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La durabilità delle strutture soggette a cicli gelo/disgelo e trattamento dei sali disgelanti

Calcestruzzo resistente ai cicli di gelo/disgelo: Approccio alternativo ai calcestruzzi aeranti - “Nota a) - prospetto 5 – norma UNI 11104”.

L’argomento delle strutture di calcestruzzo esterne è molto delicato da affrontare, poiché oltre alle tematiche relative alle sollecitazioni dovute ai carichi, alle condizioni di uso, si potrebbero presentare, in aggiunta, condizioni severe di durabilità, il tutto sommato alla scarsa attenzione al monitoraggio e alla manutenzione, rischia di ridurre notevolmente la vita di servizio delle strutture stesse; ciò trattato nel presente articolo è il caso tipico delle strutture stradali e opere accessorie.

Per tutto ciò, prima di procedere alla progettazione e alla realizzazione di una struttura di calcestruzzo esterna, considerando tutti i fattori che interverranno contemporaneamente o non contemporaneamente a sollecitarla, va scelto il calcestruzzo adeguato, che risponda alle prestazioni richieste e auspicate in fase di progetto, sia per le sollecitazioni dovute ai carichi, che all’ambiente che la circonda.

Per il caso in oggetto si tratta di una struttura e/o elementi strutturali che operano in servizio in clima rigido, laddove per prevenire la formazione del ghiaccio si fa, anche, ampio utilizzo di soluzione saline a base di cloruro di sodio e/o di calcio, miste a pietrischetto per aumentare l’attrito dei pneumatici sulla pavimentazione stradale.

Queste strutture, quindi, si trovano esposte a un molteplice rischio di aggressione derivante dall’azione combinata:

  • dell’anidride carbonica dell’aria con fenomeni di carbonatazione del calcestruzzo e conseguenti fenomeni di corrosione nei confronti delle armature;
  • dai cloruri, dell’agente disgelante, quali anche essi scatenanti fenomeni di corrosione delle armature;
  • dei sali disgelanti nei confronti del calcestruzzo;
  • dei cicli di gelo-disgelo sia sulla matrice cementizia che sugli aggregati.

Pertanto, per tutte queste strutture, si devono adottare dei provvedimenti congiunti, finalizzati alla prevenzione dei possibili meccanismi di degrado a cui le strutture stesse saranno sottoposte, senza dimenticare, anche, l’eventuale attacco chimico, qualora fosse presente.


Definizione degli ambienti di servizio delle strutture

In base alle considerazioni esposte precedentemente, emerge che al fine di garantire la durabilità delle strutture esposte al degrado è necessario adottare dei provvedimenti tanti più stringenti quanto maggiore è il rischio a cui le stesse sono esposte. Questo approccio è quello adottato dalla norma europea UNI EN 206 e della norma UNI 11104.

Le norme caratterizzano l’ambiente, in cui la struttura sarà in servizio, individuano una serie di classi di esposizione ambientale ed il corrispondente meccanismo di degrado delle strutture, come si può vedere dalla Tabella 1 che segue. La prosecuzione del seguente lavoro, sarà incentrata sulla spiegazione dei singoli meccanismi di degrado.

 

Classi di esposizione ambientale in accordo alla UNI EN 206 e alla UNI 11104
Tabella 1 - Classi di esposizione ambientale in accordo alla UNI EN 206 e alla UNI 11104


Analisi delle forme di degrado oggetto del presente studio – Strutture in calcestruzzo armato soggette a cicli di gelo/disgelo e attacco da sali disgelanti


Attacco da cloruri - Le strutture in classe di esposizione XD

Le tipologie di strutture in calcestruzzo armato esposte al rischio di attacco da parte dei cloruri, sono varie, in quanto questo ione è presente nei sali disgelanti, oggetto di questo studio, nelle salamoie derivanti da alcune lavorazioni industriali e nell’acqua di mare.

La corrosione promossa dal cloruro rappresenta una delle principali e più diffuse cause di dissesto delle strutture in calcestruzzo armato. Infatti, le barre d’armatura, in presenza di cloruri subiscono una corrosione localizzata che si manifesta sottoforma di crateri di dimensioni variabili tra 1 e 10 mm.

La corrosione da cloruro è tanto più intensa quanto maggiore è il tenore di ossigeno che perviene in prossimità delle barre. Sono maggiormente esposte al degrado le strutture aeree, per contro quelle completamente immerse o interrate necessitano di rilevanti concentrazioni di cloruro in prossimità delle barre che difficilmente si raggiungono durante la vita nominale delle strutture. Pertanto, per le strutture completamente immerse o interrate la corrosione da cloruri è ingegneristicamente poco significativa.

