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DPI, istruzioni per l’uso: una guida da UNI

Il contributo si sofferma sulla scelta dei DPI partendo dalla recentissima Guida UNI “Criteri di scelta ed uso dei DPI”, che diventa anche l’occasione per fare un punto in tale ambito. Scelta che, si sa, non è questione di lana caprina per garantire sicurezza. Due le dimensioni fondamentali che devono orientare: quella tecnica e quella umana.

Da UNI una guida per la scelta dei DPI

L’occasione della pubblicazione, lo scorso 29 agosto, del documento predisposto da UNI "Criteri di scelta ed uso dei DPI– Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146. Art. 13: modifiche all'art. 79 comma 2 bis del D. Lgs. 81/08 con il riferimento alle NORME TECNICHE più recenti", diventa anche l’occasione per fare un punto in tale ambito.

Il documento, consultabile direttamente sul sito UNI , fornisce una guida pratica ad aziende e lavoratori, ma anche a tutti i professionisti interessati, per ricondurre i criteri per l'individuazione e l'uso dei Dispositivi di Protezione Individuale alla migliore pratica tecnologicamente disponibile, che si inserisce perfettamente nelle modifiche all'art. 79 comma 2 bis del D. Lgs. 81/08 introdotte con Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146 (art. 13), convertito in Legge n. 215/2021.
La Guida può essere utile per individuare ed utilizzare correttamente qualsiasi dispositivo di protezione individuale, ma il riferimento esplicito è alle nuove e più aggiornate norme tecniche UNI definite per le categorie di DPI i cui criteri sono stati approvati con DM 2 maggio 2001. Nello specifico si richiamano i DPI relativi a:

  • protezione dell'udito;
  • protezione delle vie respiratorie;
  • protezione degli occhi (attraverso: filtri per saldatura e tecniche connesse, filtri per radiazioni ultraviolette, filtri per radiazioni infrarosse);
  • indumenti protettivi da agenti chimici.

Il prontuario risulta così valido per indirizzare in pieno alla necessità di riferirsi all’edizione più aggiornata delle norme di buona tecnica per la determinazione dei suddetti criteri di scelta. Una scelta, quella dell’individuazione delle caratteristiche dei dispositivi più idonei da fornire ai lavoratori che, si sa, non è questione di lana caprina, perché ne può decretare il successo o l’insuccesso. Un tassello prevenzionistico fondamentale dunque, eppure l’osservazione della realtà ci dice che qualcosa ancora non funziona come dovrebbe. L’introduzione di norme cogenti per il loro utilizzo ha comportato senz’altro passi avanti ma, da sola, non sembra ancora riuscire a garantirne condizioni di utilizzo sicure.

CONSULTA IL PRONTUARIO SUI DPI

Mondo dei DPI che sembra aver messo il turbo negli ultimi anni, con un’accelerazione evolutiva che complica di molto le cose, finendo così per costituire una competenza di conoscenza a sé. Bisogna stare al passo con l’evoluzione tecnica e tecnologica galoppante, che il mercato alimenta costantemente, ma anche con le sempre nuove e aggiornate norme tecniche di riferimento. Eppure tutta questa complessità spesso è sconosciuta ai più. Si presume di conoscerli questi DPI, citati per nome nelle campagne di moral suasion che ne acclamano l’utilizzo. Calzature antinfortunistiche, elmetti, otoprotettori, occhiali, sistemi contro le cadute dall’alto, guanti, per citare i più noti, di per sé però non danno nessuna garanzia di protezione.

Non possiamo infatti dimenticarci dei sostanziali aspetti qualitativi, che vanno ad impattare prepotentemente sulle condizioni (o meno) di sicurezza.
Troppo spesso, invece, nell’indicazione delle misure generate dai DVR, si trovano ancora riferimenti a DPI astrattamente generici, senza riferimento ad adeguati criteri di scelta. E così, la fornitura di DPI da parte dei datori di lavoro finisce per essere relegata ad un mero obbligo formale, canalizzata in una logica che li fa intendere come oggetto come un altro che può essere commercializzato, non garantendo così il raggiungimento dell’obiettivo prefissato: quello di favorire la tutela della salute e della sicurezza. Un dispositivo che non corrisponde alle aspettative dei lavoratori è destinato a fallire, quant’anche indossato, od a finire per essere visto come una zavorra da subire, pertanto facilmente opzionabile.

