Le MPMI nella Digitalizzazione del Settore della Costruzione e dell’Immobiliare
Un articolo del prof. Angelo Ciribini sul ruolo e il posizionamento delle MPMI nella catena di fornitura in rapporto alla digitalizzazione sistemica del settore della costruzione e dell'immobilire
La digitalizzazione risponde alla necessità di ricondurre gli attori di un settore economico e il loro operato entro un ambito numericamente, computazionalmente, intellegibile, di stretta integrazione delle catene di fornitura, la cui essenza determina la localizzazione degli attori nella catena del valore. Le Micro e Piccole Medie Imprese (MPMI) dove si collocano e qual'è il loro ruolo? E' necessario puntare a una digitalizzazione sistemica di tutti gli operatori del settore della costruzione e dell'immobiliare? Di seguito un articolo del prof. Angelo Ciribini.
Colmare urgentemente le arretratezze nei confronti della digitalizzazione
La mancata digitalizzazione di un settore economico oggi è narrata come un sintomo di arretratezza, da colmare urgentemente.
La tesi qui espressa è che questa affermazione sia deficitaria, in quanto si confonde in essa la cultura del dato con l’adozione acritica di strumenti.
La stessa politica industriale improntata alla quarta rivoluzione industriale nel settore manifatturiero, avendo anteposto l’investimento strumentale alla riconfigurazione aziendale, ha incontrato numerose difficoltà, proprio per questa ragione.
La digitalizzazione risponde, infatti, alla necessità di ricondurre gli attori di un settore economico e il loro operato entro un ambito numericamente, computazionalmente, intellegibile, di stretta integrazione delle catene di fornitura, la cui essenza determina la localizzazione degli attori nella catena del valore.
Questa istanza fa riferimento alla trasparenza delle transazioni e alla correttezza della competizione, ma permette, altresì, ad alcuni soggetti, in certe situazioni, di esercitare una forte etero-direzione nei confronti dei mercati, eventualmente agevolando nuove forme imprenditoriali inscrivibili nelle piattaforme digitali transattive, come Alibaba o Uber o, addirittura, ibride, come Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft.
In ogni maniera, un universo numerico della precisione richiede un approccio giuridico-contrattuale assai diverso da quello attuale e presuppone forse, di fatto, l’indebolimento negoziale di progettisti, distributori, costruttori, manutentori a favore di produttori-assemblatori alleati a piattaforme tecnologiche.
Ciò che conta, in effetti, è il fatto che i dispositivi che consentirebbero migliori prestazioni agli attori traducano queste ultime in modalità che ne facilitino la profilazione, vale a dire la deduzione, di intenzioni, sentimenti e comportamenti.
La qual cosa appare cruciale poiché al «prodotto» si affianca il «servizio», con margini di profitto più elevati attuati attraverso la predizione: dall’escavatore allo spazio di lavoro.
Una delle maggiori narrative che riguardano la digitalizzazione del settore cosiddetto della costruzione e dell’immobiliare riguarda la necessità di ricorrere a essa per salvaguardare le MPMI, in particolare le micro e le piccole organizzazioni committenti, professionali e imprenditoriali.
Ricorrere alla digitalizzazione per salvaguardare le Micro Piccole Medie Imprese (MPMI)
In un contesto non solo italiano, ma anche europeo, contraddistinto dalla parcellizzazione del settore, la preoccupazione è assolutamente comprensibile, anche se occorrerebbe comprendere quante di queste realtà rispondano effettivamente a commesse di ridotta entità, riflettenti la struttura capillare della Domanda, oppure siano articolate in reti informali più vaste, celate per ragioni culturali, fiscali e di altro genere.
Una delle maggiori convinzioni diffuse riguarda, infatti, il bisogno di non «lasciare indietro», e di far scomparire, la pancia profonda del mercato, costituita, appunto, da MPMI.
Il «portare avanti» le MPMI richiede, però, lucidità nel comprendere ove le si desideri indirizzare, ammesso che non sia, piuttosto, opportuno ripensarle.
Il ruolo delle MPMI è, infatti, spesso enfatizzato in quanto, da un lato, appunto per i lavori minori, esso permetterebbe la conservazione di competenze e di abilità particolari, mentre, per i lavori maggiori, consentirebbe una flessibilità utile a ridurre i costi fissi attraverso l’esternalizzazione.
In molti casi, tuttavia, a una Domanda poco interessata a riconoscere il valore delle prestazioni professionali e imprenditoriali dell’Offerta, fanno riscontro esiti insoddisfacenti delle stesse e, contestualmente, si crea un mercato popolato da soggetti difficilmente in grado di sostenere gli investimenti necessari per la ricerca e per lo sviluppo, oltreché fragili sotto il profilo manageriale ed economico-finanziario.
