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Superare la dicotomia tra centro urbano e periferia attivando processi di riuso delle «aree marginali»

Architettura e Rigenerazione urbana e territoriale: gli architetti di Rimini a confronto sul tema del Riuso delle AREE MARGINALI.

Si è svolta nella mattinata del 20 novembre 2020 la seconda giornata di RIUSO DEL MODERNO, l’iniziativa promossa dall’Ordine degli Architetti di Rimini che pone al centro del dibattito il tema del Riuso alla luce di un rinnovato confronto sul ruolo dell’architetto all’interno dei processi di riqualificazione e rigenerazione urbana e territoriale.

Al centro di questa seconda mattinata di confronto online il tema del Riuso delle AREE MARGINALI. L'argomento proposto intende superare la dicotomia tra centro urbano e periferia per recuperare, in un’ottica di visione più ampia, modelli di intervento finalizzati a valorizzare le diverse realtà locali. Si è voluto in questa sede documentare un insieme di “buone pratiche” quali esempi di processi in atto, in cui il ruolo del progettista e le diverse istanze del progetto costituiscano la migliore garanzia per una qualità futura dell’abitare.

Hanno partecipato alla diretta in qualità di relatori: arch. Antonio de Rossi e arch. Laura Mascino (Politecnico di Torino), arch. Matteo Agnoletto (Università di Bologna), arch. Guendalina Salimei (Università “La Sapienza” di Roma). L’evento è stato coordinato dall’arch. Giovanni Casadei, Consigliere dell’Ordine di Rimini.


Il progetto come strumento di dialogo privilegiato per il bene comune

Ad aprire i lavori di questa seconda giornata dedicata al tema del Riuso delle AREE MARGINALI il Presidente dell’Ordine degli Architetti di Rimini Roberto Ricci con i consueti saluti e ringraziamenti ai relatori e ai partecipanti. Il presidente ha sottolineato come sia fondamentale continuare a sensibilizzare la collettività - tanto i professionisti quanto i committenti pubblici e privati e i singoli cittadini - sul ruolo dell’architetto all'interno dei processi di riuso e rigenerazione. L'architetto, in qualità di attivatorecoordinatore e attuatore dei processi attraverso lo strumento del progetto, ha la capacità di far crescere e dar forma condivisa a quelle istanze che provengono dal basso finalizzate all'edificazione del bene comune delle nostre future comunità.

La parola è passata al coordinatore della giornata, l’arch. Giovanni Casadei, che ha riportato come sia necessario allargare il concetto di tutela, restauro e recupero anche a beni ‘malridotti’ e/o abbandonati più vicini all’epoca contemporanea ed entrati a far parte della coscienza collettiva.

Intervenire significa riqualificare un patrimonio più vasto e diffuso di quello storico-artistico che implica necessariamente un coinvolgimento partecipato della collettività, che non interessa solo la singola architettura oggetto di recupero, ma riguarda anche il tessuto urbano e il paesaggio, che insieme costituiscono un bene comune - ha precisato l’arch. Giovanni Casadei – Beni comuni, spazi fisici, architetture, ma soprattutto complessi sistemi relazionali da guardare e ripensare, con sguardo anche critico, per il futuro delle nostre comunità”.

Un progetto per Riabitare l’Italia, tra nuovi sguardi ed esperienze sul campo

La prima “buona pratica” presentata nel corso della mattinata ha riguardato l’esperienza condotta dal gruppo “Riabitare l’Italia”.

Riabitare l'Italia è un gruppo di studio nato nel 2017 dall’esigenza di riunire persone e studi in ambiti disciplinari differenti che nel tempo hanno indagato e ragionato sul tema della riqualificazione, della rigenerazione, del ripopolamento di alcune zone considerate marginali. Temi questi che coinvolgono per la loro complessità diversi ambiti disciplinari – come l’architettura, l’urbanistica, la sociologia, l’antropologia, l’economia etc. - che però concorrono tutti nella costruzione di politiche di processi di riattivazione dei luoghi, ha sottolineato nel suo intervento Laura Mascino. Il lavoro corale messo a punto dal gruppo è confluito nella pubblicazione del volume “Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste” a cura di Antonio De Rossi ed edito da Donzelli (2018).

Il lavoro di Riabitare l’Italia si concentra sul territorio di margine, ovvero quello costituito da tutte quelle aree - «interne», «fragili», «in contrazione», «del margine» appunto - che in Italia coinvolgono quasi un quarto della popolazione totale, e a più dei due terzi del l'intero territorio nazionale.

