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La difficile trasformazione digitale, la modellazione dei processi e i LLM nelle costruzioni e nell'immobiliare

L'avvicinarsi della scadenza per la Gestione Informativa Digitale nel settore edilizio spinge molti a un approccio riduttivo all'innovazione. La mancanza di cultura digitale porta all'uso superficiale dei Large Language Model, con rischi di inefficienza e disparità nel settore.

Trasformazione digitale, la modellazione dei processi e i Large Language Model (LLM)

L’avvicinarsi della scadenza dell’obbligo, parziale, per le stazioni appaltanti e per gli enti concedenti, relativo alla Gestione Informativa Digitale, innescherà, presumibilmente, un approccio, da parte dei soggetti interessati, almeno in buona proporzione, mirato a ridurre e a semplificare la portata dell’innovazione, poiché essa stenta a essere compresa nella sua essenza effettiva, in quanto che sembra che possa essere percepita nei termini, abituali, in questi casi, di adempimento formale.

Si è, perciò, facili profeti a preconizzare una progressiva banalizzazione del tema, nonostante ci si auspichi, evidentemente, il contrario.

 

Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università di Brescia.
Angelo Luigi Camillo Ciribini, Università di Brescia. (Ingenio)

 

La tesi principale che si intende sostenere in questo contributo è che, per la maggior parte degli operatori del versante della domanda e dell’offerta, la mancanza di una cultura digitale, che permetta di governare i dati e le informazioni, non possa che tradursi nella valorizzazione del tema attraverso un’azione di supplenza che, a determinate condizioni, potrebbe essere svolta grazie a modelli linguistici di grandi dimensioni e, stante la modalità con cui gli obblighi di legge potrebbero essere assolti, per mezzo della coltivazione del contenzioso, a cui applicazioni distratte potrebbero consentire ampio spazio.

Molti indizi suggeriscono, infatti, che la gran parte degli esponenti dei versanti della domanda pubblica e dell’offerta privata continuino a percepire il tema come relativamente superfluo, o almeno sovrastrutturale, e oneroso, tanto che, nella logica del mero adempimento formale, essi intenderebbero ridurre l’entità dei costi relativi, dando così notevole spazio a una offerta consulenziale che aderisca in tutto e per tutto a questo approccio riduzionista.

Nonostante che parziali forme di obbligazione datino ormai dal 2017, le amministrazioni pubbliche italiane, a eccezione delle più attrezzate, hanno molto faticato, distolte, peraltro, da criticità organiche e strutturali, a interiorizzare i criteri, le metodologie, i dispositivi e, di conseguenza, passando attraverso diversi decreti ministeriali, hanno sostanzialmente rimosso o mitigato il portato della trasformazione digitale, ritenendola un processo transitorio in continuo progredire nominale, senza che esso possa trovare una qualche significativa conclusione provvisoria.

D’altronde, stante la condizione in cui operano o versano molte stazioni appaltanti ed enti concedenti, la premessa per una piena implementazione del metodo risiederebbe nella sua capacità di generare un ritorno immediato, laddove, al contrario, come dimostra anche l’introduzione dell’e-Procurement, la natura dell’innovazione digitale è antitetica, nel comparto, a una tale opportunità.

La trasformazione digitale richiederebbe, infatti, la disponibilità dei soggetti ai quali è rivolta a un maggior impegno da attuarsi in tempi congrui. Molto spesso, però, nessuno di questi presupposti è riscontrabile, poiché si riscontra un atteggiamento dilatorio, accompagnato da accelerazioni formali, ancorché necessitate.

Non si tratta di offrire un giudizio di valore, poiché le difficoltà di natura strutturale in cui versano le amministrazioni pubbliche, ma anche le altre componenti del mercato professionale e imprenditoriale, sono evidenti, epperò non si può non rilevare una circolarità viziosa nei processi di innovazione in questione.

Al contempo, però, l’adesione del settore, più o meno forzata dagli eventi, alla digitalizzazione comporta una serie di significativi rischi, in assenza, in molte occasioni, di un’autentica cultura del dato.

Ciò che si vuole ribadire, una volta di più, è che la maggiore aspettativa per molti attori e operatori, nei confronti dei processi digitali, non ne riguarda la piena attuazione, bensì un uso strumentale al miglioramento delle prassi analogiche, consolidate e convenzionali. Si tratterebbe, peraltro, di un esito non banale, nel senso che apporterebbe qualche utilità al sistema, senza stravolgerne la natura, benché bisognerebbe misurarne il rilievo a fronte degli sforzi necessari.

