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Studio sperimentale comparativo sul rinforzo di pilastri in muratura esistenti

Dopo una panoramica sulle colonne nell'architettura monumentale e sui piloni dei ponti esistenti in muratura, viene presentato uno studio sperimentale comparativo sul comportamento a compressione di pilastri in muratura in mattoni di argilla rinforzate con tre diverse tecniche in ottica di proporre dei metodi di calcolo per la progettazione delle tecniche di rinforzo.

Pilastri per edifici monumentali e ponti in muratura: l'analisi di comportamento strutturale

La presenza di pilastri in muratura come sostegno verticale in edifici esistenti e in ponti in muratura, è in uso sin dai tempi più remoti e ancora oggi si riscontrano esempi di notevole pregio in molti edifici del nostro patrimonio storico-monumentale, così come in molte infrastrutture viarie.

L’analisi del comportamento di tali elementi strutturali, non rinforzati e rinforzati, è uno degli argomenti più trattati dell’ingegneria strutturale ed è stato oggetto nel tempo di svariati studi ed analisi. Nonostante ciò, ancora oggi, emerge la necessità di uno studio sperimentale del loro comportamento a causa dell’elevato numero e dell’incertezza dei parametri che condizionano la risposta strutturale dei pilastri murari, specie quando questi si considerano rinforzati.

La conclusione più significativa dedotta dalla ricerca dei contributi in letteratura e la loro classificazione in relazione ai materiali considerati (mattoni di argilla, conci di tufo, etc.) e alle tecniche di rinforzo (tradizionali come i cerchiaggi in acciaio, innovativi come l’FRP, etc.), al campo prestazionale osservato (elastico, post-elastico, etc.), al tipo di carico (centrato, eccentrico, ciclico, etc.), consiste essenzialmente nel rilevare che i risultati, pur dedotti in ambiti analoghi, risultano assai spesso non univoci, sia perché per l’incertezza intrinseca dei parametri caratterizzanti il materiale muratura, sia perché risulta complessa la definizione del comportamento dell’insieme materiale muratura-rinforzo strutturale. Ne deriva che i diversi modelli proposti in letteratura risentono fortemente di una calibrazione influenzata dalle sperimentazioni effettuate con limiti di applicabilità a materiali e tipologie costruttive diverse.

Nel presente lavoro, si mostrano i risultati di una vasta campagna sperimentale condotta su pilastri in mattoni di argilla soggetti a compressione centrata e rinforzati con tre diverse tecniche.

Nello specifico, sono stati utilizzati rinforzi composti da trefoli di acciaio nei giunti di malta e materiali compositi costituiti da polimeri rinforzati con fibra di carbonio (FRP) o da matrice cementizia rinforzata con fibre di basalto (BFRCM).

Inoltre, per valutare l’efficacia delle diverse tecniche di rinforzo al variare della classe della resistenza della malta sono state realizzate due serie di provini, costituiti da campioni con identiche caratteristiche in termini di geometria e tipologia di rinforzo, ma con due diverse tipologie di malta, con lo scopo di riprodurre differenti condizioni di base dell’elemento murario.

I risultati sperimentali prodotti in questa ricerca, unitamente a quelli già disponibili in letteratura, non solo contribuiscono alla definizione del comportamento costitutivo di pilastri murari, ma forniscono anche delle importanti informazioni per proporre dei metodi di calcolo per una razionale progettazione delle tecniche di rinforzo analizzate.

Principali problematiche strutturali dei pilastri murari nell'architettura monumentale e nei ponti storici in muratura

I pilastri murari nell’architettura storica monumentale

Il pilastro e in particolare la colonna muraria è un elemento costruttivo con funzione portante, utilizzata sin dalle prime civiltà per costruire edifici, principalmente di natura religiosa.

