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Titoli probanti lo stato legittimo per immobili realizzati ante legge 765/1967

Anche gli atti diversi da quelli di carattere urbanistico-edilizio rappresentano senza dubbio "documenti probanti" la destinazione d'uso legittima di un immobile, ai sensi del combinato disposto degli articoli 23-ter, comma 2, e 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia.

L’accertamento della legittimità degli immobili sorti ante legge ponte è stato spesso semplicisticamente affrontato, ma pone più di un elemento di complessità che va accuratamente analizzato.

Non solo risalendo alla legge urbanistica fondamentale del 1942, ma anche agli eventuali regolamenti locali previgenti o alle disposizioni specifiche nazionali che per zone “sensibili” (sismiche o terremotate) già imponevano atti abilitativi.

L’Autrice esamina la questione alla luce di una recente giurisprudenza che pone in evidenza come la legittimità debba estendersi non solo alla consistenza “volumetrica”, ma anche alla destinazione preesistente e agli atti utili per il suo accertamento.

*introduzione di Ermete Dalprato


Ricostruzione dello stato legittimo per immobili precedenti al 1967

La previsione di cui all’art.9 bis comma 1-bis DPR 380/01 individua, in termini generali, la documentazione idonea ad attestare lo «stato legittimo dell’immobile», con la specifica funzione di semplificare l’azione amministrativa nel settore edilizio, di agevolare i controlli pubblici sulla regolarità dell’attività edilizio-urbanistica e di assicurare la certezza nella circolazione dei diritti su beni immobili.

Il tema che si vuole affrontare riguarda nello specifico la ricostruzione dello stato legittimo in relazione agli immobili edificati in un periodo storico in cui non era obbligatorio acquisire preventivamente il titolo abilitativo edilizio.

In merito l’articolo citato dispone che «(...) Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali».

Lo stato definito nei termini indicati dal legislatore statale, riguarda non solo la consistenza plani-volumetrica dell’edificio ma altresì la sua destinazione d’uso, considerato che, il successivo art. 23-ter comma 2 DPR 380/01, prevede che anche tale elemento sia ricostruito sulla base della documentazione di cui all'art. 9-bis DPR 380/01.

Per una corretta ricostruzione pratica dello stato legittimo degli immobili va in primo luogo sgombrato il campo da un equivoco molto comune ovvero che l’epoca a cui fa rifermento la normativa in commento sia necessariamente il periodo storico antecedente l’entrata in vigore della L. 765/67 con cui, in modifica dell’art. 31 L. 1150/42, è stato definitivamente sancito l’obbligo di premunirsi di idoneo titolo abilitativo per l’edificazione in qualsiasi parte del territorio comunale.

Sennonché, pure al di fuori dei centri abitati e delle zone di espansione, nonché prima della legge n. 1150 del 1942, la necessità di un titolo abilitativo edilizio veniva, a ben vedere, disposta anche da altre fonti così come di recente ribadito dalla Corte Costituzionale (sent. n. 217/2022).

Anzitutto, per gli immobili realizzati in comuni ricadenti in zone sismiche, l’obbligo era sancito a livello di fonte primaria dal regio decreto-legge 25 marzo 1935, n. 640 (Nuovo testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti) e dal regio decreto-legge 22 novembre 1937, n. 2105 (Norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti).

Inoltre, l’obbligo di previa autorizzazione alla costruzione poteva essere disposto dal regolamento edilizio comunale, emanato in esecuzione della potestà regolamentare attribuita ai comuni nella materia edilizia dai testi unici della legge comunale e provinciale susseguitisi nel tempo: regio decreto 10 febbraio 1889, n. 5921 (Che approva il testo unico della legge comunale e provinciale), regio decreto 21 maggio 1908, n. 269 (Che approva l’annesso testo unico della legge comunale e provinciale), regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148 (È approvato l’annesso nuovo testo unico della legge comunale e provinciale).

