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Impianti HVAC per il settore residenziale: tecnologie e integrazione

Il controllo del comfort all’interno di un ambiente è affidato ad impianti aventi il compito di controllare la temperatura, l’umidità e la qualità dell’aria. Alcuni impianti sono in grado di gestire contemporaneamente tutte queste caratteristiche, altri no: l’insieme di tutti questi impianti confluisce nella definizione di sistemi HVAC. Ma quali sono questi sistemi? E quali sono adattabili al settore residenziale? Vediamo di seguito di fare un po’ di chiarezza sul tema.

Con il termine HVAC - Heating, Ventilation & Air Conditioning si intende l’insieme di impianti volti al riscaldamento (H), alla ventilazione (V) e al condizionamento dell’aria (AC).

Questi ultimi, in particolare, hanno l’obiettivo di controllare simultaneamente e mantenere in ambiente delle condizioni confortevoli, non solo in termini di temperature ma anche di umidità, di qualità e di movimentazione dell’aria.

Entrano quindi in gioco elementi impiantistici diversi da quelli degli impianti di solo riscaldamento/raffrescamento, il cui ingombro e caratteristiche devono essere adeguatamente tenuti in considerazione, specialmente negli edifici residenziali, in cui lo spazio a disposizione è limitato ed estremamente prezioso, e i livelli di rumore accettabili sono ridotti.


Classificazione degli impianti HVAC

Vediamo innanzitutto le diverse tipologie disponibili di impianti HVAC, per capirne le differenze.

Una prima classificazione è effettuabile sul tipo di fluido circolante e sul posizionamento delle unità di emissione interne:

  • Impianti ad aria: il fluido circolante è aria, e il terminale di emissione è collocato all’esterno dell’ambiente da climatizzare, a cui è collegato tramite canalizzazioni;
  • Impianti ad acqua: fluido termovettore acqua, con terminale di emissione interno all’ambiente, consentono il solo controllo termico dell’ambiente e non dell’umidità e qualità dell’aria;
  • Impianti misti: in cui l’energia viene fornita sia da terminali posti all’interno dell’ambiente che dalle canalizzazioni, i primi regolano la temperatura, mentre i secondi la qualità dell’aria e l’umidità.

In alternativa è possibile classificarli in base alla tipologia di fluido che alimenta le batterie di scambio termico dei terminali:

  • Impianti a fluido intermedio: il fluido termovettore, in genere acqua o acqua glicolata, esce dal chiller/pompa di calore e alimenta le batterie di scambio contenute nei terminali di emissione, assorbendo/cedendo calore all’aria che attraversa le batterie stesse. In questo modo si crea una separazione tra circuito frigorifero e ambiente.
  • Impianti a espansione diretta: le batterie di scambio dei terminali alimentate dal fluido frigorifero, e in base alla necessita, esse svolgono la funzione di evaporatore o condensatore del circuito stesso. In questo secondo caso, contrariamente a prima, non si ha separazione tra circuito frigorifero e impianto, in quanto i due coincidono.

Un’ultima distinzione può essere fatta in base alla capacità di soddisfare o no, contemporaneamente, i fabbisogni di riscaldamento e raffrescamento (in particolari condizioni, alcune porzioni di edificio potrebbero infatti avere l’esigenza di essere riscaldate mentre altre raffrescate).

Si riassumono di seguito tutte le configurazioni impiantistiche riscontrabili, sulla base dei criteri appena elencati:

  • Impianti a fluido intermedio
    • Impianti ad acqua (terminale all’interno dell’ambiente)
      • Fan-Coil a due tubi;
      • Fan-Coil a quattro tubi; 
      • Pannelli radianti.
    • Impianti ad aria (terminali esterni all’ambiente)
      • Impianti ad aria per singola zona con portata costante o variabile (Variable Air Volume – VAV);
      • Impianti ad aria multizona con portata costante o variabile VAV;
      • Impianti ad aria multizona con portata costante o variabile VAV e post-riscaldamento di zona; 
      • Impianti ad aria a doppio canale con portata costante o variabile VAV.
    • Impianti misti
      • Fan-Coil a due tubi con integrazione aria primaria;
      • Fan-Coil a quattro tubi con integrazione di aria primaria;
      • Travi fredde.
  • Impianti ad espansione diretta (Variable Refrigerant Flow – VRF): 
    • Impianti a gas refrigerante (con terminale in ambiente)
      • Unità ad espansione diretta VRF a due tubi;
      • VRF a recupero di calore.
    • Impianti ad aria (con terminale remoto)
      • Unità ad espansione diretta VRF canalizzabili 
    • Impianti misti 
      • Unità ad espansione diretta e/o VRF a due tubi con integrazione da recuperatori di calore;
      • VRF a recupero di calore con integrazione da recuperatori di calore.

 

Vediamone di seguito nel dettaglio le diverse caratteristiche.


Impianti a fluido intermedio

Come già accennato, questa tipologia di impianti ha un circuito intermedio, percorso dal fluido termovettore, che separa il circuito frigorifero dagli ambienti da climatizzare. Si ha quindi un doppio scambio di calore: in una prima fase, il condensatore/evaporatore del circuito frigorifero scambia il calore (di condensazione/evaporazione) del refrigerante con il fluido termovettore del circuito intermedio, successivamente lo scambio avviene tra fluido termovettore del circuito intermedio e l’aria nell’ambiente da climatizzare, attraverso le batterie di scambio termico poste nei terminali di emissione. Questi impianti possono essere ad acqua, ad aria o misti.

 

Impianti ad acqua

Come precedente accennato, gli impianti ad acqua non consentono il controllo diretto dell’umidità dell’aria e della sua qualità. Necessitano infatti di sistemi ad aria ausiliari per assolvere a queste funzioni, con conseguenti difficoltà di gestione di doppi impianti. Per tali motivi, gli impianti ad acqua saranno presentati brevemente, per completezza di informazione. 

 Negli impianti ad acqua, i terminali sono posti all’interno degli ambiente da climatizzare. Questi possono essere costituiti da un ventilatore che prende aria dall’ambiente, e la invia alla batteria di scambio all’interno del terminale stesso:

  1. Ventilconvettori (o Fan-coil): mobiletti di dimensioni contenute, contenenti ventilatore, batteria di scambio, sezione filtrante e vaschetta di raccolta della condensa, poste sulle pareti verticali poco più in alto del livello del pavimento. Sono in genere applicati nel settore residenziale e nelle strutture ricettive;
  2. Pensili a parete: simili alle unità interne dei sistemi monosplit, sono installati a parete verso il soffitto. Trovano scarsa applicazione perché non hanno alcun vantaggio rispetto i ventilconvettori;
  3. Cassette a soffitto: i terminali sono incassati in un controsoffitto, in modo da lasciare a vista la sola parte inferiore, avente il compito di rilancio dell’aria (molto simili ai diffusori d’aria). Non hanno quindi elementi a vista ingombranti, ma sono più rumorose: trovano infatti applicazione in locali molto estesi, come quelli commerciali.

Siccome gli impianti ad acqua prendono l’aria da trattare direttamente dall’ambiente interno, non hanno la possibilità di rinnovarla con aria esterna: ne consegue che questi siano adatti ad ambienti in cui un minimo ricambio d’aria sia garantito dalle infiltrazioni (come ad esempio le abitazioni).

Ulteriore distinzione è se il sistema è a due o quattro tubi.

 

Impianti a due tubi

In questo caso, i terminali hanno una sola batteria di scambio che funzione sia durante il periodo invernale che estivo. È una soluzione piuttosto economica, ma che consente il solo controllo della temperatura e non dell’umidità relativa. In fase di progettazione è quindi necessario considerare soltanto il carico termico sensibile e non quello latente.

