Smart City | Digitalizzazione
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Quale modello di città intelligente desideriamo

Il quartiere Quayside di Toronto doveva diventare il concept di smart city. A Sidewalk, la società dedicata al tema delle città intelligenti di Google, era stato affidato il progetto di riqualificazione. Ma a meno di cinque anni i cittadini di Toronto ci hanno ripensato, chiudendo il progetto e puntando su un nuovo modello, che sembra ispirato al nostro Boeri.

Quayside doveva essere un hub per un'esperienza urbana ampiamente digitale

Tutti coloro che si occupano di sviluppo delle città erano rimasti affascinati del progetto di una nuova smart city di Sidewalk: Quayside, all’interno della città di Toronto.
Quayside doveva essere un proof of concept, un nuovo modello di sviluppo per le città di tutto il mondo. Vi avevano preso parte alcuni dei maggiori innovatori che si occupano delle cosiddette senseable city, gli stessi cittadini di Toronto ne erano rimasti affascinati.

Questo quartiere sarebbe diventata un hub per un'esperienza urbana ottimizzata con robo-taxi, marciapiedi riscaldati, raccolta autonoma dei rifiuti e un ampio livello digitale per monitorare qualsiasi cosa, dagli incroci stradali all'utilizzo delle panchine.

Il progetto era diventato una sorta di laboratorio di tecnologie e innovazioni in progress. Su Ingenio avevamo con entusiasmo pubblicato alcuni articoli sul progetto, tra “The Dynamic Street” un prototipo per un sistema di pavimentazione modulare finalizzato a rendere le strade riconfigurabili per adattarsi perfettamente alle esigenze delle persone; per fare un esempio: creare una corsia extra per il traffico in strada durante l'ora di punta e trasformare completamente la strada in una piazza pedonale di sera.


I nostri articoli su Quayside


Il progetto di Quayside è abortito

Sostanzialmente Sidewalk aveva già staccato la spina nel 2020 per "l'incertezza economica senza precedenti causata dalla pandemia di covid-19".
Ma non è stata la pandemia a bloccare la realizzazione del progetto Quayside.
L'opposizione che è maturata a Toronto a seguito dell’approvazione del progetto non riguardava aspetti di natura estetica come la conservazione architettonica del quartiere pre-esistente, o l'altezza, la densità e lo stile degli edifici proposti ….

Ciò che ha creato un vero e proprio antagonismo è stato l’iper approccio tecnologico, il concetto stesso che per garantire una elevata qualità di servizi, riducendo, anzi azzerando, l’impatto sul clima, si basasse sulla gestione di una enorme quantità di dati riguardanti i cittadini finisse per violare la privacy degli stessi.
Il Canada è una grande paese, in cui vi è una grande fiducia nel governo, ma questo non basta per convincere il canadese a cedere parte della sua libertà in cambio di una città più efficiente. Si è maturata l’opinione comune che la felicità non possa nascere dalla raccolta di dati da parte delle aziende sulle attività di routine delle persone che vivono la propria vita.

Le Smart City sono un prodotto applicabile solo nei Paesi a basso tasso di libertà?

Quello che si sta realizzando soprattutto in Cina o in Medio Oriente fallisce in Canada. Perché ? La ragione principale riguarda come sia stato improntato sul territorio.
Con il suo approccio dall'alto verso il basso, Sidewalk non è riuscito a comprendere la cultura civica di Toronto.
Quayside è stato percepito come un’imposizione. I progettisti hanno cercato di imporre una tecnologizzazione radicale e questo approccio è stato considerato “arrogante”, non rispettoso, non in grado di ascoltare i desideri dei cittadini.

Il fallimento di Quayside pone a tutti coloro che si occupano di città la domanda se il modello stesso di smart city risponda all’esigenza di biodiversità, di contaminazione, di libertà dell’essere umano.
George Orwell nel 1948 aveva già affrontato il tema con il romanzo 1984. Orwell ci parla di Oceania, controllata da un regime che basa il suo potere sui principi del Socing, un socialismo estremo, il cui capo supremo è il Grande Fratello, un personaggio misterioso di cui nessuno conosce la vera identità e che osserva, spia e controlla, la vita di ogni singolo cittadino.

Il controllo avviene attraverso delle telecamere che osservano ovunque gli individui: nelle loro case, per strada, negli uffici, nei trasporti, nelle scuole. Non esiste la privacy e non esiste alcuna forma di libertà individuale. La propaganda è costante e in ogni angolo della città ci sono dei manifesti che ritraggono il Grande Fratello che viene accompagnato dagli slogan “la libertà è schiavitù” e “la guerra è pace”.
Orwell ha nel mirino la dittatura socialista, la cultura che prevede un controllo dall’alto verso il basso della società. A distanza di oltre settant’anni ci accorgiamo che forse un concetto assoluto di smart City possa coesistere solo dove esista un regime dei questo tipo.

Siamo al fallimento del paradigma della smart city?

Il paradigma della città intelligente ha dominato, e sta dominando, i modelli di pianificazione urbana da almeno vent’anni, passando dalle teorie iniziali alle applicazioni attuali, in cui il progetto nasce già nella piena considerazione che sarà il gemello digitale a essere lo strumento di governo di città ed edifici.
Il termine smart city è stato originariamente coniato da IBM.
L’obiettivo era ed è quello di migliorare, attraverso la tecnologia, il modo in cui funzionano le città. Ma l’ottimizzazione spinta rischia di generare omologazione, di distruggere anche il solo concetto di diversità.