Quale approccio adottare su queste realtà diffuse? “É necessario intervenire invertendo lo sguardo. Guardare all’Italia intera muovendo dai margini, dalle periferie. Considerare le dinamiche demografiche, i processi di modernizzazione, gli equilibri ambientali, le modalità sociali e territoriale, le contraddizioni e le opportunità, per una volta all’incontrario. Partendo dalla considerazione che l’Italia del margine non è una parte residuale; che si tratta anzi del terreno forse decisivo per vincere le sfide del prossimo decenni” ha affermato Laura Mascino citando il testo di quarta di copertina del libro. La Mascino ha specificato inoltre che “le sperimentazioni che si applicano in alcune aree marginali possono diventare sperimentazioni replicabili su tutto il territorio”.

ostana_centro-culturale-pourtoun.jpgM. Crotti, A. De Rossi, M.-P. Forsans, Studio Associato GSP, Centro culturale Lou Pourtoun a Miribrart, 2011-15. © L. Cantarella.

Il prof. arch. Antonio De Rossi, coordinatore del gruppo Riabitare l’Italia, nel corso del suo intervento ha affermato che “la crisi sanitaria di questi mesi ha evidenziato quanto la dimensione territoriale sia stata espulsa da tempo dalle policies del nostro Paese. L’astrazione dallo spazio fisico ha permesso quelle azioni di concentrazione (dell’eccellenza), separazione (dal territorio) e specializzazione (funzionale) che negli ultimi decenni sono state la cifra delle trasformazioni del nostro paese. Non è un caso che la crisi abbia colpito più duro sui territori intermedi che sono stati i principali oggetti delle politiche settoriali.” Ecco oggi offrirsi a noi la possibilità di promuovere un’inversione di marcia dove “la spazializzazione, la territorializzazione delle politiche oggi rappresenta una priorità decisiva” ha continuato De Rossi.

Nel corso del suo intervento arch. Antonio De Rossi ha elencato i 7 elementi fondamentali su cui concentrare l’attenzione per intervenire e riattivare le aree marginali:

  1. Un nuovo ruolo (produttivo) per le aree interne
    ovvero dar vita a “territori della produzione”: di nuove culture, di innovazioni sociali, di saperi e pratiche tecnorurali, di rinnovati modi di fare walfare e di interagire con l’ambiente”.
  2. Una nuova visione metromontana e metrorurale
    basata sull’interdipendenza e la cooperazione dei diversi sistemi territoriali.
  3. Competenze, norme, procedure, finanziamenti place-based
    in stretta relazione con le differenti caratteristiche geografiche e socio-economiche dei specifici territori.
  4. Ripensare i temi e gli oggetti
    è necessario uscire dalla tassonomia degli oggetti precostituiti e dalla visione astratta delle soglie minime, e ricostruire modelli di walfare e di infrastrutturazione a partire dalle specificità dei territori, innovando e contaminando.
  5. Reinfrastrutturare l’Italia
    un progetto applicato alle diverse scale che deve tenere insieme la dimensione logistica, ambientale e di walfare superando anche i divari digitali.
  6. Un progetto di ricostruzione 
    non è più possibile costruire ex novo. C’è un enorme capitale fisso territoriale che attende di essere reinterpretato, riusato, mantenuto, rinnovato nell’ottica di una green economy tecnorurale.
  7. Con chi
    mobilitare diversi soggetti a partire dalle associazioni, dai sindacati, dalle realtà della rigenerazione che insieme alle competenze e tecniche professionali collaborano verso l’obiettivo.

L’arch. Antonio De Rossi ha poi concluso il suo intervento raccontando l’esperienza del progetto di rigenerazione, “molteplice e per certi versi impossibile” come da lui dichiarato, che ha interessato il territorio del Comune di Ostana nelle alpi piemontesi.

L’esperienza G124 Renzo Piano a Modena: il progetto di un’area verde per il quartiere Crocetta

È stata poi la volta dell’intervento dell’arch. Matteo Agnoletto, docente di composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna e responsabile di un progetto G124 all’interno del gruppo di lavoro del Senatore Renzo Piano sul “rammendo delle periferie”.

Il progetto G124 nasce nel 2014, anno in cui è avvenuta la nomina a Senatore a vita dell'architetto Renzo Piano. Il progetto offre ogni anno a gruppi di giovani professionisti (tutti sotto i 35 anni e retribuiti con lo stipendio del Senatore Piano), dislocati in varie città d’Italia, la possibilità di prendere parte a questo grande progetto collettivo volto a “rammendare” le periferie italiane attraverso micro-cantieri, "le gocce" come li chiama architetto Renzo Piano. I gruppi di lavoro sono coordinati da tutor e aiutati da altre figure professionali (sociologi, antropologi, economisti, critici, urbanisti etc.) e hanno il compito di produrre studi di rammendo su una specifica periferia attraverso azioni partecipate e di confronto, che devono concludersi in un anno di lavoro.

