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L'esistenza degli atti per silenzio-assenso e garanzie sostanziali degli interessi pubblici

L'autore parte dalla presunzione di legittimità dell'atto, soffermandosi sulla linea adottata dalla giurisprudenza amministrativa in materia di formazione del silenzio assenso e poi addentrandosi nello specifico, sia dal punto di vista dell'interesse privato che pubblico, fornendo delucidazioni sulla certezza dell'esistenza della decorrenza del termine, che può essere certificata.

Facendo seguito al precedente articolo in cui si è occupato della disamina del concetto di presunzione di legittimità degli atti, la cui unica condizione è che siano esistenti, l’Autore applica ora questo principio alle modalità di accertamento dell’esistenza dell’atto, approfondendo il caso di atti acquisiti per silenzio-assenso.


Esistenza = presunzione di legittimità

Abbiamo concluso la prima parte di questa trattazione rilevando che la “presunzione di legittimità” si basa sull’esistenza dell’atto, aspetto facile da accertare se l’atto ha forma espressa, più dubbio se ha forma implicita acquisita per silenzio-assenso.

Le condizioni di esistenza degli atti acquisiti per silenzio-assenso – gli orientamenti giurisprudenziali

Per lungo tempo l’orientamento prevalente della giurisprudenza è stato quello di ritenere che la validità degli atti ottenuti implicitamente per inerzia dell’Amministrazione competente fosse condizionata dalla contemporanea presenza di due requisiti essenziali:

  • l’inutile decorso del tempo stabilito per legge
  • la conformità alle norme (tutte, di legge e regolamentari) disciplinanti la materia.

Requisiti entrambi indispensabili per determinare il “formarsi” dell’atto; in assenza anche di uno solo dei due l’atto doveva ritenersi inesistente/inefficace.

Dei due requisiti:

  • uno era oggettivo (il decorso del tempo utile),
  • l’altro (che pure dovrebbe esserlo) oggettivo lo era di meno stante la complessità legislativa e regolamentare (di varia fonte e natura) che grava in materia edilizia e urbanistica.

Complessità che lo espone a “interpretazioni” non sempre univoche e alla conseguente non sempre univoca valutazione di “conformità” delle richieste di permesso di costruire alle norme vigenti.

Sta di fatto che, se l’inverarsi dell’atto dipende anche dalla conformità alle norme (e, dunque dall’interpretazione che ne può dare ex post e senza termini la pubblica amministrazione), i comuni possono dormire sonni tranquilli. L’inerzia non comporta conseguenze lesive dei pubblici interessi.

I privati richiedenti stanno meno tranquilli perché questo dato di fatto (oggettivo e non smentibile) inficia sine die l’affidabilità (anzi, l’esistenza stessa) degli atti ottenuti per silenzio-assenso perché, in qualsiasi momento successivo al loro tacito rilascio (ritenuto tale dalla parte interessata) l’Amministrazione competente potrebbe opporre che l’atto implicito non si è mai perfezionato per contrasto normativo (alias: falsa attestazione del tecnico asseverante).

Per di più se l’atto:

  • non ha mai ottenuto un formale diniego, non è mai stato inviato al richiedente il preavviso di rigetto e quest’ultimo non ha mai potuto proporre le sue osservazioni
  • è inesistente (perché mai perfezionatosi) e quindi non è stato neppure “annullato”, al privato è anche inibita la tutela giurisdizionale per ricorso ad un annullamento mai avvenuto

Con grave lesione sia della tutela del privato richiedente, che del principio di affidamento e presunzione di legittimità di cui si è detto nel precedente articolo (v InGenio - 18.06.2024 - Stato legittimo, presunzione di legittimità e garanzie sostanziali degli interessi pubblici: la non abusività) e con conseguente incertezza giuridica degli atti di trasferimento immobiliare medio tempore costituitisi.

Va da sé che vengono travolte anche le dichiarazioni di “legittimità” (rectius: di non abusività) dei professionisti che le avessero rilasciate in vari contesti.

 

L’aria sta cambiando

Questo orientamento sta oggi mutando (cfr. CdS - Sez. VI, 08.07.2022, n. 5746 – 06-12.2022, n. 10691).

Con un’approfondita analisi della legislazione di settore e generale (sia del DPR 380/01 che della l. 241/90) i Giudici amministrativi stanno orientandosi a ritenere che per il formarsi del silenzio-assenso basti il decorso del tempo utile e non anche la “conformità” alle norme; dopodiché l’atto entra nell’ordinamento, esiste ed è efficace.

Se poi è illegittimo può solo essere annullato.

