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Condono edilizio: cosa succede in caso di modifiche strutturali? Le regole per il completamento ex post

Consiglio di Stato: non è possibile ottenere un condono edilizio se, successivamente alla domanda di sanatoria, si apportano modifiche strutturali all'opera, in quanto gli immobili condonati non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni. In ogni caso, spetta all'interessato dimostrare che l'intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è assolutamente conforme a quello rappresentato nell'istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per l'ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz'altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione.

Se, a seguito della presentazione di un'istanza di condono edilizio ex legge 724/1994 (cd. secondo condono), si realizza una nuova tettoia, diversa da quella oggetto della domanda di condono per materiali utilizzati e volumetria totale, non è possibile ottenere il permesso di costruire in sanatoria.

Con sentenza 2568/2023 dello scorso 10 marzo, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR competente, che aveva avvallato il respingimento, da parte del comune, della domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata per la realizzazione di una “tettoia ad uso artigianale e muro di contenimento in cls e parte in blocchetti di cemento”.

Il TAR ha ritenuto che il diniego di sanatoria fosse legittimo in quanto successivamente alla domanda gli appellanti avevano apportato modifiche strutturali all’opera, realizzando una nuova tettoia delle dimensioni di mq. 650 con altezza pari a ml. 6,00 al colmo e ml. 4,70 e 3,30 in luogo della precedente di mq. 135.

Opera ricostruita o modificata?

Secondo gli appellanti, tali modifiche siano irrilevanti in quanto l’opera non è stata ricostruita ex novo ma solo modificata ed ampliata; in ogni caso, trattandosi di tettoia aperta su tre lati, non costituirebbe un volume ai fini edilizi e non comporterebbe un aumento del carico urbanistico.

Non vi sarebbe, dunque, alcuna trasformazione edilizia ostativa all’approvazione della domanda di condono e l'opera non si porrebbe in contrasto con lo strumento urbanistico, in quanto in relazione alla zona agricola E1 il vigente PRG stabilisce che è possibile realizzare interventi per la costruzione di ricoveri e rimesse per il bestiame, fienili e ricoveri per attrezzi.

Il problema è il compimento dell'opera abusiva

Dalla documentazione in atti - inizia la sua disamina Palazzo Spada - emerge che a seguito della presentazione dell’istanza di condono gli appellanti hanno realizzato una nuova tettoia, diversa da quella oggetto della domanda di condono per materiali utilizzati e volumetria totale.

Ma “la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.” ( C.d.S., Sez. VI, n. 2645 del 24 aprile 2022).

Il Consiglio di Stato osserva che il motivo risiede:

  • da una parte, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento: ciò per la ragione che il condono straordinario ex L. 47/85 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni;
  • d'altra parte c'è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all'amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l'effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

Completamento delle opere dopo la domanda di condono

Di conseguenza, l'art. 35 comma 14 della legge 47/85, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve considerarsi norma di stretta interpretazione, la cui violazione innesta la presunzione che l'immobile oggetto di condono sia stato trasformato in modo tale da non consentire all’amministrazione di determinare in modo preciso la consistenza delle opere oggetto dell’abuso originario.

Spetta allora all'interessato dimostrare che l'intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è assolutamente conforme a quello rappresentato nella istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per la ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz'altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione.

In definitiva, è dunque irrilevante – oltre che infondato – l’assunto dei ricorrenti secondo il quale l’opera non sarebbe nuova rispetto a quella precedente, essendo sufficiente che gli interventi eseguiti abbiano comportato una significativa modificazione dello stato dei luoghi, come avvenuto nel caso di specie.

Il permesso di costruire in sanatoria "condizionato" non esiste

La sentenza prosegue analizzando la questione della cd. sanatoria condizionata, secondo i ricorrenti contemplata nel nostro ordinamento.

In realtà, spiega il Consiglio di Stato, il potere di sanatoria edilizia è un potere tipico ed eccezionale esercitabile dall’amministrazione esclusivamente al ricorrere dei requisiti determinati dalla legge, fra i quali l’ultimazione delle opere entro la data del 31 dicembre 1993 e la presentazione dell’istanza entro il 31 marzo 1995 ed il pagamento di un’oblazione commisurata alla consistenza delle opere (per quel che riguarda il secondo condono edilizio).

Nel caso di specie l’opera è stata ricostruita in epoca successiva alla presentazione dell’istanza e non è oggetto di alcuna domanda di sanatoria edilizia; pertanto l’apposizione di una condizione al provvedimento di sanatoria nei termini prospettati dagli appellanti consentirebbe l’ottenimento del condono in casi non previsti dalla legge e comporterebbe un’elusione dei suddetti requisiti, ponendosi in contrasto con il principio di tipicità del potere in questione.

Tradotto: non è contemplato, nel nostro ordinamento, il permesso di costruire in sanatoria 'condizionato'.

Tettoia o capannone?

Interessante è anche l'analisi del quarto motivo d’appello, col quale si contesta la qualificazione della tettoia come “capannone” e la quantificazione dell’area di sedime da acquisire.

Cambia poco il termine utilizzato, spiega Palazzo Spada: l'opera di cui discute deve essere qualificata come nuova costruzione, in quanto "È corretta la qualificazione come costruzione di un'opera consistente nella realizzazione di una tettoia con travi e pilastri in legno e di vasche in cemento armato, utilizzate rispettivamente come deposito di bancali di legna da ardere e come contenitore di semilavorati in legno e residui di lavorazione. Le caratteristiche strutturali, le ingenti dimensioni e la funzione servente all'attività produttiva rendono le opere, infatti, nettamente diverse da un pergolato".

L'art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia stabilisce che “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.”

Per “area di sedime” - chiude il Consiglio di Stato - in questo caso si intende l’area genericamente “coperta” dalla costruzione, cioè l’area compresa nel perimetro della proiezione a terra della tettoia: ciò per la ragione che anche una tettoia aperta su tre lati crea un ingombro, impedendo, o rendendo difficile, la realizzazione di nuove costruzioni al di sotto di essa.

L’eventuale, ma del tutto presunto, errore compiuto dal Comune, nel qualificare l’opera abusiva quale capannone risulta, pertanto, del tutto ininfluente, poiché comunque l’acquisizione gratuito del sedime non avrebbe potuto essere limitata all’area occupata dai pilastri di sostegno della tettoia.


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Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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