Dopo una breve carrellata dei progetti G124 attualmente in corso, che vedono coinvolti il quartiere Guizza di Padova, lo ZEN 2 di Palermo, la Scuola Modello di Sora, l’arch. Agnoletto ha presentato il progetto di riqualificazione del Parco XXII Aprile nel quartiere Crocetta a Modena che lo vede coinvolto in prima persona come tutor responsabile del progetto.

Il verde è il tema comune scelto da Renzo Piano che guida i quattro progetti G124 2020. Una scelta quella di Piano dettata dall’affiancamento nel gruppo di progettazione dello scienziato Stefano Mancuso con l’obiettivo di sperimentare il tema della immissione arborea come componente imprescindibile del progetto.

g124-progetto-riqualificazione-parco-xxii-aprile-modena.jpg© Comune di Modena

Il ripensamento dell’area verde del Parco XXII Aprile nel quartiere Crocetta è nuova sfida nell’ambito della rigenerazione della periferia modenese. Si tratta di un’area che, nonostante continui ad essere molto frequentata nelle ore diurne, è conosciuta alla cronaca locale per il degrado e la microcriminalità che nel tempo in essa si è radicata. Alla base di questo progetto G124 la volontà di rivitalizzare l'area mediante la realizzazione di tre micro-interventi richiesti a gran voce dalla collettività per rissollevare l’attrattività del luogo offrendo alla comunità un nuovo spazio di convivialità e di servizio.

Il Parco XXII Aprile si colloca al limite tra il centro storico e la campagna, un’area che può essere definita interstiziale, che nel passato ospitava il “Porto di Modena” con la sua grande darsena ed il naviglio che connetteva la città ducale alla rete fluviale del nord Italia. Nel dopoguerra, con l’avvento dell’industrializzazione e la nascita dei primi quartieri operai, il quartiere è divenuto a tutti gli effetti un quartiere residenziale destinato agli operai della vicina zona industriale. Anche per il quartiere Crocetta, come in buona parte accaduto nei quartieri residenziali operai edificati in quegli anni, si è prestata maggior attenzione alla produzione di una corposa quantità di alloggi a dispetto della qualità degli edifici e dello spazio pubblico circostante.

La microcriminalità, come già accennato, è una problematica reale che insiste sull’area, ma che attraverso una serie di interventi può essere minimizzata. Tra gli interventi previsti, spiega l’arch. Agnolotto, “la piantumazione di circa 80 alberi, un’esperienza questa legata alla vegetazione coordinata con Stefano Mancuso il quale andrà ad applicare dei sensori alle piante per raccogliere dati su l’accrescimento e l’emissione di CO2. A seguire, la realizzazione di un piccolo padiglione aperto e multifunzionale in legno di accoya; una piccola architettura a servizio della comunità le cui forme evocano le architetture rurali e la modularità dei campi coltivati a frutto sul territorio emiliano. Infine, l’inserimento di un terzo elemento, una scultura di Edoardo Tresoldi che l’artista ha immaginato come un portale aperto che interagisce con la natura.

Periferie possibili: il progetto per la riqualificazione del Corviale di Roma

Nel suo intervento l’architetto Guendalina Salimei ha dichiarato come il suo lavoro si colloca nelle possibilità offerte dall’eredità del calcestruzzo delle periferie, ovvero quella dai “grandi edifici in cemento armato che formano un patrimonio architettonico il cui valore storico e testimoniale non è ancora completamente riconosciuto. Questo permette di poter riacquistare enormi quantità di costruito e di poterlo manipolare per offrire nuove opportunità abitative sperimentali e innovative”.

guendalina-salimei_corviale_01.jpg© T-Studio

La Salimei ha raccontato che dal progetto di riqualificazione del Corviale è nato un progetto di ricerca universitario che ha elaborato possibili strategie di intervento all’interno di queste periferie ereditate negli ultimi cinquantanni anni. Un progetto di ricerca presentato in occasione di una mostra a Roma elaborata con la collaborazione del Mibact.