Se vogliamo garantire adeguatezza, bisogna pertanto necessariamente uscire dal rischio di massificazione del concetto che, se usato spesso vagamente o genericamente, o anche peggio, in un senso reificato, rischia di allontanare ulteriormente dal risultato, che resta così solo sulla carta. L’astrazione del concetto di DPI crea infatti un alibi per pericolose intercapedini che prestano il fianco al fallimento nell’uso. La difficoltà di scelta non può, dunque, costituire una giustificazione dietro cui nascondersi.
Come potersi indirizzare, come richiesto dal legislatore, nella scelta del miglior DPI disponibile?
Se volessimo richiamare le Tre leggi della robotica di Asimov, potremmo dire che i DPI devono poter rispettare la necessità di sicurezza, servizio e autoconservazione. Proviamo a stimolare qualche riflessione ripercorrendo quelle che possiamo definire le due dimensioni della questione: quella tecnica e quella umana.

La scelta dei DPI – questione tecnica

La questione tecnica è la base di partenza per la scelta del DPI, bisogna studiare, essere preparati, contestualizzando le scelte alla specifica attività che si deve porre in atto. Nella complessità dell’attuale quadro, le sfaccettature da considerare sono però molte. Proveremo a fornire di seguito qualche spunto, ovviamente nei limiti di questo intervento e senza alcuna pretesa di un’impossibile completezza, ma tendente in qualche misura ad offrire qualche sollecitazione per accendere i riflettori sul tema e tratteggiare gli aspetti dai quali, a nostro avviso, non si può prescindere.
Arriviamo al nocciolo della questione. Cosa considerare nella scelta tecnica del DPI?

  • Adeguatezza ai rischi da prevenire (senza comportare di per sé un rischio maggiore), tenendo in considerazione l’entità e la frequenza dell’esposizione al rischio e le eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI. Attenzione che l’adeguatezza ai rischi può richiedere una differenziazione della scelta per fasi di lavoro. Ad esempio, nella attività di montaggio di un ponteggio, per prevenire la caduta dall’alto, i montatori utilizzeranno imbracatura, cordino di trattenuta e connettore quando operano all’allestimento del primo piano di lavoro. In questa fase, la scelta del dispositivo anticaduta deve essere orientata, quindi, su un cordino di lunghezza fissa e inestensibile, per operare in completa trattenuta. Se si utilizzasse un cordino dotato di dissipatore, in caso di caduta, lo srotolarsi dell’assorbitore porterebbe l’operatore ad urtare contro il suolo. Per il montaggio dei piani di lavoro superiori, di contro, è necessario che il cordino sia dotato di assorbitori, che srotolandosi dissipino la forza che si sprigiona con l’arresto della caduta di un corpo (detta anche forza di shock), in funzione del tirante d’aria a disposizione. Resta anche da considerare, nell’utilizzo simultaneo di più DPI, la loro compatibilità.
  • Adeguatezza alle condizioni ed alle caratteristiche esistenti sul luogo di lavoro; dovranno, in questa ottica, essere verificati per i DPI i requisiti funzionali, i requisiti dei manufatti ed i requisiti dei materiali.
  • Indicazioni fornite dalle norme tecniche di riferimento; il datore di lavoro deve costantemente confrontare i DPI individuati con quelli disponibili sul mercato, anche verificando la relativa conformità alle norme di legge, sulla base della documentazione fornita dal fabbricante. Ogniqualvolta vengano introdotte variazioni rispetto a quanto riportato nel documento di valutazione dei rischi, i DPI selezionati devono essere aggiornati.
  • Prestazioni indicate dal fabbricante a corredo del DPI: fondamentale è ricordare che il livello di prestazione non deve essere confuso con il livello di protezione. In effetti, non tutte le condizioni d’uso in una situazione di lavoro sono necessariamente soddisfatte nel contesto di un test; una prestazione non equivale ad un tempo di protezione.
  • Evoluzione tecnica e tecnologica, scegliendo le migliori soluzioni offerte dal mercato; l’introduzione della attrezzatura protettiva personale intelligente (PPE Smart: Personal Protective Equipment Smart) sta generando un vero e proprio salto qualitativo nella protezione del lavoratore, che viene equipaggiato con una tipologia di sensoristica smart di sicurezza, funzionale al mondo IoT (Internet of Things). Per esempio, è già possibile impedire l’uso di un macchinario con sistemi che ne inibiscono l’attivazione a fronte di un utilizzo non conforme dei DPI, monitorati da un controllo in remoto.

