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Nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici il RUP sostituisce il RUP

Il (vecchio) RUP diventa (nuovo) RUP: analisi, commento e considerazioni sul passaggio, nel Nuovo Codice Appalti, alla figura del responsabile unico di progetto, che sostituisce il vecchio responsabile unico del procedimento.

Il Responsabile Unico di Procedimento (RUP) dei Codici previgenti diventa ora il Responsabile Unico di Progetto (RUP) nel d.lgs. 36/2023 e molti ne commentano favorevolmente il cambiamento peraltro non immediatamente percepibile nella continuità dell’acronimo.

L’Autore lo vede però in modo critico e dubita della sua maggiore efficacia nel raggiungimento dell’obiettivo, ritenendo che sia una involuzione rispetto al previgente assetto il quale, se non ha conseguito i risultati attesi, è perché non ne è stata data corretta applicazione.

Non basta rivederne il nome senza un’analisi approfondita dei contenuti per garantirsi risultati migliori.


Il (vecchio) RUP diventa (nuovo) RUP.

Parrebbe un gioco di parole, invece vorrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) un’innovazione strategica del nuovo Codice dei Contratti Pubblici che all’articolo 15 definisce con l’acronimo RUP il Responsabile Unico di Progetto che non è più il (vecchio) Responsabile Unico del Procedimento introdotto originariamente nel campo dei Lavori Pubblici dall’articolo 7 delle legge Merloni (n. 109/1994), poi esteso a tutti i Contratti Pubblici nell’articolo 10 del d.lgs. n 163/2006 e, ancora, trasfuso nell’art. 31 del d.lgs. n. 50/2016.

Le origini

Questa era stata la sua genesi - sofferta e anche (diciamolo) osteggiata da molti - come diretta derivazione dall’introduzione della figura del Responsabile del Procedimento (RP) imposta per “tutti” i procedimenti amministrativi dalla legge n. 241/90 entrata in vigore pochi anni prima.

Legge epocale “sul” procedimento amministrativo (poi ritenuta in seguito più compiutamente legge “del” procedimento amministrativo), parte integrante di quell’organico processo di riforma della Pubblica Amministrazione con la coeva legge n. 142/90 (oggi testo Unico degli Enti Locali d.lgs. 267/2000) avviato trent’anni or sono.

Non una legge qualsiasi dunque, che poneva (già allora) a base dei criteri ispiratori dell’attività della Pubblica Amministrazione i principi di “efficienza, efficacia, economicità” di cui il Responsabile del Procedimento costituiva uno dei cardini (insieme alla traslazione dei compiti gestionali dagli organi politici alla “burocrazia”).

Chiave di lettura per la definizione del procedimento e per il “ruolo” del responsabile era (e tutt’ora è) l’obbligo di conclusione del procedimento (articolo 2 della legge n. 241/90).

La definizione del procedimento di un lavoro pubblico e la finalizzazione al risultato

In quel fervente e, all’epoca, appassionato clima di innovazione, quando il Legislatore della Merloni pose mano alla riforma della legge sui LL.PP. dovette inquadrare anche la realizzazione di un’opera pubblica nel concetto di “procedimento” ed apparve chiaro che il procedimento di realizzazione di un’opera pubblica non poteva identificarsi se non nell’intero iter che parte dalla programmazione e si conclude col collaudo; dunque un iter complesso (forse il più complesso di tutti i procedimenti amministrativi) ma pur sempre un UNICO procedimento se è vero (come è vero) che non si può dire ”concluso” (a norma del citato articolo 2) se non quando l’opera è finita.

E allora impose che a presidiare (e a presiedere) questo procedimento fosse un UNICO Responsabile, pur riconoscendo che (essendo complesso) il procedimento era suddiviso in “fasi” che però non potevano assurgere alla dignità di procedimento autonomo per il semplice motivo che la conclusione di una singola “fase” non portava alla conclusione del Procedimento ovvero alla realizzazione compiuta dell’opera. Al raggiungimento dello scopo !

Semplice no?

RP o RUP?

Per cui, mentre nei procedimenti amministrativi generici esiste un “responsabile del procedimento” (RP), nella lex specialis dei lavori pubblici (la Merloni prima, i Codici poi) il Legislatore impose il requisito dell‘UNICITA’ che non era affatto scontato, proprio a sottolineare la complessità delle operazioni da compiere comunque riconducibili alla responsabilità di un'unica figura gestionale.