Se ne desume, dunque, anche prima dell’entrata in vigore della L. 765/67, vi erano comuni nei quali era obbligatorio munirsi di un titolo abilitativo edilizio.

Ne consegue che l’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, là dove si riferisce alla obbligatorietà del titolo, abbraccia certamente anche le citate fonti.

Un esempio recente

Chiarito il quadro normativo in cui gli operatori del settore si trovano ad operare, un recente intervento del Consiglio di Stato (sez IV 6 dicembre 2022 n. 10670) entra nel merito di una vicenda relativa alla ricostruzione della destinazione d’uso legittima di un immobile edificato in un periodo storico in cui non era necessario munirsi di idoneo titolo abilitativo.

Nella fattispecie oggetto di contenzioso, veniva impugnato un provvedimento di rimozione degli effetti di una SCIA motivato sull’illegittimità della destinazione d’uso dell’immobile.

Nel corso dell’istruttoria procedimentale era stato reperito un permesso di costruire del 2019, rilasciato per la realizzazione di un intervento di ristrutturazione edilizia inerente un immobile ad uso commerciale, per cui l’Amministrazione comunale riteneva di non valorizzare l’uso indicato nel predetto titolo, indicato solo come stato di fatto, in quanto trattandosi di edificio realizzato ante 1967, la diversa destinazione d’uso legittima poteva essere rinvenuta dalla classificazione catastale data (nello specifico C2 deposito) per cui non era stata chiesta alcuna variazione.

L’Amministrazione Comunale non aveva tenuto in considerazione, trattandosi di titoli non afferenti l’ambito urbanistico, le plurime licenze commerciali rilasciate per l’edificio in discussione dal 1949 (ed un’agibilità rilasciata nel 1955) al 1973.

Il Consiglio di Stato, in applicazione dei principi scaturenti dalle disposizioni di cui all’art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01, ha statuito l’illegittimità di tale operato, ritenendo che anche la destinazione d’uso di un immobile realizzato ante 1967 è quella desumibile da “documenti probanti”, in generale, quali, tra gli altri, i documenti d’archivio o altri atti, pubblici o privati, di cui sia dimostrata la provenienza.

Si è pertanto ritenuto che anche gli atti diversi da quelli di carattere urbanistico-edilizio rappresentino senza dubbio “documenti probanti” la destinazione d’uso legittima di un immobile, ai sensi del combinato disposto degli articoli 23-ter, comma 2, e 9-bis, comma 1-bis, del D.P.R. n. 380/2001, rispetto alla quale la classificazione catastale, che notoriamente rileva primariamente a fini fiscali, riveste carattere recessivo e sussidiario, come tale utilizzabile in mancanza di ulteriori atti, quale previsione di chiusura del sistema.

Pertanto il privato interessato tanto nell’ambito del permesso di costruire pregresso, che nell’ambito SCIA successiva ha correttamente riferito della destinazione d’uso originaria dell’immobile, in quanto la fonte primaria (DPR 380/01) non riconosce rilevanza probatoria specificatamente ai “titoli afferenti all’ambito urbanistico-edilizio” al fine di dimostrare la destinazione d’uso dell’immobile bensì fa riferimento genericamente a “documenti probanti” e, in via esemplificativa, agli atti ivi individuati per comprovare la destinazione d’uso in essere.

Tra questi atti devono essere sicuramente annoverati i certificati amministrativi che sono documenti pubblici, nella specie attestanti il legittimo esercizio dell’attività commerciale presso l’immobile in questione, valevoli, in quanto aventi provenienza certa e non contestata, a dimostrare la destinazione commerciale dell’immobile.

Né del resto può essere svilita la rilevanza del permesso di costruire 2019, in quanto richiesto e concesso esclusivamente per l’intervento di ristrutturazione, dunque senza alcun riferimento ad una destinazione d’uso dell’immobile diversa da quella risultante dalla relativa classificazione catastale, atteso che l’istante non aveva motivo per chiedere il cambio di destinazione d’uso in presenza di un immobile da tempo utilizzato con finalità commerciale.


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