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Architettura massiva e stereotomica: il Complesso parrocchiale di Santa Chiara a Sini tra muri, pietre e recinti

Il racconto del complesso religioso di Santa Chiara di Sini in Sardegna. Il muro diventa il protagonista assoluto della costruzione religiosa e la pietra ne è il suo elemento costitutivo. Infatti, è il dispositivo di relazione interscalare, struttura lo spazio e le sue articolazioni e proporzioni, ma è anche l’elemento su cui grava l’intera costruzione, sopporta e distribuisce i carichi.

Complesso parrocchiale di Santa Chiara a Sini, architettura massiva, stereotomica

«[…] I muri sono oggi brani di pelle, materia necessaria per qualunque operazione plastica. I muri oggi stanno scomparendo, sono una specie minerale in via di estinzione. […] i muri non possono crollare, né essere demoliti (neppure quello di Berlino), poiché sono la nostra casa»
E. Souto de Moura

Il progetto per il complesso religioso di Santa Chiara di Sini, pensato per accogliere circa duecento fedeli, ricerca nell’aderenza ai principi della cultura insediativa locale le proprie ragioni formali e simboliche, secondo una riflessione interscalare che lega territorio, forma urbana, tipi e caratteri dei luoghi.

Più precisamente e prendendo le distanze da qualunque ipotesi di replica del repertorio architettonico vernacolare, l’individuazione di alcune invarianti dell’insediamento sardo e la relazione che l’uomo storicamente ha stabilito col territorio, da un lato, e la possibilità di reinterpretazione e reinvenzione di traiettorie di continuità, dall’altro costituiscono i presupposti per un rinnovato pensiero sui luoghi del sacro di una piccola comunità delle aree interne della Sardegna.

L’architettura dell’isola, sin dalle più antiche forme di presidio del territorio (si pensi alle torri nuragiche o ai primi rifugi rupestri cultuali), si è connotata come massiva, aspetto dominante dell’intero processo generativo e costruttivo, stereotomica, per usare una definizione cara a Kenneth Frampton, in cui il costruito appare quasi ergersi dal suolo, la continuità delle murature e dei recinti prevale sulle bucature e i rapporti tra terra-cielo e luce-ombra diventano indissociabili dicotomie.

Inoltre, il rapporto orizzontale-verticale, tra il piano del raduno all’aperto (il fuori) il luogo del culto (il dentro) individuati e insieme tra loro separati attraverso muri spessi e recinti lapidei, acquista nei siti sacri in Sardegna una dimensione dialettica di assoluto rilievo fin dai tempi più antichi, ispirato a riti ancestrali di origine mediterranea. La massività dello spessore lapideo esprime quindi sia il mondo fisico della materia costruttiva, sia quello culturale e simbolico del territorio.

(Stefano Ferrando - Studio Vetroblu)

Il muro è protagonista assoluto della costruzione e la pietra ne è il suo elemento costitutivo, il nesso più esplicito fra la costruzione e il sito, cavata dal suolo, modellata e riusata per architetture che, attraverso questo processo, appaiono appartenere da sempre ai territori. In questi paesaggi il muro è il dispositivo di relazione interscalare, struttura lo spazio e le sue articolazioni e proporzioni ma è anche l’elemento su cui grava l’intera costruzione, sopporta e distribuisce i carichi.

(Stefano Ferrando - Studio Vetroblu)

Il muro definisce il carattere dei paesaggi costruiti, sia in ambito urbano che rurale, richiude gli spazi, li comprime e li dilata, diventando recinto divide il privato dal pubblico, governa gli usi degli spazi e i rapporti delle comunità, è al tempo stesso regolatore delle geometrie spaziali e di quelle sociali. Attraverso il muro si definisce il linguaggio dell’architettura locale, la sua matericità, le sue tessiture, i suoi cromatismi.

Lo spessore dei muri è sempre decisivo sia nelle grandi fabbriche preistoriche megalitiche (i nuraghi e le tombe dei giganti), sia nelle piccole chiese rurali, sia nelle case tradizionali. Lo spessore trasforma il muro in uno spazio da colonizzare, da scavare, da attraversare, per mezzo del quale consentire alla luce di illuminare l’interno; lo spessore consente al muro di essere usato e abitato trasformandosi da limite a margine, bordo spesso, spazio tra spazi, anch’esso luogo.