 

Adozione riduttiva della digitalizzazione: rischio di eterodirezione dei processi decisionali e di contenzioso

Se, dunque, il Change Management sotteso alla cogenza potrà essere tendenzialmente neutralizzato, a discapito del rigore con cui è stato redatto il disposto legislativo, occorre, tuttavia, rendersi conto che una adozione del tutto circoscritta e riduttiva della digitalizzazione costituisce, comunque, l’atto di adesione all’ingresso in un ecosistema digitale, nel quale proprio l’implementazione superficiale favorisce, come annunciato, da un lato, l’eterodirezione dei processi decisionali e, dall’altro, la coltivazione del contenzioso.

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In altre parole, l’universo dei soggetti della domanda e dell’offerta che affrontano la digitalizzazione con intenti analogici rischia, non approfondendo la tematica, di divenirne vittima ideale, a opera di chi l’argomento lo governa.

Nell’ambito descritto, i modelli linguistici di grandi dimensioni, noti come Large Language Model o LLM, potranno giocare un fondamentale ruolo di supplenza, dato che si presentano come disintermediatori formidabili, grazie alle loro capacità conversazionali.

Non per nulla, a proposito di essi, si inizia a parlare di capitalismo linguistico, vale a dire di capitalismo del linguaggio, così come si era cominciato a riflettere sul capitalismo della sorveglianza.

Naturalmente, affinché si possa parlare a ragion veduta della applicazione di queste soluzioni, occorre guardare lucidamente al fenomeno, in attesa che la bolla mediatica attorno alla intelligenza artificiale si dissolva, per discorrere di presupposti e di investimenti.

Bisogna, infatti, premettere che affinché sia possibile utilizzare correttamente questi strumenti sia necessario che il settore abbia messo in atto un processo razionale di digitalizzazione e che sia in grado di operare investimenti strategici di sistema per l’addestramento dei dispositivi sul dominio verticale con corpus linguistici e ontologie, a partire dalla disponibilità dei data set adeguati.

Questa è, infatti, la vera urgenza che, dal punto di vista infrastrutturale, bisogna avanzare, dato che a oggi lo scenario accennato pare essere assente.

L’avvento dei modelli linguistici di grandi dimensioni non può, del resto. che essere al centro anche del settore della costruzione e dell’immobiliare: se, infatti, a proposito di digitalizzazione, sinora si era parlato di modellazione informativa (di BIM ovvero di Building Information Modeling), ora si inizia a ragionare sulla modellazione linguistica (Large Language Modeling), tanto più se in senso multi-modale, e sulla modellazione processuale (Business Process Modeling).

L’avvento del cosiddetto BIM, a sua volta, prevedeva la pre-esistenza di un ambito predisposto, a iniziare, ad esempio dalla cultura del Project Management e dalla presenza di sistemi di controllo di gestione: precondizioni assai rare.
Di fatto, la linguistica computazionale può essere utilizzata al fine di interpretare il linguaggio naturale con cui sono descritti i processi da configurare tramite metodologie di elaborazione relative al Natural Language Processing (NLP), per poi generare, tramite codici forniti ad appositi dispositivi, mappe processuali con BPMN (Business Process Model and Notation).

Nel contesto del Business Process Management, la configurazione dei processi appare strettamente inerente al Project Management, al Risk Management, nonché, naturalmente, all’Information Management.

In altre parole, la prospettiva rivoluzionaria, nel caso in cui essa si avverasse, appare essere rivolta alla semi-automazione dei prodotti dell’attività intellettuale e manuale, attraverso l’autonomazione dei processi.

In altri termini, il Business Process Management, nell’ottica di un contributo attivo del dato nei processi decisionali, diviene un argomento fondamentale, poiché modellare i processi assume una veste operativa.

Si tratta, perciò, ora di capire quale sia il contesto e in che termini ciò possa avvenire, colle potenzialità e colle incognite che ciò comporta.

Tutto risale, anzitutto, alla revisione, in atto presso le sedi normative internazionali e sovranazionali continentali (ISO e CEN) della nozione di Ambiente di Condivisione dei Dati (Common Data Environment), revisione già presente, peraltro, in una qualche misura, nel Codice dei Contratti Pubblici, nel D. Lgs. 36/2023.


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