Un tema dunque davvero complesso che richiede di aprire molti possibili scenari e di considerarne la dinamicità evolutiva, contemplando anche la valutazione di un possibile ricorso alla sofisticazione emergente, come ad esempio le già citate tecnologie IoT che permettono, inserendo nel dispositivo un tag attivo o passivo, un ampliamento delle funzioni dei DPI, integrandoli sempre più nei sistemi gestionali della sicurezza aziendale.

La scelta dei DPI – questione umana

Seppur l’aspetto tecnico costituisce le fondamenta della nostra scelta, non abbiamo ancora raggiunto però all’agognato traguardo, manca ancora qualcosa nella mappa che porta al tesoro. Saper optare per la migliore scelta tecnica non è il punto di arrivo, ma di partenza per definire il miglior dispositivo di protezione. L’altra faccia della medaglia, ovvero chi quel DPI deve utilizzarlo, non può essere considerato superfluo, eliminato dalla scena. La dimensione qualitativa soggettiva del lavoratore deve costituire un altro elemento essenziale, che incide sul ventaglio di opzioni possibili.
Una scelta coerente con il risultato finale atteso non può, infatti, prescindere dalla peculiarità del destinatario dell’utilizzo, dalla sua unicità.

Siamo così abituati a parlare di lavoratori, considerati come insieme unitario, standardizzandoli per gruppi omogenei in base alla mansione o al rischio, che spesso ci dimentichiamo che ognuno di loro ha una propria singolarità, che appunto lo rende unico. Nelle variabili da considerare nella scelta tecnica del DPI, rientrano dunque anche le esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore, che deve poter adattarli secondo le sue peculiari necessità psico-fisiche.
Genere, età, caratteristiche antropometriche e fisiologiche, come la semplice presenza di barba o il peso o l’altezza, patologie preesistenti, etc. sono solo alcuni degli elementi che possono condizionare prepotentemente l’adattabilità e dunque l’efficacia di un dispositivo.

Ad esempio, nell’utilizzo delle scarpe antinfortunistiche, in alcuni casi si rilevano situazioni in cui, conseguentemente al loro utilizzo, alcuni lavoratori avvertono sofferenze e patologie a carico del piede. Talloniti, o altre infiammazioni, possono essere prevenute con utilizzo di plantari specifici, coinvolgendo nella valutazione anche il Medico Competente, per gli aspetti specialistici.

Per soddisfare le reali esigenze, è importante perciò sapere “chi sono” questi lavoratori, compiendo un ulteriore passo, uscendo dagli stereotipi omogeneizzanti di un lavoratore-tipo, rappresentazione delle condizioni dominanti, ed entrando in quelle del lavoratore reale. Non tutte le situazioni sono uguali, non tutti i lavoratori sono uguali. Risulta pertanto fondamentale conservare questa consapevolezza nel momento della sua applicazione e, una volta definito l’obiettivo tecnico, reintrodurre le variabili che erano state date provvisoriamente per costanti, ragionando quindi sulla persona reale. Specificità tecnica che va quindi poi cucita addosso, in modo sartoriale, alla specificità umana, al destinatario. Se questo non avviene, il risultato non risolve in problema, oppure il problema non era quello che era stato inizialmente affrontato.

