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Ponti in calcestruzzo armato post teso, esempi di realizzazione. Miti e false credenze

Evoluzione delle strutture in calcestruzzo armato post-teso per ponti in Italia e all'estero, partendo dagli anni '30 fino ad oggi. Dopo gli inizi, la tecnologia ha prosperato dagli anni '50 con soluzioni avanzate, diventando uno dei principali sistemi internazionali per la costruzione di ponti di grande luce. Nonostante l'ampio utilizzo, in Italia viene spesso penalizzata senza motivazioni fondate. All'interno alcune proposte per migliorare norme tecniche e controllo esecutivo.

Si analizza, dell’origine e fino ai nostri giorni, alcuni esempi di realizzazioni in Italia e all’estero di strutture da ponte in calcestruzzo armato post teso. A partire dalle prime realizzazioni degli anni ‘30, gli studi e le applicazioni per questa tecnologia costruttiva si sono sviluppanti maggiormente a partire dagli anni ’50 e nei decenni successivi con applicazioni e tecnologie sempre più evolute.
Ad è oggi questo sistema costruttivo è fra i più importanti, a livello internazionale, per la costruzione di ponti e viadotti di grande di grande luce, caratterizzate da elevata “robustezza” e pregio architettonico.
Nelle conclusioni si esamina come a fronte di un esteso impiego e sfruttamento negli ultimi 80 anni questa tecnologia costruttiva sia negli ultimi anni penalizzata nel nostro paese, nell’ambito delle nuove realizzazioni, e che le motivazioni spesso addotte non trovano un reale fondamento. Sono infine illustrate alcune proposte nell’ambito delle norme tecniche e sul migliore controllo delle fasi esecutive.


L’origine delle strutture in calcestruzzo post teso

Il primo brevetto sulla precompressione «pre tesa» (fili aderenti) fu sviluppato da Eugène Freyssinet nel 1928, per quell’epoca era un sistema rivoluzionario. Infatti, la precompressione consentiva al calcestruzzo di divenire un materiale quasi-elastico, più simile all’acciaio, per le condizioni di servizio della struttura.

Le prime applicazioni di Eugène Freyssinet riguardano tipologie di ponte ad arco, il primo ponte ad arco «Prairéal-sur-Besbre» risale al 1907 (arco di luce 26 m) con la prima applicazione della precompressione, successivamente progettò ulteriori ponti ad arco precompressi di luce sempre maggiore 72,5 m/96 m/131 m e fino a 186 m «Plougastel Bridge» (1930). Durante la costruzione di questo ponte furono sviluppate le prime curve di viscosità, vi fu una sottostima del fenomeno però compensata dall’alta qualità di acciai e calcestruzzi.

Un importante traguardo fu costituito nel 1938, per il brevetto del martinetto piatto, e nel 1939, per il brevetto degli ancoraggi (di fatto l’invenzione della post-tensione).

Il primo ponte con tipologia a travata precompressa «pre teso» di Eugène Freyssinet è stato realizzato nel 1936, «Portes-de-Fer Dam» presso la diga Oued Fodda in Algeria. L’impalcato è costituito da 12 travi prefabbricate a «I» di luce 19 m.

Il primo ponte precompresso «post-teso» di Eugène Freyssinet è stato realizzato nel 1941-1946, «Luzancy» sul fiume Marna con luce di 55 m (rapporto altezza/luce 1/43), e rappresenta anche il primo ponte prefabbricato a conci (la precompressione è stata applicata in tutte e 3 le direzioni) e di tipologia integrale con le spalle.

    

Figura 1 - Eugène Freyssinet, Ponte Portes-de-Fer Dam (1936). - Figura 2 - Eugène Freyssinet, Ponte Luzancy (1946)

Figura 1 - Eugène Freyssinet, Ponte Portes-de-Fer Dam (1936). (Credit: 21). Figura 2 - Eugène Freyssinet, Ponte Luzancy (1946). (Credits: 21)

  

Un ulteriore impulso allo sviluppo iniziale dell’impiego della precompressione post tesa nei ponti è avvenuto in Germania alla fine degli anni ’20.

Infatti, la collaborazione fra Wilhelm Gustav Dyckerhoff e Gottlieb Widmann ha portato l’impegno delle prime barre post-tese per la costruzione del ponte ad arco «Alseben» (1927), e successivamente la fondazione della società “Dyckerhoff & Widmann” ora nota come « Dywidag»).

