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Radon: cos'è e quanto è pericoloso?

Parlare di radon significa confrontarsi con una fonte di pericolo misconosciuta, quanto concreta e spesso sottovalutata. Ecco alcuni spunti di approfondimento.

Che cos'è il radon?

Il radon è un gas nobile (Rn) generato in natura da alcune tipologie di rocce vulcaniche e sedimentarie (es. basalto, scisto, tufo, granito, pozzolana ecc.) in seguito al decadimento del radio 226 (Ra-226) che − a sua volta − deriva dal naturale decadimento alfa di specifici radionuclidi quali l'uranio e il torio.

Gli isotopi del radon si trasformano infine in altri elementi quali il piombo (inerte), il polonio e il bismuto (ambedue radioattivi); ciò avviene con rapidità variabile: in certi casi, trascorrono quasi quattro giorni perché il processo sia ultimato.

Incolore, insapore e inodore, il radon scaturisce dal terreno, da alcune tipologie di materiali da costruzione (es. residui magmatici, cemento addizionato con ceneri volatili di carbone, fosfogessi, sabbie zirconifere ecc.), nonché dalla falda acquifera. Statisticamente, le emanazioni dal suolo sono responsabili dell'80% del radon presente in atmosfera, mentre quelle derivanti dall'acqua freatica sono limitate al 19%.

Diversi parametri climatici (es. la temperatura dell'aria e/o dell'acqua, la velocità del vento, la copertura nevosa e/o la saturazione del terreno in caso di pioggia ecc.) esercitano una forte influenza sulla risalita di radon dal suolo, determinando variazioni stagionali (quand'anche non giornaliere) nella solubilità, oltre che nella rapidità di propagazione e di accumulo del gas in contesti apparentemente identici, imponendo misurazioni accurate e un approccio metodico nel trattare questa fonte di rischio.

Come si misura il radon?

Esiste un metodo di monitoraggio a lungo termine del radon comunemente definito "misura integrata" che ricorre ad appositi dispositivi (dosimetri passivi o rilevatori a tracce) costituiti da un contenitore entro il quale è posizionato un materiale sensibile al radon; i dosimetri, solitamente forniti in kit, non emettono alcuna sostanza o radiazione e non necessitano di alimentazione elettrica: vengono collocati nell'ambiente da monitorare per un periodo di alcuni mesi, al termine del quale sono sottoposti ad analisi.

Il risultato che ne deriva fornisce la concentrazione media di radon presente nell'ambiente analizzato nell'arco di tempo di esposizione ed è quantificato in Bequerel al metro cubo (Bq/m3).

In alternativa, si può ricorrere ad un rilevatore continuo professionale, ossia ad un sofisticato dispositivo elettronico in grado di rilevare e registrare ad intervalli orari predefiniti la presenza di radon al termine di un monitoraggio di due o più giorni.

I limiti di legge previsti per il radon

Quale che sia il metodo di misurazione, la normativa europea ha fissato a 300 Bq/m3 di media annua la soglia ammissibile di riferimento con particolare riguardo alle abitazioni esistenti e ai luoghi di lavoro al chiuso, pur mirando ad un'ulteriore riduzione a 200 Bq/m3 per le abitazioni costruite a partire dal primo gennaio 2025; analoghe misure di controllo sono state stabilite per quel che concerne il radon presente nelle acque freatiche.

Il Consiglio Superiore di Sanità e l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) raccomandano che la concentrazione di radon nelle acque minerali e imbottigliate non superi i 100 Bq/litro (32 Bq/litro per le acque destinate ai bambini e ai lattanti), anche tenendo conto che le falde acquifere rocciose, con presenza di rocce cristalline, presentano valori molto elevati di radon.

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In Italia, le ARPA/APPA di alcune Regioni e Province Autonome, così come il SINRAD (Sistema Informativo Nazionale sulla Radioattività di ISIN) e il Servizio Radon dell'Istituto di Radioprotezione ENEA, costituiscono referenti qualificati per quanto concerne la misurazione del radon, raccogliendo in forma organizzata sotto forma di banca-dati i risultati delle campagne di misurazione condotte in luoghi di lavoro, scuole e abitazioni sul territorio italiano.