L’avveniristico primo episodio del film Matrix ci racconta che le macchine, per poter evitare che le pile-uomo si ammalino e finiscano per non produrre più energia, debbano essere rese libere e debba essere concesso l’entropico stile di vita, fatto di cose buone e cattive.

Le persone sono attratte dal disordine, dalle interazioni avvincenti e fortuite all'interno di un mix selvaggiamente diversificato di persone che vivono nelle immediate vicinanze. Ma i sostenitori della smart city hanno invece abbracciato l'idea della città come qualcosa da quantificare e controllare.” afferma Karrie Jacobs in un suo approfondimento sul MIT Technology Review.
Nelle Smart Cities l’uso della tecnologia dovrebbe portare a una crescente efficienza: ridurre i tempi di percorrenza, accelerare la costruzione di alloggi a prezzi accessibili, migliorare l'efficienza del trasporto pubblico e ridurre le emissioni di carbonio rendendo la tecnologia degli edifici più efficiente e fornendo alternative di trasporto meno inquinanti all'auto.

Ma l’ottimizzazione non viaggia su binari paralleli, ma convergenti. L’edificio efficiente ha una certa forma, richiede la raccolta di una serie specifica di dati, spinge all’applicazione di regole comuni. Ma parte da un concetto deviante: il contenitore intelligente richiede un soggetto utilizzatore meno libero, meno intelligente.
È indubbio che il guanto sensibile del magazziniere di Amazon riduca gli errori, ma lo deresponsabilizza, gli toglie quello stimolo neurologico all’attenzione: il magazziniere ideale è fatto di bit, non di neuroni.

L’efficientismo spinto dell’edificio intelligente porterebbe a docce temporizzate sulla base della dimensione della persona, del livello di sporco, della lunghezza dei capelli … ma priverebbe l’essere umano da uno dei luoghi più meravigliosamente sensuali per farsi una splendida scopata.
Il fallimento di Quayside ci induce a dover ripensare quindi al concetto stesso di Smart City.
Yung Wu, CEO e imprenditore tecnologico di MaRS Discovery District, parlando di questa esperienza e dei nuovi progetti che considereranno la trasformazione dell’area afferma: “Qual è la visione che ispira le persone a voler vivere qui, lavorare qui, crescere qui le loro famiglie, i loro figli e i loro nipoti? Cos'è che lo ispira?"
“It’s not a smart city,” conclude “It’s a city that’s smart.”
Nel libro “In viaggio con Alisha” Giuliano Dall’ò racconta la sua visita di tre “smart cities” a vent’anni dalla loro creazione, e anticipa queste conclusioni. Se chi ha progettato Quayside 1.0 avesse letto questo libro, visitato queste città, avrebbe evitato di arrivare a questo fallimento.

La nuova Quayside: un quartiere verde, non solo da un punto di vista prestazionale

Quayside 2.0 nasce l'idea che un quartiere urbano può essere un ibrido tra naturale e artificiale. Non è quindi una negazione alla modernità e all’uso dei dati ma un ripensamento in cui l’uomo e la natura sono al centro del progetto.
Ecco perché prevede che il quartiere diventi verde, sia metaforicamente che letteralmente.
I rendering presentati alla popolazione sono così carichi di alberi da suggerire che il fogliame sia una nuova forma di ornamento architettonico.

Il nuovo progetto Waterfront Toronto mostra alberi e vegetazione che spuntano da ogni possibile balcone e affiorano, senza un veicolo autonomo o un drone in loco.
Il team di progettazione è guidato da Alison Brooks, un architetto canadese con sede a Londra, dall’architetto ghanese-britannico David Adjaye, da Matthew Hickey, un architetto Mohawk della Prima Nazione delle Sei Nazioni e da due studi danesi, Henning Larsen Architects e lo studio di design basato sulla natura SLA.
Nel video promozionale del progetto, Adjaye cita "l'importanza della vita umana, della vita vegetale e del mondo naturale".

Karrie Jacobs afferma “In una certa misura, questo ritiro nella natura riflette i tempi che cambiano, poiché la società è passata da un luogo di tecno-ottimismo a un luogo di scetticismo, segnato da scandali sulla raccolta di dati, disinformazione, molestie online, e vera e propria frode tecnologica.”
"Per me è un finale meraviglioso perché non siamo finiti con un grosso errore", afferma Jennifer Keesmaat, ex capo progettista di Toronto, che ha consigliato al Ministero delle Infrastrutture come impostare questa nuova iterazione per il successo: “Se guardi ciò che stiamo facendo ora su quel sito, è un classico edificio cittadino con una svolta del 21° secolo, il che significa che è una comunità a emissioni zero. È una comunità totalmente elettrizzata. È una comunità che dà la priorità agli alloggi a prezzi accessibili, perché abbiamo una crisi di alloggi a prezzi accessibili nella nostra città. È una comunità che ha una forte enfasi sullo spazio verde, sull'agricoltura urbana e sull'agricoltura urbana. Sono cose che derivano dalla proposta di Sidewalk? Non proprio."

E guardando il progetto mi viene in mente il Bosco verticale di Boeri e gli sviluppi successivi che la realizzazione di questi edifici ha portato. E all’idea che le piante. E le foglie, con il loro mutare instancabile nel tempo, possano diventare il colore delle città intelligenti del futuro.

E mi torna in mente una frase di Tonino Guerra: “i colori delle case: non devono stonare … ci sono oggi delle case tutte bianche che sembrano dentiere sulle colline ...

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