Nella storia dell’architettura, la colonna ha avuto un ruolo determinante diventando la base di codici progettuali di edifici attraverso semplici regole utilizzabili da tutti. Ad esempio, a partire dalla del VI secolo a.C., il diametro della colonna determinava il calcolo dell’intero organismo strutturale definendo i multipli da cui calcolare le diverse dimensioni in pianta ed in elevazione.

Come risulta ben noto, generalmente una colonna è costituita da tre parti: la “base”, la parte centrale detta “fusto” e la parte di coronamento del fusto detta “capitello”. L’evoluzione della colonna, in conformità con quella della società e della cultura, ha portato allo sviluppo di diversi ordini architettonici: “ionico” che si è affermato in Asia Minore e in alcune isole del Mare Egeo; “dorico” che si è diffuso nel territorio greco continentale e nelle colonie della Magna Grecia; “corinzio” che ha iniziato ad affermarsi in età ellenistica. A questi tre ordini se ne sono aggiunti altri due: quello “tuscanico”, sobria versione italica dell’ordine dorico, e quello “composito”, frutto di creative combinazioni tra ordine ionico e corinzio.

Anche se con il passare dei secoli, a partire dalla classicità, gli ordini architettonici hanno subito innumerevoli interpretazioni, la loro costante applicazione, al pari delle tipologie spaziali più ricorrenti, sanciscono l'irrinunciabile valore sintattico dell'azione progettuale.

Figura 1 – Esempi di alcune tipologie di pilastri e colonne in muratura in materiale lapideo e laterizi.
Figura 1 – Esempi di alcune tipologie di pilastri e colonne in muratura in materiale lapideo e laterizi.

La distinzione tra pilastro e colonna muraria nell’architettura storica monumentale non è semplice; esistono esempi di fusti con sezione quadrata, rettangolare, poligonale o più complessa, innestati su una base circolare e viceversa fusti con sezione trasversale circolare innestati su basi poligonali.

Nell’architettura monastica, sono stati spesso utilizzati elementi resistenti artificiali (mattoni di argilla) per realizzare pilastri di forme e dimensioni diverse da quella rotonda a quella quadrata, rettangolare o ottagonale, per garantire una rigidezza maggiore nella direzione del lato più lungo rispetto alla possibile inflessione sotto la spinta dell’arco. Nel tempo, sono stati utilizzati anche elementi lapidei opportunamente squadrati e lasciati spesso a faccia vista.

In Figura 1 si riportano alcuni scatti fotografici di alcune tipologie di pilastri e colonne in muratura realizzati sia in materiale lapideo che in mattoni di argilla.

Nell’edilizia moderna dei giorni nostri, l’impiego di tali tipologie strutturali è molto raro. Nei pochi casi del loro utilizzo, si realizzano pilastri in mattoni in cotto con malta, di forma quadrata o rettangolare, a faccia vista o intonacati e senza particolari accorgimenti per la base e il capitello.

I pilastri murari (piloni) nei ponti esistenti ad arco in muratura

Il sinonimo del pilastro, nel caso di elementi resistenti verticali di ponti esistenti in muratura, è pilone o pila o piedritto. Anche i ponti ad arco in muratura risalgono ad un’epoca in cui le conoscenze teoriche sul loro comportamento meccanico erano quasi nulle, tali manufatti sono stati utilizzati per l’attraversamento di fiumi e valli fino all’inizio del secolo scorso. Ormai i ponti in muratura sono associati ad una tecnologia costruttiva del passato e oggi difficilmente possono essere riproposti anche a causa degli elevati costi richiesti dalla loro realizzazione.

In generale, le parti che costituiscono un ponte in muratura sono: l’arcata, che costituisce la struttura che porta il piano percorribile, le strutture di sostegno delle arcate, ovvero spalle e pile, le opere di fondazione, gli elementi posti al di sopra dell’arcata per fornire un piano percorribile (rinfianco e cappa di riempimento) e dai timpani o muri frontali che contengono il riempimento.