Un riferimento importante per lo sviluppo della progettazione di strutture precompresse è stato dato dall’associazione “Fédération internationale de la précontrainte (FIP)”, inaugurata il 29 Agosto 1952 presso l’Università di Cambridge (UK) durante un convegno che raccoglieva i migliori esperti dell’epoca dopo 2 anni di confronti e studi.

Nella fase fondativa dell’associazione FIP ebbero un ruolo prominente Eugène Freyssinet e Gustave Magnel (rispettivamente primo presidente e vice-presidente).

Nelle memorie del primo convegno FIP del 1952 è interessante leggere gli interventi degli esperti italiani, nello specifico: Prof. Ing. Franco Levi sugli studi intrapresi su solette precompresse su fondazione elastica, sull’importanza del diagramma momento-curvatura, sull’impiego del teorema di Volterra e sulla necessità di avere cavi di post tensione dotati di comportamento plastico per garantire la duttilità delle strutture; Prof. Ing. Elio Giangreco sugli studi intrapresi sulla teoria dei gusci e l’applicazione della precompressione, con importanti vantaggi in termini di sicurezza nei confronti dell’instabilità.

 

Figura 3 - Dyckerhoff & Widmann, Ponte Alseben (1927).
Figura 3 - Dyckerhoff & Widmann, Ponte Alseben (1927). (Credits: 22)

   

La precompressione per post tensione consiste nel tendere l’armatura con apparecchiature idrauliche (martinetti) che premono sulle testate dell’elemento da precomprimere, che ha già sviluppato un adeguata maturazione del calcestruzzo.

Nella messa in tensione il trefolo/barra di precompressione si allunga mentre la sezione di calcestruzzo presenta un accorciamento (deformazione elastica istantanea) che non ha alcun effetto sull’entità finale della precompressione.

Per consentire l’allungamento del trefolo/barra di precompressione rispetto alla sezione di calcestruzzo è necessario realizzare un condotto di scorrimento, detta “guaina”, opportunamente disposta nel cassero prima del getto.

Quando i trefoli/barre vengono bloccate alle estremità dell’elemento, la deformazione elastica del calcestruzzo si è già prodotta e solo le deformazioni differite (per viscosità e ritiro) inducono delle perdite di tensione nell’armatura di precompressione.

Questo metodo, detto anche precompressione “a cavi scorrevoli” , è il più utilizzato; esso è adatto ad una grande varietà di applicazioni.

Il processo di post tensione permette di raggiungere tutti i vantaggi offerti dalla precompressione: concentrazione e continuità delle armature, riduzione del peso e creazione di stati di autocompressione adatti a qualunque esigenza progettuale.

La distribuzione dei cavi di precompressione, in particolare per la tecnica a cavi post tesi, permette di influenzare favorevolmente la distribuzione delle azioni interne; inoltre l’effetto delle azioni iperstatiche dovute alla precompressione può essere molto importante fin dalla fase di progettazione della struttura: la disposizione dei cavi può essere scelta sulla base dei seguenti criteri:

  • In un sistema lineare di appoggi fissi, la disposizione dei cavi che dia una distribuzione dei momenti primari affine a quella dei momenti dei carichi esterni, conduce alla precompressione concordante (senza azioni iperstatiche dovute alla precompressione);
  • Le azioni di natura iperstatica sono tanto più importanti quanto più la distribuzione dei momenti primari dovuti alla precompressione si allontana da quella dei momenti dovuti ai carichi;
  • Nella maggior parte di casi la precompressione concordante non rappresenta la soluzione più economica, ne la più favorevole dal punto di vista statico;
  • In generale, è necessario cercare di disporre i cavi in modo tale che le forze distribuite equivalenti alla precompressione contrastino i carichi nel miglior modo possibile;
  • Allo stato limite ultimo l’iperstatiticità non gioca normalmente alcun ruolo. Pertanto, la verifica della sicurezza a rottura andrebbe fatta secondo la teoria della plasticità.

  

«Concept Design» del ponte in calcestruzzo post teso

Nell’ambito della progettazione e costruzione di ponti e viadotti con elementi precompressi post tesi la varietà nella tipologia di impalcato può essere molto elevata: travi / cassoni, gettato in opera / prefabbricato, varato per sollevamento / avanzamento, schema isostatico / iperstatico / strallato.

Tipicamente per luci corte si preferisce le tipologie: travi / solette alveolari, cavi posizionati nell’anima. Per impalcati multi-campata la prefabbricazione offre vantaggi per velocità / ripetitività.
Quando si affrontano luci medio-lunghe si preferisce invece le tipologie: cassone singolo / multiplo, impalcati curvi, cassoni gettati in opera (luci medie) / prefabbricati (luci alte), attrezzature speciali di varo conci prefabbricati (lunghezze min 2km).