È cosa conosciuta che le barre d’armatura, immerse nel calcestruzzo a pH, prossimi a 13 è difeso da uno strato protettivo, che agisce da neutralizzatore di possibili fenomeni di corrosione elettrolitica. Nel momento i cloruri giungono a contatto con lo strato passivante questo viene distrutto, causando l’innesco di una serie di reazioni elettrochimiche che portano inevitabilmente al progressivo danneggiamento delle barre d’armatura. Affinché ciò avvenga, occorre la contemporanea presenza di ossigeno e di sufficienti concentrazioni di cloruro.

La rottura dello strato di protezione provocata dai cloruri ha luogo in forma localizzata; il meccanismo con cui avanza la corrosione, inoltre, tende a stabilizzare la localizzazione dell’attacco, poiché si crea una concentrazione di cloruri e un abbassamento del pH all’interno della zona di corrosione, e a rinforzare il film passivo in quella circostante. Si comprende quindi come la morfologia dell’attacco sia quella tipica della forma di corrosione localizzata con la comparsa di “crateri”.

Il fenomeno di corrosione localizzata, precedentemente richiamato, è meglio noto come pitting (dall’inglese “pit” = “cratere”), può raggiungere valori di velocità corrosiva piuttosto significativi; in calcestruzzo umido e con elevato contenuto di cloruri in prossimità delle armature, si possono anche raggiungere velocità di penetrazione di 1÷1,5 mm/anno.

In pratica l’attacco corrosivo, una volta innescato, può portare in tempi piuttosto brevi a riduzioni inaccettabili della sezione delle armature o, peggio, al troncamento, anche nelle comuni condizioni di esposizione atmosferica.

Pur essendo il meccanismo di corrosione promosso dai cloruri sia lo stesso, a prescindere dalla loro provenienza, la classificazione delle norme UNI EN 206 e UNI 11104 divide in due classi differenti l’attacco da cloruri:

  • provenienti da acqua di mare (XS);
  • provenienti da altre fonti (XD), come da vasche di processi industriali, piscine, infrastrutture viarie sottoposte ai sali disgelanti.

Il motivo della diversificazione è da ascriversi a due peculiarità dell’ambiente marino. Innanzitutto i cristalli dei sali depositati dall’acqua, nei periodi di alta marea, aumentano di volume nella fase successiva di bassa marea generando tensioni nella pasta cementizia capaci di produrre fessurazioni e delaminazioni; secondariamente esiste l’effetto abrasivo sul conglomerato per effetto dei solidi in sospensione agitati dal moto ondoso.

In Italia, esistono delle zone, che a causa condizioni climatiche particolari, si trovano contemporaneamente soggette ai cicli di gelo/disgelo, attacco da sali disgelanti e attacco da cloruri provenienti dall’acqua di mare, come, ad esempio, la zona di Trieste.
Il maggior degrado che subisce il calcestruzzo, con l’attacco da cloruri, si riflette, ovviamente, sulla velocità di penetrazione dei cloruri con attacco precoce delle barre d’armatura.

Il tempo necessario al cloruro per raggiungere in prossimità delle barre una concentrazione critica sufficiente per innescare il processo corrosivo dipende dalla porosità della matrice cementizia e dallo spessore del copriferro: calcestruzzi con rapporti a/c relativamente bassi e spessore sufficientemente elevati del copriferro possiedono una eccellente durabilità nei confronti di questi ioni aggressivi.

Inoltre, la penetrazione del cloruro nel calcestruzzo può essere ulteriormente rallentata ricorrendo all’impiego di cementi pozzolanici e d’altoforno i cui prodotti di idratazione sono capaci di adsorbire parzialmente il cloruro allungando il tempo necessario perché in prossimità delle barre si raggiunga la concentrazione critica. Sebbene non esista una sostanziale differenza in termini di effetto corrosivo a seconda della fonte di provenienza del cloruro la normativa distingue la corrosione da cloruri in funzione che essi provengano o meno dall’acqua di mare.