Entro termini ben precisi però: dodici mesi dalla data di (implicito) ottenimento/rilascio da parte del comune o entro dieci anni dalla regione. Naturalmente resta annullabile/disapplicabile dal Giudice su ricorso (il quale però ha esso pure dei termini).

Per fare questo i comuni, che già hanno dimostrato inerzia nella fase istruttoria lasciando decorrere i termini del silenzio-assenso, dovrebbero essere molto efficienti nella rincorsa del tempo perduto.

Al di là dei termini e della complessità della procedura di annullamento non sfugge (a questo punto) la assoluta casualità di ipotetici quanto eventuali “annullamenti” ex post.

Il cambio di rotta non è da poco e incide in modo determinante sull’affidabilità degli atti (qui interessano quelli edilizi) ottenuti per silenzio assenso. E sui negozi giuridici che li riguardano.

 

La certezza dell’Ordinamento giuridico

Ne guadagna la certezza del diritto, un po’ meno la garanzia della tutela dell’interesse collettivo.

 

Dal punto di vista dell’interesse privato

In via teorica e dal punto di vista della tutela del privato ne guadagna la certezza del diritto, perché basta l’“esistenza” di un atto per presumerne la legittimità; e in caso di silenzio-assenso la sua esistenza per decorso del tempo e mancanza di atti di diniego può comunque essere attestata per iscritto chiedendo al comune la “certificazione” della sua inerzia.

Certificazione oggi imposta per legge dal comma 8 del DPR 380/01 come modificato dall’articolo 10, comma 1, lett. i) del d.l. 16.07.2020, n. 76 (poi l. 11.09.2020, n.120) da rilasciarsi entro quindici giorni dalla richiesta. Disposizione, questa, specifica della materia edilizia, ma comunque figlia della conforme norma generale dell’articolo 20, comma 2-bis della legge n. 241/90.

 

Dunque la certezza dell’esistenza per decorrenza del termine può essere “certificata”

E’ appena il caso di richiamare – a beneficio del lettore – che il comma 9-bis dell’articolo 2 della legge n. 241/90 prevede che ogni Amministrazione pubblica si doti di una figura apicale cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia! (norma modificata dall’articolo 1, co.1, del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 e successivamente modificata dall'articolo 13, co. 01, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 e dall'articolo 61, co. 1, lettera a), del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108).

Il circolo appare in effetti un po’ vizioso: l’inadempimento può/deve essere certificato, ma se il comune non certifica si può fare ricorso ad una sorta di “garante” che esercita il potere sostitutivo (!?!). Estenuante. Ma tant’è.

Il rilascio di un atto, comunque ottenuto (sia per via espressa che tacita) é dunque oggettivamente documentabile, è efficace e garantisce della “non abusività” delle opere.

L’efficacia degli atti privati è salva.

 

Dal punto di vista dell’interesse pubblico

La “legittimità” sostanziale però è un altro discorso.

Sull’effettiva legittimità degli atti ottenuti per inerzia della pubblica Amministrazione - e dunque dal punto di vista della tutela dell’interesse pubblico che è costituito dalla rispondenza degli atti alle norme – siamo forse meno garantiti perché è presumibile pensare che avremo in circolazione una quantità incrementata di atti illegittimi non più annullabili.

Per via delle già esposte difficoltà, disomogeneità di valutazione e incoerenze interpretative.

E questo – per la credibilità istituzionale - è comunque un problema

Anche perché, se le amministrazioni non hanno avuto il tempo di esperire l’istruttoria nei tempi di legge (per motivi che qui non sindachiamo), presumibilmente tanto meno interverranno ex post con (ben più complessi, incerti e discrezionali) atti di contestazione e annullamento (e successiva repressione).

Cosa cambia nei comportamenti pubblici e privati?

Come si è detto i privati ne godono e i professionisti, chiamati a dichiarare lo stato legittimo, potranno asseverare la “non abusività” (non la legittimità) sulla base degli atti (comunque acquisiti) purché esistenti solo verificandone la rispondenza dello stato attuale.

Le pubbliche amministrazioni ne godono meno perché mentre prima l’inerzia portava all’inesistenza degli atti se in contrasto con le norme e, dunque non si conseguiva una effettiva lesione dell’interesse pubblico, ora invece l’atto si concretizza e con esso la lesione, recuperabile solo con l’attivazione di una successiva procedura (come si è detto più onerosa) di annullamento/repressione anch’essa gravata da termini decadenziali.

Una rincorsa al tempo perduto.

E se è pur vero che sussiste il possibile intervento regionale questo non esime da responsabilità disciplinare …. e, fors’anche, penale ed erariale.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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