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La Contrattualizzazione della gestione informativa digitale e la Digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici

La transizione digitale dei contratti pubblici solleva reazioni contrastanti per i tempi e le conseguenze portate dell’adozione della legislazione, delle pratiche e delle competenze alla nuova realtà. Si sottolinea l'importanza di affrontare il cambiamento culturale e tecnologico con adeguati investimenti formativi e infrastrutturali, preparandosi a una gestione più avanzata e integrata dei contratti pubblici.

Implicazioni della digitalizzazione nel ciclo di vita dei contratti pubblici

La doverosa premessa alle presenti riflessioni è che, nello scenario contemporaneo, in questa circostanza a proposito delle amministrazioni pubbliche, ma, più in generale, per l’intera società, i propositi riformisti legati alla digitalizzazione e alla sostenibilità stanno suscitando, più o meno in modo aperto, reazioni contrastanti, sia per i loro tempi di attuazione, sovente giudicati irrealistici, sia per le conseguenze che essi comportano, talora sconvolgenti equilibri inveterati.

 

Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università degli Studi di Brescia
Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università degli Studi di Brescia (Ingenio)

 

A titolo esemplificativo, in documenti ufficiali di alcune rappresentanze, la gestione informativa digitale, introdotta nell’ordinamento dal D. Lgs. 50/2016, ora sostituito dal D. Lgs. 36/2023, è stata considerata del tutto recente, ancorché, appunto, essa sia stata regolamentata dal D.M. 560/2017, poco dopo, e ulteriormente riveduta col D.M. 312/2021.

Non è possibile, pertanto, ritenere che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti non abbiano avuto sufficiente tempo per predisporsi. Non dissimile appare la ricezione dell’introduzione delle piattaforme di approvvigionamento digitale, per la quale, di là del periodo di calibrazione iniziale, si sostiene l’eccessiva precocità.

La digitalizzazione potrebbe, peraltro, a breve, figurare, secondo forme da comprendere, anche nel nuovo Testo Unico dell’Edilizia Privata, estendendo l’ambito oltre i contratti pubblici, investendo, oltre a tutto, una platea di operatori economici più vasta.

In effetti, il Codice dei Contratti Pubblici costringe l’amministrazione pubblica a contrattualizzare e, ancor prima, a richiedere agli operatori economici, formalizzandole, prestazioni intellettuali e non relativamente inedite, cercando, però, di restringere il novero dei contraenti pubblici, per il combinato disposto della loro riduzione tramite la qualificazione e dell’esclusione dei lavori sotto una determinata soglia di importo e della maggior parte degli interventi di manutenzione, investimenti per i quali rimane la facoltatività e la eventuale premialità.

Si deve, comunque, annotare come la causa della esclusione degli interventi di manutenzione sia dovuta alla volontà di semplificare la concezione di interventi che, singolarmente, si presuppone essere di minore entità e complessità, ma, in realtà, lo scopo ultimo della gestione informativa digitale è incentrato sulla gestione del patrimonio immobiliare o infrastrutturale, per la quale si inizia anche ad assistere al ricorso ai modelli di apprendimento automatico.

Il punto è che la richiesta di tali prestazioni presuppone la capacità attiva di esprimerla e di governarla, non sicuramente il semplice ribaltamento passivo dei suoi contenuti alla controparte contrattuale, ma, in assenza di una cultura digitale, ciò non è credibile, tanto che molto frequentemente le stazioni appaltanti hanno pedissequamente emulato i documenti predisposti in precedenza per analoghi fini da altre amministrazioni pubbliche oppure hanno letteralmente copiato acriticamente i testi della normativa nazionale della serie UNI 11337.

Esse hanno, dunque, emulato da altri casi ciò che non comprendevano né ritenevano cruciale, guardando alla logica del mero adempimento formale, creando una condizione potenzialmente asimmetrica che, evidentemente, non si è risolta nel contenzioso solo perché non molte controparti contrattuali erano attrezzate all’uopo. Detto diversamente, l’autentica digitalizzazione del ciclo di vita del contratto pubblico suscita discontenti e opposizioni, per quanto non sempre espliciti, sia per l’essenza propria di processi trasformativi da affinare e da calibrare sia per l’impreparazione dei soggetti che stanno subendo un radicale cambio di paradigma e che spesso si sentono da esso minacciati, adottando una tattica passivista per dimostrarne l’impraticabilità.

Sono, peraltro, gli stessi soggetti che, non potendo ovvero non volendo attribuire valore al cambiamento, saranno sempre più disponibili a offerte formative, consulenziali e strumentali riduzioniste, sotto ogni visuale. Per questi motivi, non si può dare per scontato che gli obblighi di legge e lo spirito del tempo possano prevalere sulle resistenze nei tempi desiderati, ma si deve, tuttavia, essere coscienti che atteggiamenti attendisti non possano pagare a lungo.

L’abbandono della cultura e della prassi analogiche comporta molti timori, rafforza molte inedie, ma, in particolare, richiede anche un atteggiamento critico sulle prospettive di accrescimento della maturità digitale degli operatori, che è influenzata dai caratteri strutturali del mercato.