 

Degrado da attacco da sali disgelanti (fonte MECCANGEGNERIA)
Foto 1 – Degrado da attacco da sali disgelanti (fonte MECCAINGEGNERIA)

  

Cicli gelo disgelo - Le strutture in classe di esposizione XF

Il calcestruzzo, come tutti i materiali da costruzione, subisce delle deformazioni per effetto delle variazioni termiche, che possono avvenire all’esterno della struttura, determinati dall’ambiente in cui la stessa è situata e all’interno del manufatto stesso, derivanti dallo sviluppo di calore generato dalla reazione esotermica di idratazione del cemento.

Le variazioni di temperatura sono, quindi, per una struttura in calcestruzzo, causa di degrado, in quanto a seguito di un aumento il conglomerato cementizio si dilata, mentre si contrae in caso di diminuzione. In una struttura iperstatica, quali sono generalmente gli elementi che costituiscono l’ossatura portante di un’opera, l’impedimento alla libera contrazione provoca la nascita di stati tensionali di trazione che risultano di gran lunga superiore alla resistenza a trazione del calcestruzzo che, pertanto, sarà interessato dalla comparsa di fessurazioni.

Il degrado delle strutture in servizio, inoltre, può essere esaltato dalle oscillazioni cicliche della temperatura intorno a 0°C, a seguito dell’incremento della pressione dell’acqua presente nei pori capillari del calcestruzzo capace di provocare tensioni distruttive sia nei confronti della matrice cementizia che degli aggregati. È ben conosciuto che, l’abbassamento di temperatura al di sotto di 0°C, provoca la trasformazione dell’acqua liquida in ghiaccio con un corrispondente incremento di volume pari a circa il 9%.

Quando l’acqua è contenuta in cavità di piccole dimensioni, come avviene nel caso delle matrici cementizie, le forze di attrazione superficiale esercitate dalle pareti dei pori acquistano un’ importanza significativa e, pertanto, possono modificare pesantemente le proprietà dell’acqua rispetto a quelle che la stessa possiede quando è contenuta in un recipiente di grosse dimensioni. In particolare, il punto di congelamento dell’acqua liquida, si abbassa all’aumentare delle forze di attrazione superficiale e, quindi, al diminuire della dimensione dei pori.

Tali forze di attrazione superficiale, nascono dal fatto che gli atomi o gli ioni situati sulla superficie di un solido si trovano rispetto a quelli interni in una situazione energeticamente più inquieta e tentano di raggiungere un equilibrio più soddisfacente attraendo atomi estranei che si trovano in forma di vapore in prossimità della superficie del solido. Questo fenomeno prende il nome di “adsorbimento” ed è attribuibile, per l’acqua presente nei pori capillari, a legami di tipo solido-vapore (adsorbimento di Wan der Waals).

Quindi, per effetto delle forze di attrazione esercitate dalle pareti dei prodotti di idratazione, l’acqua presente negli spazi interstratici può solidificare per valori della temperatura che nella realtà non vengono mai conseguiti se non in zone del pianeta poco abitate.

Nelle strutture in calcestruzzo realizzate in Italia, le temperature generalmente non scendono al di sotto di –15/-20 °C, è la sola acqua presente nelle porosità capillari e nei macrovuoti (prodotti da difetti di posa in opera e compattazione del getto) che può di fatto trasformarsi in ghiaccio, solidificando, mentre quella presente negli spazi interstratici non ghiaccerà mai rimarrà in una condizione di “super raffreddamento”.

La pressione (o tensione) di vapore in equilibrio con l’acqua super-raffreddata risulta maggiore del corrispondente valore del vapore in equilibrio con il ghiaccio; la differenza che si viene a creare tra vapore in equilibrio con l’acqua super-raffreddata e vapore in equilibrio con il ghiaccio aumenta al diminuire della temperatura e della dimensione delle porosità: minore è la dimensione dei pori, più basso è il punto di congelamento dell’acqua e, conseguentemente, maggiore è la differenza tra la pressione del vapore in equilibrio con il ghiaccio e con l’acqua super-raffreddata. Pertanto, quando inizia a formarsi il ghiaccio all’interno dei pori capillari, per effetto di questa maggiore pressione l’acqua super-raffreddata (termodinamicamente instabile) tende a muoversi verso i pori capillari al fine di ristabilire l’equilibrio. La conseguenza di questa migrazione è una contrazione della matrice cementizia e la nascita di pressioni che possono superare la resistenza della matrice stessa, promuovendone il degrado del calcestruzzo.

In aggiunta alle pressioni generate dal super-raffreddamento si deve anche tener conto che, se nei pori capillari il volume di acqua liquida occupa quasi completamente quello del poro, per effetto della formazione dei primi germi di ghiaccio, l’acqua non congelata viene espulsa generando la nascita di una pressione idraulica determinata dalla resistenza opposta al flusso di acqua.