Da qui l’aggettivo UNICO (RUP) che doveva caratterizzare il RP dei soli LL.PP..

Impropriamente da quella data in poi (vuoi per ignoranza, vuoi per facilità di pronuncia dovuta alla vocale intermedia che da sigla lo fa diventare acronimo, vuoi perché nel più ci sta il meno) chiamiamo impropriamente RUP (e non solo RP) i responsabili di qualsiasi procedimento.

L’inquadramento organizzativo figlio di un inquadramento concettuale

Questo l’inquadramento concettuale-organizzativo che sollevò un acceso dibattito teso (purtroppo) a sabotare l’impianto legislativo anziché attuarlo correttamente in cui ognuno portava motivazioni più o meno fondate per disapplicarlo e mantenere tre procedimenti autonomi al posto di uno solo sostenendo la diversità delle competenze professionali necessarie nelle varie “fasi” (il Ministero della Difesa in ragione dell’organizzazione gerarchica, la Amministrazioni che non erano Enti pubblici in senso stretto ritenendo che la legge era ottima se applicata a tutti meno che a loro, ed anche qualche regione invocando l’autonomia organizzativa …).

Per di più, diciamolo, il RUP che assommava in sé compiti gestionali rilevanti non era tanto simpatico neppure alla “Politica” che si vedeva sottrarre attività fino a quell’epoca di sua competenza.

In realtà si trattava più banalmente di “resistenza all’innovazione” per innata sclerosi della burocrazia insofferente del fatto che le competenze del RUP (se correttamente eserciate) interferiscono e spesso si scontrano con “centri di potere per materia” che esercitano poteri interdittivi e che il Legislatore aveva inteso superare con l’istituzione di questo ruolo trasversale mirato al “risultato”.

Ma il Legislatore tenne duro.

La formazione di una professionalità innovativa e complessa

E’ vero che esisteva un problema di professionalità (complessa e trasversale e all’epoca inesistente) di cui doveva essere dotato il RUP, postulata dal Legislatore e che doveva spaziare da competenze tecniche, a giuridico-amministrative, ad economico finanziarie, …. (ma da qualche parte bisognava pur cominciare !).

Non è forse questo che caratterizza quel “manager” pubblico cui mirava il Legislatore quando affermava i principi di “efficienza, efficacia, economicità” ?

Fin da quella data ho sempre sostenuto (e così l’ho interpretato) che il compito del RUP era più assimilabile ad una “obbligazione di risultato” che di “mezzi” in similitudine al diritto privato.

Purtroppo in questi trent’anni di vita del RUP non mi pare sia stato fatto molto per far crescere in questo senso la “nuova” figura, sia a livello di formazione che di applicazione; ho visto interpretazioni improprie di questo ruolo.

La pretesa innovazione

Oggi l’articolo 15 del Nuovo Codice sotto lo stesso acronimo di RUP denomina invece il Responsabile di Progetto (ancora una volta Unico) presentandolo come una grande innovazione in quanto nuovo soggetto che ha il compito (dice il 5° comma) di assicurare “il completamento dell’intervento pubblico”. (Niente di nuovo se è per questo).

Nonostante alcuni commenti lo presentino come sostanzialmente diverso rispetto al vecchio Responsabile del Procedimento non vedo questa novità nel testo dell’articolo 15 e neppure nell’Allegato I.2 cui si rinvia la descrizione dei compiti. Che mi paiono puntualmente riproposti e trascritti dal vecchio Codice e dalle Linee Guida ANAC.

Secondo alcuni commentatori la novità starebbe nella individuazione della persona e non dell’Ufficio che il Nuovo Codice fa rispetto al vecchio (ma quando mai è stato così? Anche prima l’individuazione era personale – ma di questo diremo tra poco-) che dovrebbe rendere più indipendente e responsabilizzata le nuova figura rispetto alla vecchia.

Se poi le parole hanno ancora un senso intrinseco, progetto e procedimento non sono sinonimi: nella terminologia tecnica il progetto è la traduzione di un’idea in un elaborato tecnico e lì si ferma: esprime staticità; il procedimento - per come lo definisce la legge n. 241/90 – rende l’idea di qualcosa che si sviluppa (procede) nel tempo fino al suo compimento: esprime dinamicità.