Per luci lunghe si preferisce le seguenti tipologie: cassone varato a conci gettati in opera con sbalzi bilanciati (Lmax 250m), cassone strallato (L > 500m).

 

Figura 4 - Tipologie di impalcati precompressi in funzione della luce.
Figura 4 - Tipologie di impalcati precompressi in funzione della luce. (Credits: 3)

  

Il tracciato cavi interno ed esterno

Nell’ambito della precompressione post tesa è importante trattare le caratteristiche dei tracciati cavi interni e/o esterni.

Dopo la Seconda guerra mondiale, nel pieno dello sviluppo della tecnologia della precompressione, l’ingegnere belga Gustav Magnel ha inventato e applicato un sistema di precompressione particolare, consistente nel disporre i cavi fuori dalla sezione di calcestruzzo.

L’effetto della precompressione si esplica quindi secondo due componenti: le testate di ancoraggio, dove è applicata la forza normale, e le deviazioni delle traiettorie, dove i cavi esercitano forze concentrate.

Entrambe le tipologie di cavi interni/esterni sono stati nel tempo sviluppate, raggiungendo ad oggi un livello di elevato di standard / dettaglio / qualità costruttiva.

Si illustrano di seguito alcuni vantaggi/svantaggi:

  • Vantaggi cavi esterni, rispetto ai cavi interni: riduzione nr condotti interni alla sezione, riduzione spessore strutturale, possibilità di impiego di giunti a secco, accesso completo al condotto, più semplice layout cavi, più facile iniezione cavi, riduzione perdite istantanee, migliore ispezionabilità, possibilità di sostituzione, possibilità di aggiungere cavi successivamente nella vita di servizio, straordinaria risorsa di capacità spostamento in condizioni ultime (avendo una risorsa elastica intrinseca che va ben oltre le deformazioni a collasso delle strutture in calcestruzzo armato).
  • Svantaggi cavi esterni, rispetto ai cavi interni: condotto in HDPE con maggiore costo rispetto al condotto classico in lamierino griffato, riduzione di eccentricità cavo (dovendo i deviatori essere tipicamente collocati all’interno del cassone e non nello spessore strutturale), a collasso a flessione da un contributo inferiore in termini di forza, non avendo congruenza una rottura in una sezione comporta la perdita dell’intero cavo, deviazione cavo con elevato stato di sforzo, fatica ed oscillazioni dei cavi a causa della lunghezza, esposizione esterna risulta più vulnerabile ad azioni accidentali.

A valle di molte esperienze sia nella progettazione che nella gestione di questa tipologia di impalcati, la soluzione ideale risulta una soluzione di tipo mista:

  • Cavi interni: per la gestione della fase di costruzione a compensare peso proprio fino a sutura delle campate (metodo di costruzione a conci a sbalzo bilanciato).
  • Cavi esterni: come cavo di continuità, da installare dopo la realizzazione dell’impalcato a cassone con cavi interni, a compensare aliquota carichi mobili e carichi accidentali. Tale tipologia potrà prevedere la predisposizione di deviatoi e testate “libere” per l’eventuale posa di cavi esterni integrativi eventualmente necessari durante la vista di servizio (garantendo la necessaria ridondanza per la sostituzione/manutenzione dei cavi originariamente installati).

  

Il grado di precompressione

Un altro tema importante in questa tipologia di impalcati da ponte in calcestruzzo armato post teso riguarda il livello di precompressione integrale/parziale.

La condizione di precompressione integrale, ossia di assenza di trazioni nel conglomerato in tutte le fasi di costruzione e di esercizio, che era tassativa alle origini del c.a.p., non è sempre necessaria ed il criterio di ammettere trazioni anche elevate per particolari classi di opere è stato codificato in regolamenti internazionali (fin dal 1963 FIP/CEB).

La presenza delle trazioni nel conglomerato richiede l’aggiunta di armature “ordinarie”, le quali oltre ad ostacolare la fessurazione assolvono una ben determinata funzione statica alla rottura pervenendosi così ad un sistema a “precompressione parziale” di caratteristiche intermedie fra quelle delle strutture integralmente precompresse e di quelle in c.a..