D’altra parte, non poche difficoltà che si riscontrano per le micro e per le piccole organizzazioni nel settore della costruzione e dell’immobiliare valgono anche per il settore manifatturiero.
Al contempo, però, come l’ambito dell’Off Site dimostra con maggiore rilievo, la più parte, seppur non esclusiva, dei business model legati alla digitalizzazione, segnatamente alla diffusione delle piattaforme digitali di prodotto, è incentrata sulla integrazione, specialmente verticale, delle catene strategiche di fornitura, generando inevitabili frizioni sia sul versante dei progettisti sia su quello dei costruttori, data la centralità del produttore-assemblatore.
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Di conseguenza, allorché si intende riflettere su ecosistemi e portali digitali a supporto delle MPMI occorre domandarsi se un generico paradigma della cooperazione tra entità così polverizzate sia realmente sostenibile a fronte di un fabbisogno di saperi computazionali tipici della digitalizzazione finalizzati a risolvere le sfide ambientali e climatiche.
D’altra parte, tutta l’insistenza che attualmente si ripone sulle semantiche, sulle ontologie, sulle relazioni, concerne il contesto di produzione e di gestione della conoscenza le cui economie implicherebbero la disponibilità di grandi moli di dati, più o meno strutturati, conseguibili, detenibili e analizzabili da soggetti di una certa dimensione: frutto di aggregazioni?
Verso una digitalizzazione sistemica di tutti gli operatori del settore
La convergenza sull’ontologia informatica da parte degli attori appare, non per nulla, attualmente uno degli elementi più sensibili per il futuro del settore, secondo criteri tipici degli algoritmi di ricerca inerenti al Web, ma standardizzare i flussi informativi è, comunque, prioritario per gestire i processi attraverso dati strutturati.
In ogni caso, non si può non ammettere che, ad esempio, sotto forma di ConTech e di PropTech, il comparto non stia subendo una forte accelerazione verso la trasformazione digitale, ma essa sembra più frutto di iniziative disperse che non di un disegno unitario.
In definitiva, la digitalizzazione appare dicotomica, in quanto per essa si prospettano due velocità: la prima, tesa a efficientare contraddittoriamente i processi analogici attraverso metodi e strumenti estranei a essi; la seconda, in grado di sfruttare pienamente le valenze del (meta)dato, del significato che a esso si attribuisce, della sua natura numerica.
Tale dualità potrebbe, in effetti, nel medio periodo, generare divari competitivi non indifferenti, tali per cui, all’interno dello stesso ecosistema digitale (ad esempio, di commessa), alcuni attori potrebbero detenere un maggiore potere negoziale agendo al livello superiore, mentre i restanti rimarrebbero confinati alla sfera digitalmente analogica.
Il che vuol dire che la digitalizzazione sistemica di tutti gli operatori potrebbe essere funzionale non già a un loro efficientamento quanto a una loro introduzione in un dominio di migliore controllabilità o sorvegliabilità da parte dei soggetti meglio attrezzati.
Se si pensa, semplicemente, ad esempio, alle società terze che offrono servizi di integrazione di sistema per i macchinari interconnessi o per la valutazione in tempo reale della maturazione del conglomerato cementizio, si può comprendere come l’intermediazione possa agevolare entità, spesso non presenti in precedenza, capaci, in prospettiva, di possedere la conoscenza aggregata e storicizzata utile a condizionare le scelte del mercato.
Lo stesso dicasi, in altro modo, per i servizi di computazione o di relazione tra micro o piccoli committenti privati e micro o piccoli professionisti e imprenditori.
Occorre anche osservare come la progressiva industrializzazione della componentistica edilizia e impiantistica, la sua pre-fabbricazione, oltre, come accennato, a rendere centrali le piattaforme digitali di prodotto, farà dell’On Site il luogo dell’assemblaggio dipendente da una logistica improntata all’intelligenza geo-spaziale e telematica che integra territorialmente tutti i luoghi della catena di fornitura.
Bisogna, dunque, chiedersi se l’ipotesi di un portale digitale che ospiti, in maniera universalistica e simmetrica, il patrimonio informativo dell’indotto, a partire dallo smart CE marking e dai product data template, normati a livello nazionale e sovranazionale, vale a dire che garantisca la perfetta disponibilità delle strutture di dati che riguardino l’offerta merceologica della produzione, anelito di per se stesso inoppugnabile, sia realmente praticabile in considerazione delle peculiarità dei processi negoziali e dei mercati domestici.