Facciata esterna alla Chiesa.
Facciata esterna alla Chiesa.
(Stefano Ferrando - Studio Vetroblu)

La chiesa è il villaggio: uso di forme archetipe ed elementari

L’insediamento dell’isola è fatto di muri, recinti e stratificazioni perlopiù lapidee di lunga durata e il progetto per la chiesa di Santa Chiara propone un’architettura che nel muro e nel sistema di muri ricerca gli elementi dialogici con i caratteri genetici locali, senza rinunciare alla forza espressiva delle forme astratte, “silenziose” e quasi atemporali.

Secondo questa prospettiva si è indagato sulla complessità che si cela dietro le forme elementari ed archetipiche dei muri, dei recinti e delle pietre e sulla struttura di appropriazione dello spazio rurale - questioni insite e proprie del paesaggio sardo - mediandola con gli aspetti più prettamente morfologici e tecnici legati alle condizioni del sito.

La demolizione della precedente chiesa, poiché pericolante, ha disvelato, infatti, un ambito di intervento estremamente articolato sia planimetricamente che topograficamente, ma anche centro di potenziali relazioni per eccellenza: un isolato in centro storico a disposizione del progetto per stabilire nuovi nessi col contesto di prossimità ancora fortemente connotato da registri tipologici e linguistici del vernacolo locale.

La nuova chiesa di Santa Chiara nasce dall’idea di rappresentare «la casa di tutti» («la chiesa come una casa» fu la sintesi delle richieste espresse dal parroco e dalla comunità) e il luogo in cui ritrovare la propria spiritualità. Le scelte progettuali sono state costantemente discusse e condivise con i fedeli senza rinunciare alla sfida, culturale prima e architettonica poi, di rendere la costruzione dell’edificio di culto un tempo di estremo valore per la comunità e per il territorio coinvolto: un momento di rifondazione o, piuttosto, di riformulazione dell’atto fondativo primigenio del villaggio che, a distanza di secoli, viene ribadito in forma autopoietica, proponendo una rinnovata azione di senso per il radicamento resiliente nelle aree interne, da anni teatro dei processi di spopolamento e indebolimento progressivo del presidio territoriale.

Interni della Chiesa.
Interni della Chiesa.
(Stefano Ferrando - Studio Vetroblu)

Il legame con il suolo e il cielo: basamento racchiuso e copertura tettonica non divisiva

Il progetto indaga su coppie concettuali, in alcuni casi dicotomiche, per definire principi operativi che generano la forma e la struttura dell’edificio: il legame della chiesa con suolo e cielo si traduce in un nuovo basamento racchiuso e poroso e in una copertura tettonica che internamente gerarchizza lo spazio senza dividerlo; i paradigmi di sintesi e rinuncia generano forme severe e radicalmente astratte con l’ambizione di raggiungere una collocazione atemporale nel contesto.

La riflessione sull’impianto della chiesa è continuamente in bilico tra la simmetria e l’asimmetria e propone, pur senza eccessive perturbazioni, un’innovazione solo apparentemente minima rispetto alla tradizione delle chiese assiali e a navata unica di matrice rurale, allo stesso modo il progetto oscilla tra introversione e estroversione generando puntualmente e selettivamente ambiti dello spazio in cui interno e intorno si dilatano l’uno verso l’altro aumentando il potenziale urbano della chiesa e il suo carattere radunante.

La struttura continua e massiva e l'interazione tra spazi e luce

Per la struttura dell’edificio si è scelto, in coerenza con la cultura materiale locale, di ricorrere a strutture continue e murarie, stereotomiche e massive, unitamente a una copertura ritmata dal forte carattere tessile, che ricerca relazioni con il cielo e diventa dispositivo di captazione e diffusione della luce nell’aula liturgica. Lo spazio, infine, concepito con geometrie essenziali attraverso la composizione di volumi stereometrici dalle proporzioni auree, è reso più complesso dalla sua interazione con la luce attraverso la grande vetrata della parete di testata e il lucernario lineare di copertura.


Progetto:
Carlo Atzeni, Maurizio Manias, Silvia Mocci, Franceschino Serra

Immagini

Stefano Ferrando - Studio Vetroblu

Complesso parrocchiale di Santa Chiara a Sini, ingresso.

Stefano Ferrando - Studio Vetroblu

Complesso parrocchiale di Santa Chiara a Sini.

Stefano Ferrando - Studio Vetroblu

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