Inoltre, anche il contenuto di alcali nella fase acquosa dei pori capillari gioca un ruolo importante, infatti, per una determinata temperatura, una soluzione interstiziale con una bassa concentrazione di ioni alcalini si trasforma in ghiaccio; per contro, una soluzione a maggiore concentrazione di queste sostanze (caratterizzata da una temperatura di congelamento più bassa) può continuare ad esistere in forma liquida in uno stato di super-raffreddamento.

La formazione di ghiaccio nei pori, che contengono la soluzione meno concentrata, determina un aumento della concentrazione locale del soluto a seguito della solidificazione dell’acqua pura, ed essi risultano parzialmente pieni di ghiaccio e per la restante parte di una soluzione alcalina molto concentrata. Al fine di ristabilire l’equilibrio termodinamico tra il ghiaccio e la soluzione non solidificata e l’equilibrio di concentrazione tra la soluzione più concentrata, ove si è formato il ghiaccio, e quella diluita, presente nei pori non interessati dal congelamento, la fase acquosa presente in questi ultimi pori tende a migrare verso le porosità contenenti la soluzione più concentrata generando una pressione osmotica.

Dalle considerazioni sopraesposte emerge come per una determinata temperatura e velocità di raffreddamento (caratteristiche del clima del luogo ove la struttura è situata) la pressione che insorge nella matrice cementizia a seguito dell’abbassamento della temperatura al di sotto di 0°C dipende strettamente dal grado di saturazione del calcestruzzo e dalla sua porosità (volume totale e distribuzione dimensionale dei pori).

Relativamente al grado di saturazione, è importante sottolineare come sia i risultati sperimentali che l’esperienza desunta dall’esame delle strutture reali evidenzino che, se esso risulta inferiore all’85% le pressioni che insorgono per effetto dei cicli di gelo-disgelo non sono sufficienti per superare la resistenza del materiale e, conseguentemente, per produrre un degrado ingegneristicamente significativo.

In sostanza, ad un grado di saturazione inferiore all’85% corrisponde un volume d’acqua all’interno dei pori non sufficiente a generare alcuna pressione idraulica (il volume di acqua solidificata può essere ospitato nel poro capillare ove avviene il congelamento).

È presumibile, inoltre, che il ridotto volume di ghiaccio formatosi sia non sufficiente a generare pressioni osmotiche significative, né migrazioni pericolose dell’acqua super-raffreddata verso i pori in cui è presente il ghiaccio. Tenendo presente quanto sopra asserito è evidente come nella progettazione delle strutture esposte a climi rigidi è importante adottare tutti gli accorgimenti necessari per evitare che gli elementi in calcestruzzo si imbibiscano d’acqua, operazione non sempre semplice e di facile esecuzione inoltre, non è sempre possibile impedire che il grado di saturazione effettivo risulti inferiore al valore critico sopramenzionato.

Il degrado in climi rigidi è ulteriormente esaltato in presenza di sali disgelanti e si manifesta a seguito di diversi processi (chimici, fisici ed elettrochimici) che si manifestano simultaneamente nelle strutture reali in funzione della tipologia di sale utilizzato. I sali disgelanti più comunemente impiegati per la rimozione del ghiaccio o per prevenirne la formazione nel settore stradale ed autostradale, e nelle pavimentazioni esterne sono costituiti generalmente da cloruro di calcio oppure da miscele di questo sale con cloruro di sodio eventualmente mescolati con pietrisco di frantumazione per aumentare l’aderenza degli pneumatici al fondo stradale. Essi provocano un severo degrado delle strutture in calcestruzzo per effetto del maggior grado di saturazione del conglomerato conseguente allo scioglimento del ghiaccio, cui si sommano effetti di natura termica ed osmotica.

 

Degrado per cicli gelo/disgelo
Foto 2 – Degrado per cicli gelo/disgelo (fonte Gianluca Pagazzi)

  

Il corposo articolo continua con la trattazione di:

  • Analisi delle precauzioni e provvedimenti per il calcestruzzo ai fini della durabilità
  • Calcestruzzi soggetti a ciclo gelo/disgelo e sali disgelanti – Prove di laboratorio e metodi di valutazione dei risultati delle prove stesse
  • Resistenza al gelo/disgelo integrazioni relative all’aggregato grosso
  • Valutazione preliminare del calcestruzzo

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