Il frazionamento (o, meglio, la frantumazione) del procedimento

Trovo discutibile la volontà di scardinare il concetto dell’unitarietà del procedimento di realizzazione dell’opera pubblica così ben delineato per “fasi” dal precedente Legislatore ed ora invece riformato (si fa per dire) affermando che le fasi sono in realtà procedimenti a capo dei quali possono essere posti autonomi responsabili che però (si badi bene !?!) rispondono al Responsabile Unico di Progetto (art. 15, co. 4). Ma come rispondono ?

Il Responsabile di Progetto viene ridotto a compiti di “supervisione, indirizzo, coordinamento … “ dei singoli RRUUPP delle “fasi” che pur essendo ancora definite fasi, assumono ruolo diprocedimenti” individuati in base a “modelli organizzativi” stabiliti dalle stazioni appaltanti (un regolamento interno ?).

Nel comma 4 “fasi” e “procedimenti” diventano sinonimi in un tripudio di confusione lessicale e concettuale.

In altri termini si frantuma l’unicità del procedimento superando il concetto che sia costituito da fasi semplicemente funzionali e dando alle fasi la dignità di procedimenti autonomi.

Che è esattamente quello che (da parte di molti) si voleva fare all’indomani della legge Merloni di cui si è detto.

Da compiti di “gestione” il Responsabile di Progetto viene ridimensionato a compiti di “coordinamento” di autonomi RRUUPP delle varie “Fasi”.

Aumenta la complessità e diminuisce l’autonomia e il potere del Nuovo RUP: potrà conseguirne un aumento di responsabilità? E, a seguire, di efficienza e di efficacia?

E’ un ritorno di fiamma delle mai sopite ostilità avverso il Responsabile del Procedimento alle quali il Legislatore ha fin qui resistito e che ora hanno preso il sopravvento; più che una rivoluzione mi pare una Controriforma.

La succinta (insoddisfacente) motivazione

Sconcertante mi pare essere la motivazione dichiarata nella relazione alla Camera (del 5 gennaio 2023) che, a commento dell’articolo 15 afferma: “Il comma 1 – conservandone la centralità e la trasversalità del ruolo – ridisegna la portata e la figura del RUP, che è un responsabile “di progetto” (o di “intervento”) e non di “procedimento” (definizione forse viziata dal riferimento alla legge n. 241 del 1990, che non appare pienamente conferente): infatti, si tratta del responsabile di una serie di “fasi” preordinate alla realizzazione di un “progetto”, o un “intervento pubblico” (fasi per il cui espletamento si potrà prevedere, come si dirà, la nomina di un “responsabile di fase”, a sostegno dell’attività del RUP”.

A parte che si continua a confondere le fasi con i procedimenti, e ci si inventa un “responsabile di fase” (?), come sarebbe a dire: “viziata? – “forse?.

Voler far apparire il richiamo alla legge 241/90 come improprio o casuale (o addirittura un incidente di percorso interpretativo) non è solo ingeneroso e dimentico di un appassionato dibattito ed elaborazione culturale: è infondata !

La norma sul responsabile UNICO del procedimento delle legislazioni sui lavori pubblici fin qui succedutesi era volutamente incardinata sulla legge n. 241/90, su quella si fonda e di quella è implementazione come lex specialis per le peculiarità che contraddistinguono il procedimento.

Nonostante questa dichiarazione sbrigativa e autoreferenziale è indubbio che a quella legge quadro continua a riferirsi anche il nuovo RUP e da quella prende ragione di esistenza e non solo perché i compiti sono la pedissequa riproposizione e trascrizione delle precedenti norme di legge e delle Linee Guida ANAC, ma perché se così non fosse – visto che ancor oggi si riconosce che la realizzazione dei lavori pubblici è un procedimento unico - si avrebbe un procedimento senza responsabile contro il disposto di legge.

L’innovazione occulta

Se quella or ora descritta è una “innovazione” dichiarata e palese ce n’è un’altra meno palese e meno dichiarata (ma non casuale) perché nata nell’ultima ora in sede di approvazione parlamentare.

