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L'esercizio e i limiti della discrezionalità tecnica nel Codice dei Contratti Pubblici

In tema di responsabilità professionale, con il nuovo Codice Appalti si riduce la configurazione dell'abuso d’ufficio e si amplia l'ambito di applicazione della discrezionalità tecnica che dovrà essere improntata ai soli principi.

Operare secondo i principi: questo impone il Nuovo Codice. L’intenzione è buona, l’applicazione non sarà facile né indolore: eppure sarà dovuta.

Il Legislatore non si è limitato ad affermare i principi, ma ha posto in essere alcune disposizioni a supporto che l’Autore prende in esame e che costituiscono il contesto operativo, in parte nuovo in parte no.

E’ presto per dire se sarà effettivamente in grado di stimolare il rinnovamento perché dipenderà dall’applicazione che ne faranno sia i singoli che le Istituzioni; però intanto bisogna conoscerli.


In un precedente commento (Nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici i principi ci sono, adesso bisogna applicarli”) abbiamo già affermato che la modalità di interpretazione delle norme del nuovo Codice dei Contratti Pubblici per la loro attuazione e messa in pratica richiede una motivata finalizzazione all’ottenimento del risultato e questo comporta una presa di posizione degli operatori – segnatamente quelli pubblici – con una decisiva assunzione di responsabilità a seguito di inevitabili decisioni discrezionali.

Questi i principi affermati la cui attuazione non sarà facile anche perché in controtendenza con decenni di legislazioni (per così dire) descrittive di dettaglio in cui la “paura di sbagliare” era legata alla pedissequa applicazione di norme prefigurate.

Le legislazioni di dettaglio e i danni collaterali

E qui dobbiamo purtroppo riconoscere che anni di Legislazioni di dettaglio sono state improntate sulla sfiducia e sulla prevenzione (nel senso che si era “prevenuti”) sull’operare del pubblico.

L’esperienza ha dimostrato la scarsa efficacia della prevenzione al fine di evitare la commissione di comportamenti anomali (se non dei veri e propri reati) e non ha certo diminuito il contenzioso.

Come effetto collaterale ha però depresso la professionalità e l’autonomia degli operatori facendo crescere in loro la “sindrome della firma”.

Anni di legislazioni di dettaglio integrate da esasperanti regolamentazioni e/o linee guida, da circolari interpretative di varie autorità o istituzioni (spesso divergenti) hanno abituato gli operatori ad essere condotti per mano, passo passo, disabituandoli a camminare da soli.

Questo modo di procedere ha oltremodo inibito la produttività.

E’ stato anche falsamente rassicurante perché operare all’ombra della norma di dettaglio dà l’impressione di essere (non necessariamente nel giusto, ma almeno) nel certo.

Ma non è così.

E il contenzioso esistente lo dimostra.

La falsa sicurezza delle norme di dettaglio e l’esercizio del potere discrezionale

Le norme di dettaglio sono formalistiche e più sono formalistiche più si prestano ad impugnative per violazioni formali e quindi non è vero che siano più garantiste. Anzi sono più impugnabili in una spirale di interpretazioni causidiche.

Gli appalti sono così diventati terreno di prevalente esercizio dell’attività legale piuttosto che dell’attività tecnica e i tecnici hanno rinunciato (o dovuto rinunciare) ad esprimere le discrezionalità tecniche in favore della illusoria certezza delle procedure (e il Legislatore ci ha messo del suo).

Applicare correttamente oggi il principio della fiducia significa in primis riappropriarsi dell’autorevolezza della professionalità tecnica a fronte del formalismo procedimentale.

Il recupero della “discrezionalità tecnica”

Dunque, fermo restando il principio di legalità, la scommessa è se si sapranno interpretare correttamente gli spazi di discrezionalità che oggi il nuovo Codice offre, che non sono amplissimi, ma certamente significativi e rappresentano un’inversione di approccio rispetto al recente passato.

Vediamo allora le condizioni per esercitare questa nuova libertà d’azione (negli ambiti consentiti); soprattutto nei regimi “sotto-soglia” in cui il Legislatore è intervenuto più incisivamente.