Le strutture di dati e l’identificazione dei prodotti sono, di conseguenza, oggetto della scommessa volta a ridefinire il mercato.
Non bisogna, infatti, dimenticare che la disponibilità di questo patrimonio informativo si coniuga con alcuni obiettivi strategici di configurazione semi-automatica dei processi decisionali che potrebbero riguardare sia il B2B sia, ovviamente, il B2C.
È chiaro, a titolo esemplificativo, che il trasferimento al cliente dell’onere del primo rilievo digitale attraverso i propri dispositivi mobili abbatterebbe alcuni costi delle prestazioni professionali, così come meccanismi computazionali combinatoriali ideativi genererebbero prime ipotesi distributive ottimizzate che, a loro volta, ridurrebbero l’entità delle prestazioni intellettuali medesime e dei compensi corrispondenti.
Analogamente, repertori informativi normalizzati permetterebbero digitalmente di abilitare configuratori di soluzioni produttive, logistiche e assemblative al fine di contenere i costi (e i margini?) relativi alla esecuzione degli interventi.
Tralasciando le fasi successive di manutenzione e di gestione, è evidente che la digitalizzazione miri a una efficienza dei processi che si risolva nella economia degli sforzi e degli oneri (grazie alla gestione della conoscenza, eventualmente supportata da modalità di intelligenza artificiale).
Se, poi, gli sforzi si rapportano alle istanze ideologicamente dominanti dell’ambientalismo, del climatismo, della circolarità, della sostenibilità, è palese che la digitalizzazione agisca come driver decisivo.
Queste istanze, peraltro, in un gioco complesso colla digitalizzazione, promettono di essere dirompenti al cospetto delle identità e dei ruoli degli attori tradizionali.
L’impressione è che, in effetti, sinora Digital & Green siano state due categorie interpretate dagli operatori secondo un approccio tradizionale, mentre ora, al contrario, le aspettative nei mercati ne richiedono una lettura evolutiva.
In una ottica più larga, la formulazione notarizzabile delle caratteristiche e delle prestazioni dei prodotti, dai componenti ai macchinari, in modo che i dati possano essere integrati senza mediazioni in procedimenti computazionali a livello progettuale che siano in opera validabili o falsicabili nel caso specifico attraverso la sensorizzazione e la connessione dei predetti prodotti, implicherebbe una rivisitazione del sistema delle responsabilità o degli obblighi contrattuali.
A prescindere dalla necessità di attuare i processi aggregativi finalizzati a risolvere la questione dimensionale in termini orizzontali o verticali, la digitalizzazione estesa potrebbe determinare l’insorgenza di intelligenze centralizzate anche in presenza della attuale frammentazione dei tessuti professionali e imprenditoriali.
Non a caso, i maggiori produttori di componenti e di macchinari cercano talora di sfruttare la digitalizzazione per accrescere il proprio potere di influenza nei confronti della moltitudine di clienti a cui offrono prodotti sempre più servitizzati.
Ragionare della necessità di condurre alla digitalizzazione l’intera filiera e l’interezza degli operatori non può, perciò, evitare di interrogarsi sulla natura delle catene strategiche di fornitura.
Il che equivale a domandarsi se non sia il caso di verificare la praticabilità di una ipotesi che tenda a digitalizzare i repertori merceologici, laddove questo presupponga la identificabilità dei comportamenti gli attori senza incidere sulle corrispondenti strutture professionali e imprenditoriali.
La digitalizzazione sistemica del settore necessita, pertanto, da un canto, un acculturamento sul dato che non provochi fenomeni controproducenti per gli operatori, mentre, dall’altro, deve far ricordare che le value proposition e i business model non possano prescindere dalla intelligence relativa ai fattori comportamentali.
La digitalizzazione delle MPMI nasconderebbe molte insidie qualora non si fosse sufficientemente consapevoli del fatto che il valore dell’ambiente costruito dovrebbe essere «generato» anziché «estratto».
Le forme di industrializzazione edilizia e infrastrutturale digitalizzate, governate dai dati, prevedono, infatti, modalità «collaborative» che integrano, ad esempio, come detto, progettisti e costruttori nella logica del produttore-assemblatore e dis-integrano la distribuzione commerciale tramite processi e transazioni interpretabili dalle macchine, secondo razionalità altre da quelle usuali.
Esse, peraltro, in una visione da Product Lifecycle Management tenderanno a inglobare nella attività ideativa, produttiva e assemblativa del cespite da parte del produttore-assemblatore l’aspetto manutentivo e gestionale nell’ottica del Digital Twin.
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