Casetta di legno a uso ripostiglio con impianti e grondaie: non è edilizia libera, serve la SCIA
Una struttura in legno ancorata a terra e dotata di impianti elettrici e grondaie non può rientrare nell'edilizia libera, in quanto la sua realizzazione determina un volume edilizio e non si tratta di un'opera precaria. Per realizzarla, serve la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
A volte ci imbattiamo in opere edilizie di piccola portata che, erroneamente, si pensa possano essere assentite in edilizia libera mentre hanno bisogno, per essere realizzate, di un titolo abilitativo, sia esso la SCIA - come nel caso di specie - o il permesso di costruire.
E' il caso della sentenza 158/2024 del 29 gennaio del Tar Venezia, che ha per 'protagonista' un abuso edilizio rappresentato da una 'casetta' di legno a uso ripostiglio, collocata in leggero distacco rispetto alla parete nord dell'edificio, sfruttando la platea di calcestruzzo già esistente e affiancandogli una copertura aperta realizzata con assi tra loro intervallate da spazi vuoti (dai ricorrenti qualificata come pergolato), asseritamente privo di consistenza urbanistica considerate le modeste dimensioni.
'Casetta in legno' in edilizia libera? L'opera edilizia
La “sostituzione” del manufatto - fanno sapere i ricorrenti - sarebbe avvenuta quando il regolamento edilizio allora vigente non prevedeva alcuna specifica restrizione per l’installazione di tali manufatti accessori; e quando il c.d. glossario dell’attività edilizia libera (approvato con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 2 marzo 2018, sulla scorta di quanto previsto dal d.lgs. 222/2016) espressamente prevedeva la possibilità di liberamente installare le casette di legno a uso ripostiglio, purché di modeste dimensioni.
Per il comune la casetta è da demolire perché manca la SCIA
Il comune, dopo apposito sopralluogo, ha avviato un procedimento sanzionatorio, volto alla repressione di eventuali abusi, sul presupposto che l'intervento in questione avrebbe dovuto essere eseguito previa presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività, ai sensi dell'art. 22 del Testo Unico Edilizia (dpr 380/2001).
La conclusione del procedimento è avvenuta tre anni più tardi con l'ordine del ripristino dello stato dei luoghi e della rimozione del manufatto, in applicazione dell'art. 27 del dpr 380/2001.
La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
Le caratteristiche principali della SCIA: inquadramento normativo e natura giuridica; ambito di applicazione; le ipotesi della c.d. Super SCIA alternativa al permesso di costruire e la procedura di presentazione; la SCIA nel caso di zone omogenee A) o equipollenti.
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Il ricorso: la casetta non ha carattere di stabilità e autonomia
I ricorrenti osservano che il provvedimento del Comune è frutto di un evidente difetto di istruttoria e di un travisamento dei fatti, perché la struttura non avrebbe alcun carattere di stabilità, né avrebbe alcuna autonomia di utilizzo rispetto al fabbricato principale e perché non potrebbero disconoscersi le caratteristiche tipiche dei manufatti simili e solo all’apparenza diversi.
Secondo quanto prospettato, il fatto che la struttura abbia carattere di tendenziale stabilità è connaturato alla qualificazione del manufatto e al bisogno che esso tende a soddisfare; il tutto al netto dell’utilizzo di una platea di fondazione già esistente e di un’imperniatura al suolo – relativa al solo pergolato – che non impedisce la rimovibilità della struttura e che costituisce, semmai, una doverosa attenzione per garantire la sua sicurezza.
Inoltre, la struttura prefabbricata è stata così progettata e realizzata, non solo per esigenze di fabbricazione e di posizionamento, ma anche per ragioni meramente estetiche.
In breve, si ritiene che, anche considerando la parte antistante (“pergolato”) come “portico”, il manufatto in questione non sarebbe un volume edilizio, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune.
Casetta in legno: serviva la SCIA, non è un semplice ripostiglio per gli attrezzi
Il TAR, per sbrogliare la matassa, evidenzia quanto indicato nella documentazione inerente l'opera edilizia.
I documenti, e in particolare quelli fotografici, restituiscono con immediatezza la situazione reale riferibile alla struttura che non può essere ricondotta alla tipologia prevista al punto 48 del glossario allegato al d.m. 2 marzo 2018 (“Ripostiglio per attrezzi, manufatto accessorio di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo”), come correttamente rilevato dal Comune nella sua attività istruttoria ove sono state vagliate le osservazioni dei ricorrenti.
Considerati nel loro complesso, infatti, i singoli elementi caratterizzanti la struttura – la fondazione in cemento, l’ancoraggio al suolo, l’installazione di una gronda, la chiusura laterale con tamponamenti in legno, la configurazione del pergolato come un portico, la copertura unica, le dimensioni, il posizionamento ai margini dei confini con altra proprietà – inducono a valutare diversamente il manufatto la cui realizzazione ha determinato un volume edilizio.
Quindi, il manufatto in questione – avendo una superficie pari ad 11 mq. e una altezza massima di mt. 2,48 ed essendo stabilmente connesso al suolo tramite una fondazione a platea – è assimilabile, piuttosto che a un ripostiglio, a un locale adibito a deposito funzionalmente autonomo e dal carattere permanente.
La questione della precarietà (che manca)
Queste ultime caratteristiche sono indirettamente confermate dalla presenza dell’impianto elettrico e delle grondaie per il deflusso di acqua piovana, aspetti che rendono oltremodo difficoltoso sostenere la precarietà della struttura costituente un magazzino piuttosto che un semplice ripostiglio per attrezzi.
Sul punto, il TAR richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato la quale conferma un principio ormai acquisito: “[…] al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata e, pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il breve tempo entro cui si realizza l’interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire” (Cons. Stato, 3 novembre 2023, n. 9536).
La casetta doveva rispettare anche le norme sulle distanze
Con la seconda censura i ricorrenti contestano la legittimità del provvedimento nella parte in cui si sostiene che il manufatto avrebbe dovuto osservare le distanze prescritte dal codice civile, quand’anche fosse stata ritenuta pertinenza.
Si sostiene, citando la giurisprudenza di legittimità, che “ai fini della disciplina sulle distanze legali, è ‘costruzione’ qualsiasi opera stabilmente infissa al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possa creare intercapedini dannose” (Cass., sez. II, 15 maggio 2020, n. 9004).
Conseguentemente, nel caso di specie, mancando la caratteristica della stabile infissione al suolo, la struttura in legno dovrebbe ritenersi esente dal rispetto delle distanze, anche perché, essendo alta appena due metri, non potrebbe dare luogo a un’intercapedine dannosa.
Anche in questo caso il TAR non è d'accordo: l'ordinanza di demolizione si riferisce infatti alle distanze previste dal codice civile in relazione alla qualificazione dell’immobile il quale, come accertato in occasione del sopralluogo, risulta collocato a 12 cm dal confine lato nord e a 70 cm dal confine lato est.
In sostanza, il fabbricato in questione, non potendo configurarsi come un elemento di arredo esterno bensì come locale funzionalmente autonomo destinato a deposito o magazzino, deve ritenersi assoggettato alla normativa edilizio-urbanistica che disciplina le distanze.
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