Le condizioni al contorno

L’articolo 2, comma 4 prevede espressamente:

  • idonee coperture assicurative per i rischi del personale
  • attività di formazione per rafforzare le capacità professionali

e l’articolo 1, comma 3 conferma gli incentivi.

In via di principio il Legislatore ha riconfermato temi vecchi, necessari e ineludibili, ma non scontati.

Gli incentivi, la formazione professionale e l’assicurazione

Parrebbe ovvio che chi si espone vada protetto in caso di giudizio, vada formato professionalmente per essere all’altezza del compito, vada remunerato ad hoc in funzione delle iniziative assunte (e, magari, del successo conseguito).

Affermazioni banali ma non sempre condivise solo se si pensa all’estenuante cambio normativo in materia di incentivazione, figlio di un altrettanto estenuante dibattito/contrapposizione tra chi lo sostiene come elemento essenziale della riforma della P.A. e chi lo osteggia, o se si fa mente alla spesso inadeguata formazione professionale (di cui pure abbiamo già detto) o, ancora alla insufficiente copertura assicurativa.

Qui però il Legislatore si limita a riaffermare, ma non può disporre.

La palla passa alle Amministrazioni che non sono esenti dal successo della riforma a seconda di come interpretano (interpreteranno) questi essenziali spazi di autonomia organizzativa (peraltro già da tempo esistenti e - bisogna dirlo – non sempre applicati con coerenza).

Come si è detto la riforma è un fatto corale il cui successo non si può addebitare solo al Legislatore.

Dove invece il Legislatore ha disposto è in merito ad un quarto punto e cioè la norma per guidare i valutatori.

I “valutatori”

Come si valuta il Legislatore lo ha detto a chiare lettere (che più chiare non si può) all’articolo 4 e all’articolo 1, IV comma.

Ma chi valuta?

In primis (sempre) l’amministrazione stessa cui appartengono gli operatori, sia per l’attribuzione degli incentivi (articolo1, comma 4, lett. b)) sia per la eventuale responsabilità in sede disciplinare.

In secondo luogo (non per importanza, ma si auspica per involontaria eventualità) i Giudici (civile, amministrativo, penale, erariale) per le attività eventualmente oggetto di ricorso o di esposti/denuncia.

In entrambe le sedi aspetto fondamentale è il “principio della fiducia” che deve guidare i “valutatori”, così come il “principio del risultato” deve guidare gli operatori.

Il mancato esercizio della discrezionalità tecnica in sede di “premialità”

Un leitmotiv della cosiddetta “burocrazia difensiva” era quello di “non fare per non sbagliare” motivato – in parte a ragione – da quel pre-giudizio di “parzialità” (per usare un eufemismo) indotto da una scarsa fiducia nelle Istituzioni.

Ora “il non fareè comunquesbagliare” perché si viola l’espresso principio dell’“Obiettivo”.

Sanzionabile? Non certo in sede giudiziale, ma certamente in sede valutativa delle performances individuali (graduabili in relazione al livello ricoperto) per l’attribuzione degli incentivi; si auspica mai in sede disciplinare a meno che non si sfori nell’omissione di atti dovuti.

Ma in sede di premio di risultato certamente sì.

Errato esercizio della discrezionalità tecnica e responsabilità

Dove invece l’operato del pubblico dipendente potrebbe essere soggetto anche al Giudice è nella (denegata) ipotesi in cui si configuri una responsabilità.

Qui il Legislatore innova in modo significativo e interviene nel riformulare il concetto di colpa grave all’articolo 2, comma 3 che tale diventa solo se si violano norme di diritto o auto-vincoli amministrativi (il che è un invito alle amministrazioni a non esagerare nelle normazioni interne) o se siano omesse le normali “regole di prudenza, perizia, diligenza, cautela, …”,

Certo la valutazione porta margini di discrezionalità da parte del valutatore ex post che giudicherà “a feddo” quando invece le scelte operative sono state fatte “a caldo”.

