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Risanamenti strutturali a ridotta impronta della CO2: un esempio dalla Svizzera

Risanare strutture in calcestruzzo è ambientalmente più sostenibile rispetto alla demolizione e ricostruzione, grazie a un minore impatto di CO₂. Un caso studio in Svizzera dimostra l’efficacia di una malta innovativa, autorigenerante e a basso GWP nel prolungare la vita utile delle infrastrutture.

Risanare (il calcestruzzo) è meglio che demolire?

Sì, risanare è meglio che demolire! Iniziamo questo articolo con un’affermazione che trova conferme quando ci riferiamo alla documentazione disponibile a livello internazionale sul tema di impatto ambientale della filiera del calcestruzzo. Prendiamo, per esempio, la pubblicazione FIB Bullettin 71 (Integrated life cycle assessment of concrete structures).

In questa pubblicazione, come in altre disponibili in letteratura, troviamo alcuni valori di riferimento medi per il cosiddetto Global Warming Potential (GWP), espresso come kilogrammi di CO2 equivalente (KgCO2eq) associato ad un processo costruttivo e/o produttivo. La tabella seguente mostra il GWP medio associato ad una riparazione strutturale di una superficie di calcestruzzo (solitamente su spessori non superiori ai 100 mm).

Chiamiamo questo valore GWPR e vediamo che vale 1.57 kgCO2eq/m2. Si tratta, quest’ultimo, di un valore di GWP medio associato alla messa in opera di malte da risanamento strutturali.

 

Impronta della CO2 delle varie fasi della riparazione e demolizione del calcestruzzo (FIB71)

 

La rimozione del calcestruzzo esistente (Ing. dismantling), sempre per uno spessore di 100 mm e per un peso specifico del calcestruzzo di 2.4 ton/m3, aggiunge un GWPD di 1.76 kgCO2eq/m2. La demolizione aggiunge infine un GWPD* = 2.10 kgCO2eq/m2.

Quindi: rimuovere, demolire e riparare il calcestruzzo pesa per un totale di (GWPR + GWPD + GWD*) = 5.4 kgCO2eq/m2.
Se invece di rimuovere e risanare la parte corticale, decidessimo di rimuovere tutto e ricostruire, dovremmo intervenire su spessori molto maggiori di 100 mm. Considerati i valori tabellati sotto (sempre da FIB 71), a cui dovremmo anche aggiungere il grandissimo contributo di GWP medio intorno a 600-700 kgCO2eq/m3 di una miscela di calcestruzzo strutturale in classe C35/45 (prodotta con cementi pozzolanici), si conclude facilmente che, sotto il profilo ambientale, risanare su spessori limitati è meglio che riscostruire per intero in calcestruzzo!

 

Impronta della CO2 della produzione e messa in opera del calcestruzzo (FIB71)

 

Vita di servizio, questa sconosciuta

Quindi sembrerebbe tutto molto semplice: non demoliamo! Risaniamo! E qui sorge un primo problema, relativo al fatto che il concetto di vita di servizio è spesso visto come l’etichetta di scadenza che troviamo sugli alimenti deperibili. Se una struttura è progettata per 50, 100 anni si tende a pensare che dovrebbe resistere alle azioni ambientali ed ai carichi, appunto, per 50 o 100 anni. Passato questo termine la struttura ha raggiunto la sua “fine vita” ed andrebbe demolita e rifatta. Facciamo la stessa cosa con gli alimenti, buttandoli se sono scaduti e comprandone di freschi.

Ora, però, il concetto di vita di servizio implica, per le definizioni che si trovano pubblicate sia sull’Eurocodice che su documenti ACI (American Concrete Institute), l’ispezione periodica e la manutenzione ordinaria. È ovvio infatti che la vita di servizio di un macchinario, oppure di un materiale e persino di un essere umano (…diciamo non troppo sfortunato…) dipende essenzialmente da quanti controlli periodici riceve e, quando i controlli mostrino le prime avvisaglie di un potenziale problema incipiente (per noi homo sapiens: la salute), si corre ai ripari con la manutenzione (per noi sapiens: le medicine) e la prevenzione (per noi sapiens: lo stile di vita).

Non sempre questo concetto è invece applicato alle strutture di calcestruzzo le quali spesso non ricevono ispezioni periodiche che sono di fatto gli unici strumenti che abbiamo per determinarne lo stato e fare previsioni ragionate sulla vita di servizio residua.

Il problema del degrado del calcestruzzo per corrosione indotta da cloruri e carbonatazione è che è un fenomeno non lineare, che impiega un certo tempo per apparire, ma quando lo fa procede spedito verso il consumo di armatura (si veda a questo proposito la nostra pubblicazione su Ingenio). Quando parliamo di “apparire” intendiamo dire che la struttura ha raggiunto uno stato limite di servizio che non risulta accettabile, non già per la sicurezza degli utenti (perdite di liquidi, distacchi, crolli,…), ma perché, da quel momento, il degrado potrebbe evolvere rapidamente entro un certo numero di anni fino a diventare, infine, anche un problema di sicurezza!

Questo stato limite è di solito l’inizio dei fenomeni di pitting dell’armatura che non sono visibili dall’esterno perché non presuppongono, ancora, la formazione abbondante di idrossidi di ferro che espandendo creano fessure, distacchi e ruggine visibili.

In figura sotto riportiamo il classico diagramma di Tuuti modificato, il quale mostra come la vita di servizio “finisca”, sotto il profilo dello stato limite di servizio, al punto 1 (periodo di inizio), da cui il degrado si propaga più o meno rapidamente ed in modo non-lineare con stadi di corrosione via via crescenti fino al punto 4, quando la struttura comincia a diventare realmente a rischio.

 

Diagramma di Tuuti modificato (Crediti: Michel di Tommaso)

 

Non dobbiamo dimenticarci quindi che, dal momento in cui il calcestruzzo entra in contatto con l’ambiente, inizia un processo di invecchiamento inevitabile che si manifesta dapprima con fessure (a volte già concomitanti con la costruzione per cattiva maturazione, ritiro termico, ritiro autogeno, ritiro idraulico) che diventano i primi veicoli di penetrazione preferenziale dei fluidi aggressivi che possono raggiungere il ferro.

Solo le fessure con apertura massima sotto 0.15-0.20 mm possono essere considerate innocue sotto il profilo dei fenomeni di trasporto. Quindi, la riparazione delle fessure dovrebbe essere la prima linea di difesa contro l’invecchiamento precoce, seguita da interventi mirati al calcestruzzo del copriferro. Infatti, salvo situazioni particolari, i fenomeni di degrado delle strutture in calcestruzzo coinvolgono sempre e soprattutto il copriferro causando corrosione indotta da carbonatazione e/o da cloruri.

Si tratta quindi di fenomenologie tutto sommato corticali che possono essere riparate preventivamente, come visto nella sezione precedente, con un associato impatto ambientale comunque ridotto rispetto al “non fare alcuna cosa” fino a che il livello di danno non diventi tale da richiedere interventi sostanziali con un elevato impatto ambientale.

 

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