Altri aspetti da tenere in considerazione in fase progettuale, per la scelta del terminale di emissione, sono la rumorosità del ventilatore e dunque la sua velocità, la portata di adduzione dell’acqua, le temperature, le dimensioni, oltre che ovviamente la resa termica. Quest’ultima, in particolare, è molto legata alla temperatura dell’acqua in ingresso: in estate la temperatura dell’acqua deve essere minore della temperatura di rugiada dell’aria in ambiente, in modo da favorirne la deumidificazione; in inverno la temperatura dell’acqua non deve essere invece troppo elevata, per evitare eccessive variazioni di umidità relativa, ma abbastanza elevate da garantire la resa termica.  

 Figura 1 – Impianto a fluido intermedio ad acqua con terminali a due tubi.
Figura 1 – Impianto a fluido intermedio ad acqua con terminali a due tubi.

 

Buone prassi
Valori di riferimento della temperatura dell’acqua in ingresso ai terminali sono:
> 45 °C regime invernale;
> 7 °C regime estivo.

 

Impianti a quattro tubi

Gli impianti a quattro tubi sono in grado di climatizzare in contemporanea ambienti diversi, aventi regolazione diversa e anche carichi termici opposti (in parte riscaldamento e in parte raffrescamento).

In questi casi, il terminale è collegato a due circuiti diversi, nei quali scorre acqua tecnica calda o fredda, generata da due diversi generatori, o da uno solo polivalente. Esistono due tipologie di terminali:

  • Terminali a doppia batteria: la presenza di due batterie comporta delle limitazioni a livello dimensionale. La batteria calda è infatti a unico rango, e ciò implica la necessità di temperature di mandata più elevate di quelle raggiungibili da una pompa di calore funzionante in caldo/freddo. Pertanto, tale configurazione è perseguibile solo nel caso in cui siano presenti due generatori separati, e il generatore per il riscaldamento sia una caldaia;
  • Terminali a singola batteria ad inversione esterna: è la soluzione più semplice, in cui il terminale è collegato a due circuiti tramite due valvole a tre vie on – off, e a due valvole di ritegno, aventi lo scopo di collegare la batteria al circuito richiesto in maniera alternata.

 

 Figura 2 – Impianto a fluido intermedio ad acqua con terminali a quattro tubi.
Figura 2 – Impianto a fluido intermedio ad acqua con terminali a quattro tubi.

 

Queste soluzioni trovano largo uso negli edifici molto vetrati soggetti a varie esposizioni, o con un’estensione in pianta molto ampia (quindi non tanto in edifici residenziali), nei quali è appunto possibile avere, contemporaneamente, richieste di carico di segno opposto.

 

Impianti a pannelli radianti

Tra gli impianti a fluido intermedio si trovano anche gli impianti a pannelli radianti, largamente diffusi durante gli ultimi anni nel settore residenziale (specialmente a pavimento, ma si trovano anche a soffitto o a parete).

Le soluzioni a pavimento, per merito della loro elevata inerzia termica, sono ideali per le residenza principali, occupate per lunghi periodi. La superficie di scambio, molto estesa, consente di utilizzare temperature di mandata del fluido termovettore non troppo alte (riscaldamento) o troppo basse (raffrescamento). Il loro utilizzo in raffrescamento è però da progettare con molta attenzione, perché si potrebbe verificare la formazione di condensa superficiale sul pavimento stesso: bisogna quindi prevedere l’utilizzo di sensori di umidità e deumidificatori di zona.

Le soluzioni a soffitto, sebbene con capacità termica molto inferiore, presentano gli stessi vantaggi e criticità di quelle a pavimento (controllo della temperatura superficiale). Un vantaggio è che, non essendoci ostacoli (arredo) tra soffitto e occupanti, i soffitti radianti ottimizzano lo scambio termico radiativo, con elevati livelli di uniformità e benessere. Più critici, in ambito residenziale, sono i sistemi a parete (anch’essi a bassa inerzia termica). Essi infatti, a causa della presenza di mobili e arredo, lavorano principalmente per convezione e possono generare forti disomogeneità in ambienti medio grandi. Di conseguenza se ne limita l’utilizzo solo in ambienti di ridotte dimensioni.

 

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