Rimozione degli effetti della SCIA edilizia: condizioni e presupposti
Il termine dei 12 mesi per l'intervento di annullamento della SCIA in autotutela da parte della PA può essere superato solo in presenza di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato
L’argomento che affronta l’Autrice è di grande attualità perché inerisce la validità delle dichiarazioni di parte che fin dall’origine hanno comportato dubbi applicativi. La recente sentenza del TAR E-R qui in commento pone chiare le condizioni che devono intercorrere per evitare effetti postumi di invalidità degli atti.
(Presentazione di Ermete Dalprato)
Una recente sentenza del TAR per l’Emilia Romagna (sez II n 363/24) compie un sunto sui presupposti e le condizioni che consentono all’Amministrazione di intervenire sugli effetti delle SCIA edilizie.
Sotto il profilo normativo anche per la Scia edilizia (Art 22 DPR 380/01) trova applicazione il disposto di cui all’art 19 L 241/90 in forza di cui, dopo il decorso del termine ordinario di verifica dei requisiti e presupposti per l’esercizio dell’attività segnalata (30 gg art 19 co 6 bis L 241/90), è riconosciuta, in capo all’Amministrazione, la possibilità di incidere tardivamente sulla segnalazione presentata qualora sussistano le condizioni previste dall’art 21 nonies L 241/90.
Fuori dal termine anzidetto, qualora sussista un vizio di legittimità della SCIA, l’Amministrazione può incidere sugli effetti della stessa qualora (art 21 nonies L 241/90):
- sussistano ragioni di interesse pubblico considerate prevalenti rispetto all’interesse del privato alla conservazione del titolo;
- non siano decorsi dodici mesi dall’efficacia del titolo;
In merito a quest’ultimo termine, ritenuto ex se ragionevole dal legislatore, l’art 21 nonies L 241/90 prevede che possa essere superato solo in presenza “di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Il caso trattato nella sentenza precitata, riguarda la rimozione degli effetti di una SCIA, avvenuta con provvedimento assunto dopo due anni dalla sua efficacia, in cui, a fronte della segnalazione di un intervento di ristrutturazione ricostruttiva, veniva contestata la realizzazione di un intervento di nuova costruzione in difformità dalla normativa pianificatoria.
Nel provvedimento impugnato veniva specificato che:
- l’intervento era consistito nella demolizione di due edifici, di cui uno a destinazione servizi, e la costruzione di due manufatti in aderenza poi accorpati in un unico edificio, con diversa sagoma e diverso sedime, con trasformazione della destinazione d’uso, in zona paesaggisticamente tutelata;
- in area vincolata la ristrutturazione richiede che siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria;
- l’intervento realizzato dai ricorrenti, consistente nella costruzione di un nuovo edificio con destinazione principale quella residenziale, è incompatibile con la destinazione agricola dell’area data dal RUE vigente;
- gli interessati hanno fuorviato gli uffici con una rappresentazione del dato di fatto non corrispondente alla realtà ed inerente la destinazione d’uso di uno dei manufatti demoliti.
I ricorrenti contestavano pertanto la tardività del provvedimento di autotutela decisoria adottato dal Comune ad oltre due anni di distanza dalla presentazione della SCIA inibita e senza l’esternazione delle ragioni di pubblico interesse che lo giustificassero.
Quando la PA può superare il termine ragionevole dei 12 mesi
Il Tar, rigettando il ricorso, richiama in primo luogo la consolidata giurisprudenza secondo cui il superamento del termine ragionevole (attualmente fissato in 12 mesi) per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela è ammesso in due ipotesi, e precisamente:
- a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;
- b) nel caso in cui l’acclarata erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione ma esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: in questo caso - non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva - si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per “apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco» (così, C.d.S., Sez. III, sentenza n. 3422/2020; nello stesso senso, ex plurimis, T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I ter, sentenza n. 3209/2022; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, sentenza n. 300/2022).
I presupposti della falsa dichiarazione e l'intervento della PA
Nel caso specifico il TAR ha sostenuto che in sede di presentazione della SCIA sia stata resa una falsa dichiarazione in ordine alla destinazione urbanistica di uno dei due manufatti oggetto di demolizione per fare posto al nuovo fabbricato.
Per il manufatto in questione nella SCIA era stata dichiarata una destinazione d’uso abitativa nell’ambito della relazione tecnica descrittiva allegata alla segnalazione, mentre è stato dimostrato che esso venne condonato come costruzione a uso servizi, fatto questo confermato anche dalla documentazione fotografica ante intervento che attesta inequivocabilmente la natura dello stesso.
La falsa rappresentazione della realtà da parte del segnalante comporta, secondo il TAR, che non sia necessario da parte dell’Amministrazione che agisca in autotutela l’esternazione di particolari ragioni di pubblico interesse a giustificazione del provvedimento di secondo grado, posto che in tale ipotesi l’interesse pubblico deve ritenersi sussistente in re ipsa (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 6387/2023; T.A.R. Sicilia – Palermo, Sez. II, sentenza n. 141/2024).
Sempre secondo il TAR, risulta infondato anche il motivo di impugnazione, con il quale i ricorrenti contestavano che il Comune sia dotato di autotutela decisoria nei confronti della SCIA presentata dal privato non avendo questa natura di provvedimento amministrativo.
Tuttavia, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza, quello esercitato dal comune si sostanzia in un potere sui generis, non attuandosi con un provvedimento di secondo grado in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell’amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti ex lege dalla presentazione della SCIA ed eventualmente dal trascorrere di un determinato periodo di tempo, e che con l’autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento (Cons. Stato. Sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717; sez. II, 4 febbraio 2022, n. 782). Scaduto il termine per l’esercizio dei poteri inibitori, l’amministrazione può vietare lo svolgimento dell’attività e ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono in concreto i presupposti per l’autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo (secondo quanto detto poco sopra), dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico (ex multis Cons Stato, sez. VII, 27 settembre 2023, n. 8553)» (così, recentemente, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 1667/2024).
LA SENTENZA 363/2024 DEL TAR EMILIA-ROMAGNA E' SCARICABILE IN ALLEGATO PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE
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