La scelta del DPI va dunque considerata come parte protagonista sostanziale. Può essere parte vulnerabile o parte che, al contrario, riesce senza retorica a rinforzare l’impianto prevenzionistico, all’interno di un più ampio processo progettuale che porti al centro il soggetto, il lavoratore. Una corretta cultura dei DPI va di pari passo con la necessità strategica di coltivare una cultura della sicurezza. Ed è proprio questo passaggio culturale: da una politica meramente prescrittiva ad una prestazionale che, se vogliamo, è trasversale a tutti gli aspetti di sicurezza, che dobbiamo indirizzarci come chiave di svolta nella scelta di dispositivo più efficace.

Un DPI che deve essere inteso come adattativo, in un rapporto dinamico di coevoluzione con il destinatario che quel dispositivo lo deve indossare. Ecco dunque che, come in un gioco enigmistico, tutti i puntini si sono uniti e l’immagine svelata. Utilizzando un ossimoro, possiamo dire che sembra aprirsi la strada per raggiungere la realistica chimera e disvelare il sentiero segreto per una scelta del miglior DPI possibile.

Conclusione: i DPI sono il punto di partenza per operare in sicurezza

Individuazione competente dei DPI da fornire ai lavoratori non è la panacea di tutti i mali, ma costituisce senz’altro un punto di partenza per poter operare in sicurezza. Bisogna saper effettuare la scelta più opportuna per quel contesto situate d’azione, per costruire una capanna prevenzionistica adeguata, fatta di solidi mattoni, che un lupo, con un soffio, non possa abbattere. Dispositivi inefficaci, infatti, non spostano di un millimetro il problema della sicurezza. Nella scelta dei DPI bisogna orientarsi verso quelle che possiamo definire le due dimensioni della questione: quella tecnica e quella umana.

Una adeguata scelta richiede che il DPI venga tradotto nel miglior dispositivo in grado di proteggere quel lavoratore. Non un DPI genericamente categorizzato (una scarpa antinfortunistica, ad esempio), ma quel dispositivo con quelle caratteristicsingolhe tecniche e di specificità umana che permetta il raggiungimento dello scopo, ovvero quello di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro (quella scarpa con determinate caratteristiche tecniche, adeguata ai rischi, scelta in base alla migliore tecnica e tecnologia disponibile, adatta alle caratteristiche psico-fisiche del lavoratore). La questione non è solo semantica, ma sostanziale, portando alla necessità di perseguirne necessariamente la finalità, senza fermarsi solo alla prima parte dell’art. 74 del D. Lgs. 81/08.

L’analisi progettuale della scelta dei DPI deve includere imprescindibilmente la qualità della prestazione e l’impatto sul lavoratore, in una chiave interpretativa ampia, che rientra nell’ottica più generale di consapevolezza della cultura della sicurezza, che così può liberarsi della demagogia e dalla retorica. Non tutti i DPI possono essere utilizzati dai lavoratori in modo automatico! La scelta dunque che deve considerare che ciascuna risorsa umana è diversa da ogni altra. Il dispositivo giusto al posto giusto!

Il ruolo dei consulenti è fondamentale per favorire (o meno) questo passaggio. L’invito è quello di promuovere visuali che aiutino ad uscire dall’ottica della carta e indirizzino verso una protezione di sostanza e qualità, non entrando in scena con un copione prestampato, ma interpretare in base agli attori ed alla storia da recitare, contaminarsi con il luogo (il palinsesto è tutto, compresi gli altri attori), che devono diventare elementi distintivi per la scelta dei dispositivi. La standardizzazione tout court delegittima il DPI proprio perché incapace di incorporare le esigenze specifiche.

Molto ancora ci sarebbe da dire sull’argomento. Verifica manutenzione, formazione ed addestramento, sono altri tasselli fondamentali, ma avremo modo di parlarne in un prossimo articolo.

DPI e DPC: Dispositivi Sicurezza

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