Supponiamo infatti che un operatore si sbilanci un po’ e l’operazione vada a buon fine. Non gli si potrà imputare nulla perché ha raggiunto il risultato; ma se il risultato non viene raggiunto perché l’operazione era affetta da qualche alea di incertezza o di rischio o di dipendenza da altri soggetti (che magari hanno tenuto un atteggiamento ostativo) l’esito dell’apprezzamento postumo non è affatto scontato.

Sarà necessario “contestualizzarlo”, perché andrebbe valutato non sul risultato (non conseguito), ma sulla “buona intenzione” nel perseguirlo: che è a discrezione del valutatore.

Qui il Legislatore offre qualche sponda.

Costituita - dice il Codice all’articolo 2, comma 3 - dall’aver agito in conformità a “giurisprudenza prevalente” o a “pareri delle “autorità competenti”.

La giurisprudenza prevalente e i pareri "autorevoli"

Non mi pare una novità: già oggi gli operatori cercano supporto interpretativo (a volte anche troppo spesso) nelle istituzioni e nella giurisprudenza, ma non sempre ne ottengono conforto.

Rifarsi alle interpretazioni o ai pareri delle “autorità competenti” è un’affermazione inoppugnabile (anch’essa di principio) ma non dimentichiamo che i soggetti titolati a dare pareri sono plurimi (purtroppo) e le risoluzioni non sempre sono coerenti e uniformi, anzi …. Occorrerebbe ridurre i soggetti “competenti” (e questo è anche un compito del Legislatore che invece tende a moltiplicarli, vedi Superbonus 110%).

Quanto alla giurisprudenza è spesso anch’essa ondivaga e, in ogni caso, prima che diventi “prevalente” su norma nuove ce ne vuole (che diventi uniforme è ancora più raro).

Comunque in prima applicazione di norme nuove non esiste giurisprudenza.

Mettiamoci il cuore in pace perché laddove non c’è giurisprudenza coerente (e ci vorranno anni per formarla “prevalente”) si dovrà operare in assenza, ma si dovrà pur sempre operare secondo buon senso e discrezionalità professionale propria (sempre alla professionalità si torna).

Discrezionalità tecnica e illecito penale

Sugli aspetti penali una fondamentale innovazione il Legislatore l’ha già fatta quando ha riformato il reato d’abuso d’ufficio che era diventato veramente talmente indeterminato da essere pervasivo di ogni comportamento discrezionale.

Con il testo attuale si configura potenziale abuso d’ufficio solo la violazione di espresse norme di legge che non lascino spazio a “margini di discrezionalità”, il che ha ristretto il campo di ipotetico reato che non si può più estendere, appunto, all’esercizio della discrezionalità in quanto tale (nel nostro caso discrezionalità “tecnica”).

Se poi con il nuovo Codice i disposti legislativi diminuiscono, parallelamente si riduce la configurazione dell’abuso d’ufficio e si amplia l’ambito di applicazione della discrezionalità tecnica che dovrà essere improntata ai soli principi.

Questa pare essere la conseguenza più significativa in tema di responsabilità: il passo indietro del Legislatore nella formulazione di norme legislative di dettaglio !

Il Collegio Consultivo Tecnico

Da ultimo ci piace pensare che ai punti di riferimento cui si potranno appoggiare gli operatori si debba aggiungere il Collegio Consultivo Tecnico previsto all’articolo 215, visto che il comma 3 dispone espressamente che gli operatori che si adeguino alle sue decisioni (determinazioni o pareri che siano) sono indenni dalla responsabilità per danno erariale. Il che non è poco.

Viceversa sarà considerato grave inadempimento degli obblighi contrattuali discostarsene.

Assunto importante questo, anche perché il Collegio Consultivo Tecnico interviene in corso di contratto e, dunque, opera su misura di quel contratto e le sue decisioni sono atti emanati da un Organo anch’esso tenuto al rispetto dei principi del risultato e della fiducia e non di una generica direttiva in astratto.

Il limite è che opererà solo sul precontenzioso sollecitato dalle parti (anche una sola) e quindi non assisterà i responsabili con continuità nell’intero svolgimento delle attività.

Interventi parziali dunque, ma affatto significativi.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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