Detto altrimenti, la struttura consolidata del mercato non pare appieno adatta e idonea alla transizione digitale, ma il suo obbligato ripensamento comporta ricadute non trascurabili sugli assetti delle catene del valore e della fornitura.
Non occorre, peraltro, molta immaginazione per prevedere che si porrà in atto una strategia di banalizzazione delle vigenze, tentando così di neutralizzare l’innovazione, ma, se così si desse, si avrebbe un enorme spreco di utilità o di potenzialità, anche perché aderire solo in parte alla trasformazione significa consegnarsi a restare nello stallo in caso di fallimento. Al contempo, la qualificazione, non solo della domanda pubblica, ma anche dell’offerta privata, non potrà certo passare da corsi di formazione di qualche decina di ore, ma implica, al contrario, un programma strategico formativo che parta dalla riforma dei profili delle professionalità, per valorizzare il capitale umano, e da piani di acquisizione strumentale onerosi, in coerenza colla rivisitazione dei processi gestionali, supportati da investimenti significativi e dal coinvolgimento di tutte le rappresentanze, al di fuori di ottiche di adempimento formale.

Tra l’altro, è saggio ricordare come gli investimenti nella digitalizzazione difficilmente possano assicurare ritorni sull’investimento nel breve termine: la qual cosa spiega bene come gli atteggiamenti riluttanti possano avere buon gioco nel dimostrare in apparenza le proprie tesi e per falsificare quelle altrui. Se, ad esempio, valesse la stima condotta in uno studio australiano, secondo cui il punto di pareggio relativo all’investimento si raggiungerebbe dopo quattro o cinque anni, si intuirebbe la portata della cosa nei confronti della durata dei mandati elettorali.

Deve essere chiaro a tutti, come ben dimostra il caso dell’intelligenza artificiale, che sarà sempre più applicata al regime dei contratti pubblici, che si sia in presenza di un mutamento epocale, assai rischioso se non adeguatamente compreso e gestito.

Si deve, infine, ragionare a proposito dei risultati che possa offrire il processo aggregativo delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti qualificati secondo i nuovi criteri e sul ruolo che, in particolare, eserciteranno le centrali di committenza nei confronti delle altre amministrazioni pubbliche, proprio in materia di contrattualizzazione della gestione informativa digitale, che si dipana, ovviamente, dall’e-Procurement. Se, infatti, il ruolo della committenza pubblica delegata si interrompesse al momento dell’aggiudicazione del contratto, la gestione della sua esecuzione sarebbe lasciata ad amministrazioni pubbliche deleganti palesemente impreparate, in balìa della controparte oppure costrette ad affidarsi a consulenti esterni.

Occorre valutare attentamente nel tempo in quale misura il processo aggregativo comporti un accrescimento della professionalità della domanda pubblica, laddove il lavoro presso l’amministrazione pubblica risulta sempre meno attrattivo. Ciò affermato, bisogna iniziare a discutere sulla modalità con cui alcune prestazioni possano essere contrattualizzate.

Con lo 01.01.2025 si pone con impellenza la necessità, sotto il profilo tecnico-gestionale, di meglio comprendere, da parte, anzitutto, delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, che cosa significhi contrattualizzare le prestazioni relative alla gestione informativa digitale, o meglio, capire da quale essenza queste prestazioni siano caratterizzate: con l’auspicio che si dismetta per l’occasione il ricorso all’acronimo BIM, presente solo puntualmente e in modo del tutto incoerente nel Codice dei Contratti Pubblici.

A questo proposito, è bene affermare, una volta per tutte, in primo luogo all’interno del testo di legge, che non esista alcuna cosiddetta metodologia BIM, né tanto meno, alcun protocollo BIM, nozioni, queste ultime, senza significato, ma bisogna ribadire che si diano metodi e strumenti di gestione informativa digitale.

Ovviamente, analoga attenzione andrebbe riposta sugli elementi squisitamente giuridico-amministrativi, che implicano, ad esempio, delicati temi attinenti alla natura, alla protezione e alla proprietà del dato, così come all’allocazione delle responsabilità in casi di errore di progettazione o ai diritti di accesso ai contenitori informativi, ma che esulano dalle competenze specifiche dello scrivente.

 

Affidamento servizi di ingegneria e architettura: di cosa si tratta

A partire, infatti, dall’affidamento dei contratti pubblici inerenti ai servizi di ingegneria e di architettura occorre essere consapevoli, sia sul versante della domanda pubblica sia su quello dell’offerta privata, di che cosa si tratti.

Per prima cosa, l’oggetto del contratto riguarda processi e prodotti che, sulla base di specifiche richieste, siano conformi, quanto a risposta, a protocolli e a contenuti ormai precisati nel decreto legislativo, specie negli allegati, e nella normativa nazionale, sovranazionale, internazionale, a far data dalla serie normativa UNI EN ISO 19650.

Si osserva, peraltro, come, per dirimere la materia, non sia assolutamente sufficiente un bando tipo, ma servano anche contenuti normalizzati nel disciplinare di gara, e nello schema e nel disciplinare di contratto.

Si sottolinea, in ogni caso, che attualmente la nozione prevalente dell’oggetto contrattuale consista nella produzione di documenti (da cui la centralità dell’estrazione dai modelli informativi degli elaborati impaginati: un vero e proprio ossimoro rispetto alla cultura digitale), in luogo della generazione e della elaborazione dei dati.

Ciò comporta il fatto che, in primo luogo, le richieste formulate prendano avvio dai requisiti informativi di carattere organizzativo (OIR) e patrimoniale (AIR): colla conseguenza che, in assenza di un serio atto dell’organizzazione, tali requisiti non possano darsi o, comunque, non possano essere resi noti in termini formalizzati.

Il che esclude categoricamente che ci si possa rifare estemporaneamente a un capitolato informativo (EIR), scollegato da essi, senza che la fase interna di definizione o di maturazione si sia effettuata. In altre parole, senza rispettare i tre requisiti della organizzazione, della formazione e della strumentazione, riassunti sostanzialmente nell’atto dell’organizzazione, non si darebbe luogo a procedere.

 


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