La possibilità di realizzare impalcati con armatura post tesa con grado parziale di precompressione ha sensibili vantaggi sotto diversi aspetti:

  • dal punto di vista dell’economia dell’intervento, adottando acciaio ordinario ovvero qualificando la struttura come “calcestruzzo armato pregiato” per l’innalzamento del carico di fessurazione;
  • la gestione delle lesioni che si dovessero formare consente la richiusura quando i sovraccarichi diminuiscono, come evidenziato da diverse campagne sperimentali;
  • la riduzione del livello di precompressione comporta indubbi vantaggi, ottenuta diminuendo il numero e non il tasso di sforzo nei trefoli, consente di gestire le condizioni di carico permanente con livelli di compressione nel calcestruzzo minori a tutto vantaggio/mitigazione anche dei fenomeni reologici;
  • l’influenza dell’acciaio ordinario si manifesta in modo sensibile sulla distribuzione ed ampiezza delle lesioni, che risultano più diffuse e di ampiezza minore all’aumentare della percentuale di armatura ordinaria.

Pertanto, la giusta combinazione di armatura ordinaria e armatura di precompressione si è affermata negli anni e nelle diverse esperienze come la soluzione più adeguata alle esigenze di gestione di carici accidentali o carichi straordinari.

Pertanto, nelle norme il concetto di precompressione totale è stato maggiormente definito in termini di “grado di precompressione”, che può essere definito sulla base dei seguenti criteri:

  • limitazione delle tensioni nel calcestruzzo;
  • equilibrio fra i carichi equivalenti alla precompressione ed i carichi applicati;
  • rapporto fra la capacità di snervamento dell’armatura presollecitata e la capacità dell’armatura totale (presollecitata ed ordinaria, ovvero il rapporto meccanico della precompressione)

  

La plasticità nelle strutture continue precompresse

La teoria della plasticità è molto semplice ed efficacie nel caso di calcolo della sicurezza strutturale di travate continue precompresse. Infatti, è necessario determinare il poligono funicolare delle azioni esterne di riferimento, debitamente maggiorate dei loro fattori di carico (per carico uniforme ripartito è una parabola quadratica con altezza di freccia pari a PL2/8). Secondo la teoria della plasticità, si potrebbe ammettere qualunque linea di chiusura che soddisfi le condizioni di equilibrio alle estremità della campata. Pertanto, per una campata di un impalcato continuo precompresso, nella situazione di carico più critica, ad esempio di carico da traffico concentrato in mezzeria della campata, si esplicita l’equazione:

   
Sd ≤ R / γR  →  MmaxG G + γQ Q) ≤ Mu-(P)/ γR + Mu+(P) / γR + Mu (S)/ γ

  
dove:

Mu-(P) = resistenza flessionale all’appoggio intermedio dovuta alla precompressione
Mu+(P) = resistenza flessionale a metà campata dovuta alla precompressione
Mu(S) = somma delle resistenze supplementari in campata e all’appoggio dovute all’armatura ordinaria

Se la suddetta condizione è soddisfatta con i due termini che rappresentano le resistenze dovute alla precompressione, si può disporre l’armatura ordinaria secondo le regole di armatura minima. Diversamente l’armatura ordinaria si dispone sia agli appoggi di estremità che in campata secondo un quantitativo adeguato.

Un esempio di comportamento duttile di impalcato continuo precompresso si è verificato in Svizzera, Ponte sul fiume Reuss, che a seguito di una piena eccezionale ha causato l’erosione della fondazione di una pila e provocato un cedimento verticale di 1.20m, accompagnato da uno spostamento orizzontale di 0.7m. L’impalcato a cassone ha seguito la pila nei suoi spostamenti, senza eccessivi danni, ad eccezione di due grandi fessure a cavallo della pila (vedi foto di seguito).

Si è trattato di un adattamento plastico, che grazie alla formazione di due cerniere plastiche ha comportato una notevole ridistribuzione delle azioni interne nel cassone, che ha permesso di salvare la struttura. Il ponte è stato quindi completamente recuperato, tramite ripristino statico, sollevamento campata e nuova fondazione pila.   

  

Figura 5 - Ponte sulla Reuss a Wassen (Cantone di Uri), cedimento e ridistribuzione plastica dell’impalcato precompresso continuo (1987/1988).
Figura 5 - Ponte sulla Reuss a Wassen (Cantone di Uri), cedimento e ridistribuzione plastica dell’impalcato precompresso continuo (1987/1988). (Credits: 10)

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L'articolo continua con la trattazione

  • Ponti precompressi post tesi a “piastra”
  • Ponti precompressi post tesi a “cassone”
  • Conclusioni, miti e false credenze

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