Infatti, sia nella Relazione alla Camera del 5 gennaio che addirittura nel Dossier di Camera e Senato del 16 gennaio 2023 (ante approvazione del d.lgs. !) ancora si legge che il RUP è nominato dal dirigente responsabile del centro di costo - e così fa anche qualche commento evidentemente stilato sulla bozza e non sul testo definitivo - (mai commentare i testi provvisori … la fretta è cattiva consigliera).

Ma non è così.

Era così nella legislazione previgente ed anche nel testo presentato per le osservazioni alla Conferenza Unificata, ove però si è suggerito essere più opportuno non confermare la nomina in capo al dirigente, ma passarla all’Amministrazione sulla base di sue interne regolamentazioni (e due! un altro regolamento).

Per cui, laddove nella Bozza c’era scritto: “Il responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa nomina il RUP” ora la legge dice: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti nominano il RUP” lasciando così in bianco il potere di nomina fino alla determinazione delle modalità.

Questo assunto testimonia forse lo scostamento dalla legge n. 241/90 ? No.

Perché, nelle more, “in caso di mancata nomina del RUP” … “l’incarico è svolto dal responsabile dell’unità organizzativa competente per l’intervento” che è l’esatta riproposizione dell’articolo 5, comma 2 della legge 241/90 - a ulteriore smentita del preteso sradicamento del RUP (ora e allora) dalla legge fondamentale del procedimento amministrativo! – cui ancora si rinvia.

Riforma a metà dunque: in caso di ritardo nella nomina i compiti sono svolti dal dirigente; e poi? le stazioni appaltanti perdono il potere di nomina o possono intervenire in corso d’opera nominando successivamente un RUP in sostituzione del dirigente? Ipotesi questa che prefigura un felice esito dei rapporti interpersonali e del successo dell’operazione.

Quel che preoccupa però è l’intento che sorregge questa modifica.

Il potere politico si è riappropriato (sul filo di lana) del potere di scelta del RUP sottraendolo al dirigente, ancora una volta in violazione dei principi di autonomia degli atti di gestione di competenza dei dirigenti. A meno di non voler ritenere che la nomina del RUP sia una scelta politica !

Un’altra ombra (o se si preferisce, un’alea di indeterminazione) cala sulla figura del Nuovo RUP che gli riduce quella sfera di autonomia tecnica che, come abbiamo detto, è il presupposto della responsabilità.

Come decideranno le Amministrazioni di definire le modalità di scelta del RUP non è dato ipotizzare, ma certo non si rende più dinamica la modalità; e non la si rende omogenea.

Nella già di per sé complessa organizzazione dei ruoli e responsabilità della conduzione di un’opera pubblica abbiamo così sottratto la scelta del NeoRUP al dirigente cui poi lo stesso dovrà rispondere per le decisioni e le assunzioni degli atti di spesa.

Per questo i commenti che plaudono alle innovazioni della figura del Responsabile di Progetto (fittiziamente Unico) al posto del Responsabile del Procedimento (effettivamente Unico) mi paiono piuttosto auspici che realtà giuridiche.

Il fantasma del vecchio RUP

Che il Nuovo Responsabile Unico di Progetto si identifichi con lo stesso acronimo del Vecchio Responsabile Unico del Procedimento (RUP) si dice sia una coincidenza.

Se così è approfittiamone, perché il Vecchio Responsabile continua qua e là a far capolino tra le righe del Codice ed anche della Relazione alla Camera (segno che non è del tutto soppresso nel subconscio degli stessi riformatori).

Il Codice infatti:

  • all’articolo 41, comma 15;
  • all’articolo 62, comma 13;
  • all’articolo 121, comma 7;
  • all’articolo 224, comma 3;

continua a chiamarlo per esteso “responsabile del procedimento” o “responsabile unico del procedimento

e, ancor più singolare, nella relazione di accompagnamento si trascrive per esteso “responsabile del procedimento” o “responsabile unico del procedimento” mentre

  • all’articolo 93, comma 1
  • e all’articolo 114, comma 1

il Codice lo chiama sinteticamente RUP.

Lapsus freudiano ?

O semplicemente confusione … lessicale?

Per questo, per non sbagliare, continueremo a chiamarlo RUP giocando sull’equivoco dell’acronimo.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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