Proprio grazie a questa attività di consolidamento e di storicizzazione dei dati svolta dalle Regioni al fine di individuare le aree ad elevata probabilità di alte concentrazioni di radon, si è potuto appurare che la media nazionale nelle abitazioni italiane è di 70 Bq/m3: un valore più alto rispetto alla media mondiale (pari a circa 40 Bq/m3).

A livello regionale, le concentrazioni medie sono risultate variabili, passando da un minimo di 25-30 Bq/m3 (in Basilicata, Calabria, Marche) ad un massimo di circa 100 Bq/m3 e oltre (Lombardia, Lazio, Campania, Friuli-Venezia Giulia).

Il radon è pericoloso?

Essendo molto più pesante dell'aria, il radon tende a filtrare attraverso i materiali porosi, le fessure e le intercapedini per accumularsi negli spazi confinati, sia naturali che artificiali: ciò comprende qualsiasi tipologia di locale chiuso e/o scarsamente ventilato (ma non necessariamente sotterraneo o interrato) nelle abitazioni private come negli ambienti di lavoro.

Una volta accumulatosi, il radon può essere inalato insieme a particelle di fumo, vapore acqueo, polveri ecc.; i metalli pesanti originati dal processo di decadimento sono veicolati dal particolato aereo, penetrano quindi nell'organismo e − una volta giunti a livello polmonare − si fissano ai tessuti continuando ad emettere particelle alfa (nuclei di elio) e danneggiando le cellule dell'apparato polmonare in modo irreversibile.

Sulla base di approfonditi studi epidemiologici, il radon è stato quindi classificato dall'OMS e dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come un elemento cancerogeno per l'uomo (Gruppo 1, oncogeno certo) ed è reputato, a ragione, tra le principali cause di morte per tumore ai polmoni dopo il fumo di tabacco.

Il radon presente nell'approvvigionamento idrico per uso domestico causa una duplice esposizione potenziale tramite l'inalazione (vapori e/o gocce nebulizzate che si diffondono nell'aria dell'ambiente circostante), ovvero attraverso l'ingerimento (mediante l'acqua delle condotte o l'acqua in bottiglia) che, oltre ai danni già illustrati, porta ad una lenta intossicazione da piombo (saturnismo) con conseguenti fenomeni di anemia, coliche addominali, artralgie e disturbi nervosi.

Fatte salve queste premesse, è chiaro che gli effetti del radon sugli organismi viventi − esseri umani ed animali − rappresentano un problema di salute pubblica nonché una fonte di rischio sia in ambito privato (salubrità dell'edilizia civile) sia per ciò che riguarda la sicurezza negli ambienti di lavoro.

Come gestire il radon

A livello legislativo, l'Italia ha scelto di far rientrare il rischio derivante dall'esposizione al radon tra i pericoli legati alle radiazioni ionizzanti in genere; un analogo approccio viene adottato dal Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro e, soprattutto, dal D.Lgs. 31 luglio 2020 n. 101.

Ne deriva che la pianificazione degli interventi di prevenzione e protezione debba innanzitutto partire dalla distinzione fra spazi confinati propriamente detti (secondo D.P.R. 177/2011) e ambienti di vita a rischio di emissioni di radon, benché − in ambedue i casi − la reale validità delle azioni preventivate risulti in gran parte legata all'esperienza professionale individuale e alle buone prassi (Linee guida) consolidate a livello nazionale e Regionale.

I luoghi di lavoro più a rischio

Per comprendere la varietà dei possibili contesti lavorativi a rischio, ricordiamo ad esempio:

  • Cave e miniere;
  • Fungaie;
  • Impianti termali;
  • Sotterranei e catacombe (es. in ambito archeologico/museale per la conservazione dei beni culturali);
  • Aziende produttrici (e/o depositi) di fertilizzanti (fosfati);
  • Impianti di lavorazione (e/o depositi) del pirocloro, della bauxite, di sabbie zirconifere (es. per la produzione di piastrelle) o di materiali refrattari;
  • Impianti di estrazione e fusione di terre rare e/o torio;
  • Impianti di produzione di pigmenti a base di biossido di titanio (il controverso colorante E171 adoperato sia nelle vernici che nei cosmetici, nonché come additivo alimentare).

