, può essere necessario considerare la variazione della eccentricità dei cavi nei trattati liberi compresi tra due blocchi di deviazione o di sostegno successivi (Figura 5). Questo effetto del 2° ordine non si ha per i cavi interni  alla sezione la cui eccentricità non dipende dalla configurazione assunta dalla struttura.
Peraltro la necessità di disporre blocchi di sostegno, dettata dalle esigenze costruttive esposte più avanti, riduce molto questo effetto.

 

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I RIFERIMENTI NORMATIVI

La regolamentazione normativa della risposta di una struttura precompressa con cavi non aderenti è ancora in corso. Le normative dei vari paesi, avendo adottato formulazioni ottenute dagli studi svolti nel corso degli anni, propongono prescrizioni o suggerimenti in continuo aggiornamento e differenti tra di loro. Di seguito si riassumono alcune delle principali normative mondiali che trattano in modo più o meno approfondito il tema. Quella Italiana, anche nella sua ultima versione 2018, riguardo ai casi di precompressione esterna a cavi non aderenti al calcestruzzo rimanda alla UNI EN 1992-1-1.

  • Europa - CEN (European Committee for Standardization). 2004. Euro-code 2: Design of concrete structures - Part 1-1: General rules and rules for buildings ;
  • Europa - CEN (European Committee for Standardization); 2005. Euro-code 2: Design of concrete structures - Concrete bridges - Design and detailing rules;
  • Europa - ETAG 013, Guideline for European technical approval for post-tensioning kits for prestressing structures ;
  • Europa - ETA-13/0815: Euroepan Technical Approval for DYWIDAG Bonded Post-Tensioning Kit for Prestressing of Structures with 3 to 55 strands ;
  • Europa - ETA-07/0186-2016: European Technical Assessment for SUSPA-Wire EX - External prestressing system with 30 to 84 prestressing steel wires ; 
  • Regno Unito - DMRB Volume 1 Section 3 Part 9 (BD 58/94) Highway structures: Approval procedures and general design. General design. Design of concrete highway bridges and structures with external and unbonded prestressing ; 
  • USA - AASHTO LRFD Bridge Construction Specifications - sezione 5 - Components with Unbonded Tendons.

Criteri generali di progettazione

L’aggiunta dei cavi esterni può rendersi necessaria per migliorare il comportamento della struttura nei confronti degli stati limite ovvero (o in aggiunta) per aumentarne la durabilità e le prestazioni in esercizio.

Nel primo caso, il più frequente, si tratta di far crescere la sicurezza a rottura per flessione o per taglio di strutture in cui questa sicurezza non è adeguatamente garantita. Una tale deficienza può derivare da molteplici cause quali errori iniziali di progettazione, aumento dei carichi (tipico è il caso dell’allargamento del ponte), riduzione della sezione delle armature preesistenti per ossidazione o rottura di alcuni fili etc.

In questi casi l’entità della forza di precompressione aggiuntiva, necessaria per raggiungere lo scopo, non può superare la soglia fissata dalla resistenza a compressione del calcestruzzo per definire la quale è indispensabile conoscere: 

a. La forza di precompressione residua nei cavi preesistenti;

b. L’effettiva resistenza a compressione del calcestruzzo.

Va comunque osservato che questi interventi vengono generalmente effettuati su strutture molto “anziane” in cui la precompressione aggiuntiva deriva spesso più da questioni di ingombro che da criteri di resistenza.

L’aumento della durabilità di un’opera per effetto della precompressione esterna può ottenersi indirettamente nel caso di strutture fessurate. Peraltro difficilmente la sola precompressione aggiuntiva riesce ad eliminare totalmente le fessure esistenti che vanno quindi preliminarmente iniettate con resine.

In ogni caso è importante rilevare come i cavi esterni non risentano negativamente della formazione di fessure nel calcestruzzo, come accade invece per le armature aderenti le quali, in corrispondenza di queste, vengono a contatto dell’atmosfera (Ciò spiega perché la precompressione esterna venga ritenuta una valida soluzione nel caso di precompressione parziale).

