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Impianti fotovoltaici a prova di comune: vietato impedirne l'installazione con la potestà regolamentare

I Comuni non possono impedire l'installazione di impianti fotovoltaici nemmeno avvalendosi della potestà regolamentare.

Il comune non può vietare l'installazione di un impianto fotovoltaico avvalendosi della potestà regolamentare, così come neppure l'atto di pianificazione regionale può compotare un divieto assoluto.

Lo afferma il Tar Sicilia nella sentenza 299/2023 dello scorso 2 febbraio, che ha accolto il ricorso di un'impresa contro il provvedimento del SUAP con il quale l'amministrazione comunale aveva disposto il rigetto dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione, mediante procedura abilitativa semplificata (PAS), ex art. 6, comma 2, d. lgs. n. 28/2011, per la costruzione di un impianto fotovoltaico di tipo “a terra”, di potenza di picco 995,22 kWp e potenza di immissione 900,00 kw.

Il Comune ha rigettato la proposta in considerazione del fatto che il sito interessato dall’intervento ricade al di fuori delle aree individuate con deliberazione del Consiglio comunale n. 17 del 12 marzo 2014 («art. 3 del regolamento per l’installazione di impianti a terra e integrati su serra superiori a 50 Kwp»), risultando il sito estraneo al perimetro tracciato dagli allegati a) e b) del medesimo regolamento in cui è ammessa l’installazione degli impianti.

I comuni non possono vietare l'installazione di impianti fotovoltaici

Per il Tar Palermo il ricorso va accolto in quanto i Comuni in generale e i Comuni della Regione Siciliana non possono precludere l’installazione di impianti fotovoltaici in verde agricolo in ragione della mera destinazione del sito e non possono farlo, comunque, avvalendosi dell’ordinaria potestà regolamentare locale.

I Comuni possono adottare regolamenti soltanto nelle materie di propria competenza (v. art. 117 Cost. e art. 7 d. lgs. n. 267 del 2000); il relativo potere è attribuito alle Regioni le quali, in tale ambito, scontano, peraltro, specifici limiti stabiliti dalla Linee guida statali del 10 settembre 2010, da leggersi oggi alla luce del d. lgs. n. 199 del 2021.

E i regolamenti delle Regioni possono vietare l'installazione?

Per quel che riguarda, invece, l'applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alla Regione Siciliana delle Linee guida sopracitate, il TAR osserva che il d.lgs. n. 387 del 2003 e le linee guida approvate con d.m. 10 settembre 2010, si rivolgono nella loro «interezza» alle sole Regioni ordinarie (Corte cost., sentenza n. 224 del 2012, § 4.2.), fermo restando che «la competenza legislativa delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome «deve tuttavia coesistere con la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e con quella concorrente in materia di energia» (Corte cost., sentenza n. 275 del 2011).

Sul versante del rapporto tra le predette Linee guida e la disciplina regionale va rilevato come la giurisprudenza della Corte costituzionale – così come da ultimo ricostruita da Cons. Stato, sez. IV, n. 2464 del 2022 – si sia attestata nel senso che, tra l'altro:

  • a fronte della generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’insediamento degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, le scelte di diverso avviso ad effetto limitativo — compiute in particolare dalle Regioni a statuto speciale, titolari di una competenza legislativa primaria in determinate materie, nell’ambito delle quali vengono poste particolari limitazioni alla diffusione dei suddetti impianti — devono essere valutate «non alla stregua dei criteri generali validi per tutte le Regioni, ma in considerazione dell'esigenza di dare idonea tutela agli interessi sottesi alla competenza legislativa statutariamente attribuita» (Corte cost., n. 224 del 2012, cit.);
  • rimane fermo il divieto, valido anche per le Regioni a statuto speciale, di invertire il criterio stabilito dal legislatore statale, dovendo comunque le Regioni indicare le aree «non idonee» alla installazione degli impianti (Corte cost., n. 199 del 2014), e non potendo comunque introdurre divieti aprioristici di carattere generale all’insediamento degli impianti de quibus (Corte cost. n. 148 del 2019, n. 69 del 2018 e n. 13 del 2014).

In definitiva: impianti fotovoltaici, comuni e regioni. Quali regole?

Dal quadro normativo sopra tratteggiato - conclude il TAR - si inferiscono talune rilevanti implicazioni sostanziali riguardanti l’assetto ordinamentale rilevante nella vicenda per cui è causa.

La prima, la quale vede i Comuni del tutto estranei a tale attività di pianificazione sia sulla base delle linee guida, sia sulla base del d. lgs.n. 199 del 2021.

La seconda, volta a sottolineare, quanto alle Linee guida, che l’indicazione che possono fornire le Regioni in merito alla non idoneità di determinate aree ad accogliere la costruzione di impianti per la produzione di energie rinnovabili è espressamente riferita alla segnalazione di aree non idonee «in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti». Spetta, pertanto, all’atto regionale (e non alla norma locale generale e astratta) individuare le incompatibilità di determinate aree, in relazione al tipo e alle dimensioni (e, dunque, anche alla potenza) degli impianti.

La terza, volta ad evidenziare, sempre in relazione alle linee guida, che l’atto di pianificazione della Regione, nell’individuare le aree non idonee, non può comportare un divieto assoluto, bensì serve a segnalare «una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione» e, dunque, ha la funzione di «accelerare» la procedura (paragrafo 17.1). Osserva, in proposito, la giurisprudenza amministrativa che «trattasi non di impedimento assoluto, ma di valutazione di “primo livello”», che impone poi di verificare «in concreto, caso per caso, se l’impianto così come effettivamente progettato, considerati i vincoli insistenti sull’area, possa essere realizzabile, non determinando una reale compromissione dei valori tutelati dalle norme di protezione (dirette) del sito, nonché di quelle contermini (buffer)» (Cons. Stato, sez. IV, n. 2848 del 2021).

Tale complessivo assetto – che attiene ai poteri delle regioni e non degli enti locali territoriali – non può che far concludere per il difetto di attribuzioni dei comuni (anche) della Regione Siciliana, con la conseguente declaratoria di nullità del regolamento impugnato e annullamento del correlato diniego che su detto regolamento si fonda, restando assorbiti i profili di cui al primo motivo.


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