Qualche accorgimento tecnico-operativo

Premesso che, almeno a titolo provvisorio, sia sempre necessario attuare la ventilazione degli ambienti in oggetto, l'ingresso e la concentrazione del radon sono usualmente gestiti mediante vari accorgimenti tecnico-progettuali, talvolta associati tra loro:

  • Posa di membrane impermeabili al gas;
  • Sigillatura di giunti, crepe, fessure e tubazioni;
  • Chiusura di eventuali condotte di aspirazione non utilizzate;
  • Posa di tubi drenanti;
  • Realizzazione di pozzetti interni (o esterni) all'edificio per pressurizzazione, ovvero depressurizzazione del vespaio e/o del suolo sottostante l'edificio stesso;
  • Creazione di una depressione nei locali contigui all'area a rischio al fine di captare il gas e convogliarlo tramite appositi aspiratori centrifughi in aree collocate a distanza di sicurezza.

Alle soluzioni di tipo operativo, è sempre opportuno abbinare attività di informazione e formazione del personale destinato ad accedere e/o soggiornare negli ambienti a rischio, con la collaborazione eventuale di specifici referenti professionali (il Medico Competente in primo luogo, così come ATS/ASL, INAIL ecc.) anche in concomitanza di campagne di monitoraggio ambientale e/o di politiche volte a promuovere il welfare socio-sanitario (es. attività di sensibilizzazione sugli effetti del tabagismo, controllo della qualità di aria ed acqua potabile in ambito aziendale ecc.).

In ultima analisi, la consapevolezza del rischio costituito dal radon e delle sue possibili conseguenze rappresentano il primo, utile strumento per mantenere sotto controllo una problematica assai diffusa, quanto sottovalutata.

Il Piano Nazionale Radon (PNR)

In termini pratici, il principale riferimento è oggi costituito dal D.Lgs. 31 luglio 2020 n. 101 che recepisce le disposizioni della Direttiva 2013/59/EURATOM, delineando una serie di strumenti per la sua attuazione mediante il coordinamento tra le amministrazioni competenti in relazione ai diversi settori di interesse (partendo dalle realtà locali, regionali e provinciali, innanzitutto) nonché introducendo un sistema di indicatori di efficacia delle azioni pianificate.

Punto cruciale di questo ventaglio di provvedimenti è costituito dal "Piano Nazionale Radon" (o PNR), erede di analoghe iniziative di lungo termine risalenti al ventennio trascorso [8] e, teoricamente, destinato ad essere emanato nella sua forma definitiva entro il 27 agosto 2021 ad opera del Consiglio dei Ministri per poi sostenere aggiornamenti periodici su base decennale.

In sintesi, il PNR dovrebbe:

  • prevenire e ridurre i rischi di lungo termine dovuti all'esposizione al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro (anche di nuova costruzione), per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione e/o l'acqua;
  • dettagliare criteri condivisi per la classificazione delle zone in cui si prevede che la concentrazione media annuale di radon superi la soglia nazionale in modo significativo;
  • dettare le regole tecniche e i criteri di realizzazione di misure per prevenire l'accumulo del radon negli edifici di nuova costruzione nonché degli interventi di ristrutturazione su edifici esistenti;
  • riassumere gli indicatori di efficacia delle azioni pianificate.

Gli esperti di risanamento radon

Tra i tanti aspetti interessanti legati alla normativa più recente, spicca senz'altro la figura del professionista esperto in interventi di risanamento radon, visto non soltanto come ruolo funzionale all'attuazione dei dettami del PNR, ma anche come referente qualificato in possesso delle necessarie abilitazioni, della formazione e − soprattutto − dell'esperienza indispensabili a poter fornire le indicazioni tecniche funzionali all'adozione delle misure correttive per la riduzione della concentrazione di radon negli ambienti di vita.

Da ciò, ecco che discende un'ulteriore esigenza, ossia quella di validare in maniera oggettiva il livello di pertinenza e di approfondimento della formazione cui questi stessi esperti devono essere soggetti per ottenere la propria qualifica.

In questo, si fa senz'altro rilevante il ruolo di guida offerto dagli Ordini professionali come, ad esempio, l'Ordine degli Ingegneri di Milano che, già a partire dal 2021, è stato in grado di strutturare e di erogare ai propri iscritti un corso abilitante della durata di 60 ore organizzato grazie al coinvolgimento diretto di autorevoli referenti appartenenti alle principali istituzioni in campo socio-sanitario (ARPA, INAIL, ISS, INL, ATS ecc.) e del mondo accademico (SUPSI Lugano, Università dell'Insubria, Università La Sapienza di Roma).

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