I temi oggetto di studio e le possibili strategie di intervento hanno riguardano in particolar modo:

  • Connessioni con la città.
    Eliminare l’isolamento inserendo servizi e infrastrutture di collegamento. “È il tema della connessione o isolamento del nuovo quartiere rispetto al centro abitato e dell’impatto con la dimensione paesaggistica”.
  • L’articolazione degli spazi aperti.
    Curare le relazioni tra casa e la strada, favorire la cura collettiva degli spazi verdi, realizzare la gradualità dei passaggi tra spazio privato e spazio pubblico. “È il tema che definisce il passaggio dal privato al pubblico attraverso una sequenza che dall’alloggio giunge allo spazio pubblico della città”.
  • Le attrezzature e servizi.
    Realizzare servizi di prossimità, migliorare l’accesso ai servizi di base, concentrare le attrezzature e i servizi per realizzare luoghi di incontro e potenziare l’attrattività del quartiere.
  • Le trasformazioni nel tempo.
    Lavorare sull’architettura dei complessi edilizi stessi recuperando zone abbandonate o inutilizzate, recuperando l’attacco al suolo e quello al cielo con un’attenzione particolare alle tematiche di efficientamento energetico.
  • Differenti modi dell’abitare.
    Potenziare la varietà dell’offerta tipologica e dimensionale degli alloggi.

Questi sono i temi con i quali dobbiamo cercare di affrontare tutto questo grande patrimonio delle periferie che abbiamo ricevuto in eredità. Alcune periferie sono assolutamente interessanti in termini di riorganizzazione degli spazi e dei luoghi dell’abitare, altre forse necessitano di una revisione più radicale senza però ricorrere, a mio avviso, alla demolizione” ha dichiarato l’architetto Salimei.

In merito ai temi e alle strategie prima citate, Guendalina Salimei sostiene che “tutto quanto si sposa con il termine ‘sostenibilità’, una parola spesso abusata ma il cui significato è chiaro a tutti, tecnici e non. Nell’ambito delle periferie il termine sostenibilità può essere declinato in diverse realtà. Si può parlare di sostenibilità ambientale, sociale, fruitiva oltre che energetica. La spinta alla riorganizzazione degli alloggi di questi grandi complessi è stata possibile anche attraverso quel processo normativo di adeguamento, tra cui quello energetico appunto, che ha permesso in termini progettuali la trasformazione all’interno di questi edifici. Ricordiamo che questi complessi sono legati a una legge sull’edilizia economico popolare, di ormai cinquanta anni fa, che lascia pochi margini di intervento sulla riorganizzazione degli spazi”.

Guendalina Salimei ha poi proseguito il suo intervento raccontando l’esperienza del Corviale. Questo edificio frutto di un’utopia di Mario Fiorentino costruito nella campagna romana, un edificio lungo un kilometro destinato a 6-7mila abitanti. Un’utopia che, secondo la Salimei, si rifaceva all’idea della “grande macchina dell’abitare” teorizzata da Le Corbusier e alle antiche infrastrutture romane degli acquedotti che caratterizzano il paesaggio della campagna romana, una sorta di nuova grande infrastruttura della contemporaneità. Il progetto di riqualificazione del Corviale prevede la riorganizzazione del famoso 4° piano, la strada interna pensata dai progettisti nel 1975 come spazio pubblico adibito alle attrezzature – negozi, asili, sale condominiali etc. – a servizio della “grande macchina dell’abitare”.

Il progetto di ristrutturazione edilizia con cambio d’uso dei locali del 4°piano del Corviale prevede la riorganizzazione di uno spazio che nel tempo ha subito un’occupazione abusiva con la realizzazione di circa 110 appartamenti. Una situazione problematica che ha portato l’ATER - Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica della provincia di Roma – a indire un bando di concorso che prevedeva l’inserimento di nuovi alloggi e quindi la trasformazione ufficiale di questo piano in un piano adibito ad uso residenziale. Alla base del progetto di riqualificazione proposto dal gruppo capeggiato da Guendalina Salimei “la volontà di non snaturare l’idea originaria di questo spazio. Abbiamo sì pensato a un piano di alloggi ma intervallato da spazi comuni”.

guendalina-salimei_corviale_02.jpg© T-Studio

L’idea della fascia verde è nata dalla volontà di far entrare la natura all’interno di questo sistema e di creare spazi comuni caratterizzati da questo colore a simboleggiare una rinascita dello spazio e del luogo; “un enzima positivo capace di riorganizzare tutto il sistema” ha affermato la Salimei durante il suo intervento. Il progetto è conosciuto anche con il nome di “chilometro verde”.

L’esperienza del Corviale di Guendalina Salimei è stata fonte di ispirazione del film “Scusate se esisto!” (2014) diretto dal regista Riccardo Milani.

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