Un miglioramento del ponte in servizio può infine aversi in tutti quei casi in cui si siano manifestate deformazioni eccessive senza che necessariamente la struttura si sia fessurata: è questo il caso di molti ponti costruiti a sbalzo per conci successivi, della prima generazione, nei quali si sono sottovalutati gli effetti della viscosità (Figura 6). Purtroppo proprio la forte incidenza delle deformazioni viscose fa si che gli spostamenti che si possono recuperare con la precompressione esterna siano solo una frazione, in genere non superiore al 20÷ 30% del totale.

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La scelta della disposizione dei cavi

L’andamento dei cavi esterni è costituito da una serie di tratti rettilinei compresi tra gli ancoraggi e le selle di deviazione. Ciò se si trascurano, come quasi sempre è lecito, gli effetti del peso proprio del cavo rispetto a quelli del tiro, molto elevato.

Una importante decisione progettuale è quella relativa alla disposizione dei cavi che possono essere paralleli all’asse della struttura o configurati in modo da seguire l’andamento dei momenti esterni.

Nel secondo caso, evidentemente, aumenta l’efficacia della precompressione esterna sia nei riguardi della resistenza della struttura che della eventuale correzione della sua geometria; questi vantaggi si pagano però con la necessità di avere selle di deviazione le quali, oltre ad essere costose di per sé, causano cadute di tensione per attrito nei cavi.

Per questo motivo, nel caso di molte deviazioni angolari, è consigliabile usare i cavi formati da trefoli singolarmente inguainati ed ingrassati (o cerati).

Anche nel caso di cavi dritti, comunque, è opportuno prevedere selle di appoggio aventi lo scopo di sorreggere i cavi nella fase di montaggio (cosa che peraltro si può fare facilmente anche con sostegni provvisori) e di limitarne le vibrazioni causate dal traffico in esercizio. Queste selle di appoggio sono sollecitate solo da forze modeste causate da imperfezioni di montaggio (una deviazione angolare non voluta di 1 ÷ 2° appare un valore ragionevole) e quindi sono di semplice esecuzione. Il loro interesse è generalmente fissato in 10 ÷15 m.

Trasversalmente, se la sezione del ponte è a cassone, i cavi vengono disposti all’interno dell’impalcato (Figura 8). Nel caso di sezioni aperte, invece, può essere conveniente disporre i cavi sull’esterno delle anime o all’intradosso, in modo da non dover forare i trasversi, come fatto nell’esempio di Figura 7.

 

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Le forze di deviazione e di ancoraggio 

Il problema principale, nel caso di precompressione esterna su ponti esistenti, è il trasferimento delle forze alla vecchia struttura in corrispondenza degli ancoraggi e degli eventuali deviatori. (Per questi ultimi le [3] consigliano raggi minimi che vanno da 2 m, per cavi da 7 trefoli da 06”, a 3 m per cavi da 19 trefoli 06”).

Ciò può essere fatto sostanzialmente in due modi: (i) creando una struttura ausiliaria, che trasmetta le forze in giuoco al calcestruzzo esistente per pressione frontale (Figura 9a); (ii)con trasmissione di sforzi di taglio attraverso dispositivi meccanici ovvero per attrito (Figura 9b).

Possono aversi anche sistemi misti (Figura 9c) ove la forza di ancoraggio è trasmessa per pressione al trasverso che a sua volta per attrito, avvalendosi di una precompressione aggiuntiva, la trasmette alle travi.

La trasmissione per taglio può essere realizzata attraverso connettori inghisati (generalmente con resine) in fori praticati nella struttura esistente ovvero, per forze piccole, > direttamente nel vecchio calcestruzzo.

 

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In presenza di forze rilevanti o di concomitanti sforzi di trazione i connettori possono essere passanti. In questo caso sarà opportuno, date le incertezze proprie del problema, garantire un coefficiente di sicurezza allo scorrimento di almeno 2 (Figura 10).

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Qualora la forza da trasmettere in corrispondenza di un deviatore sia ortogonale al piano di contatto tra vecchio e nuovo getto, cioè di trazione, diviene estremamente difficile conoscere la sua esatta ripartizione a causa delle inevitabili imperfezioni di montaggio (Figura 11).

Tali situazioni sono quindi da evitare e, nel caso ciò non risulti possibile, è opportuno operare la ripartizione della forza con criteri estremamente cautelativi.

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