L’abbandono nel tempo della loro pratica progettuale, ha fatto sì che la comune cultura ingegneristica dimenticasse i ponti in muratura, le procedure costruttive, i materiali impiegati, le motivazioni di certe soluzioni strutturali piuttosto che altre. Ad oggi lo studio dei ponti in muratura è legato quasi esclusivamente al loro recupero strutturale; molti di tali manufatti hanno sfidato il tempo e sono sopravvissuti fino ai nostri giorni sopportando carici sempre crescenti, impensabili al momento della loro progettazione e realizzazione.

Tuttavia, i numerosi studi teorici e sperimentali presenti in letteratura riguardano principalmente l’arcata e pochi si riferiscono alle pile anche se risulta un elemento strutturale essenziale per la sopravvivenza dello stesso ponte.

I piedritti oltre ad assolvere alle proprie funzioni statice, se fondate nei corsi d’acqua, devono permettere il deflusso dell’acqua sottostante. Le pile mostrano molteplici geometrie (anche se generalmente presentano in pianta una forma rettangolare) per tenere in considerazione svariate esigenze; orografia della valle da attraversare, carichi da sostenere e tecniche costruttive-architettoniche.

Ad esempio, le pile possono presentare dei contrafforti di rinforzo oppure, se sono fondate nei corsi d’acqua, possono presentano dei rostri per ridurre la turbolenza e per deviare il materiale galleggiante trasportato dalla corrente (vedi Figura 2b), e ancora, sempre se fondate nei corsi d’acqua, possono presentare dei fori ad “occhio di ponte” o “finestre di scarico” per favorire il deflusso delle acque in caso di piena.

In merito alle tecniche costruttive si distinguono le pile corte da quelle snelle in funzione della loro altezza. Le pile corte presentano altezza moderata, minore di 12÷15m a partire dallo spiccato della fondazione, hanno normalmente pareti verticali anche se in alcuni casi, per motivi estetici, è stato fatto ricorso a profili curvilinei. Nelle pile snelle, spesso viene ridotta la loro altezza libera mediante l’inserimento di un secondo ordine di arcate (generalmente quando l’altezza della pila supera i 40 m).

Per ponti con un numero elevato di campate, ad intervalli regolari di un certo numero di campate (mediamente ogni quattro o cinque arcate), venivano introdotte le pile-spalle al fine di evitare il crollo totale del ponte nell’ipotesi di collasso di un’arcata. Per ridurre il livello di tensione trasmesso al terreno, nelle pile e quindi a maggior ragione nelle pile-spalla, venivano introdotti dei vani vuoti al fine di diminuire il peso proprio della struttura.

In Figura 2 si riportano due immagini di un ponte che attraversa una valle con pile realizzare in materiale lapideo e di un ponte che attraversa un fiume con pile realizzate in mattoni di argilla.

Figura 2 – Esempi di alcune tipologie di pile da ponte in muratura con materiale lapideo (a) e laterizi (b).
Figura 2 – Esempi di alcune tipologie di pile da ponte in muratura con materiale lapideo (a) e laterizi (b).

In sintesi, anche se risulta molto difficile eseguire una classificazione tipologica delle pile che costituiscono il sostegno verticale dei ponti in muratura, è possibile affermare che le stesse assolvono allo stesso compito delle colonne murarie appartenenti all’architettura storica monumentale che di fatto è quello di assorbire le azioni, prevalentemente verticali, che le vengono trasmesse dalle volte sovrastanti e di raccordare le fondazioni con le arcate.

Pertanto, le considerazioni presentate a seguire, possono essere estese ad entrambe le tipologie strutturali.


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- le principali problematiche strutturali dei pilastri in muratura, alcune tecniche di rinforzo o di riparazione di pilastri in muratura, indagine sperimentale comparativa di colonne murarie rinforzate con frp, bfrcm e trefoli di acciaio, programma sperimentale, caratterizzazione meccanica dei materiali costituenti, i risultati delle indagini sperimentali.

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