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Fiscalizzazione dell'abuso edilizio: i metodi di calcolo per convertire i volumi in superficie

In una recente sentenza, Palazzo Spada autorizza l'applicazione, per analogia, della regola dei 3/5 (legge 47/1985 - Primo condono edilizio) per quantificare la sanzione ex articolo 34 comma 2 del Testo Unico Edilizia, ritenendolo un "meccanismo preferibile rispetto ad altri"

A volte è possibile 'sanare' un abuso pagando una multa e quindi beneficiare della cosiddetta fiscalizzazione dell'illecito edilizio, al contempo evitando la demolizione.

Ma se la fiscalizzazione è possibile come da art.34 comma 2 del Testo Unico Edilizia, come si calcola correttamente l'importo della sanzione sostitutiva? Un vecchio metodo di calcolo antecedente anche al Testo Unico Edilizia può rietenersi corretto?

A queste domande risponde il Consiglio di Stato nella sentenza 8170/2022 dello scorso 23 settembre, relativa al ricorso di un comune contro una sentenza del Tar Molise che aveva annullato l'ordinanza comunale di ingiunzione di pagamento di sanzione pecuniaria per opere edilizie ritenute non suscettibili di sanatoria e non demolibili.

Fiscalizzazione dell'abuso: il ricorso del comune

Secondo l’appellante, il TAR Molise annulla l’ordinanza impugnata ritenendo non dovuta la sanzione pecuniaria sostitutiva prevista dall’art. 34, co. 2, del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) in mancanza di un esplicito criterio legislativo di quantificazione nonostante la Società ricorrente in primo grado si limiti – con il terzo motivo – a contestare la sola quantificazione della sanzione adottata dal Comune, senza, tuttavia, affermare l’inesistenza del potere/dovere sanzionatorio.

In sostanza, nella prospettiva comunale, la censura accolta dal Giudice di prime cure risulta esclusivamente calibrata sul quantum debeatur con conseguente impossibilità di affermare l’inesistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sanzionatorio.

Fiscalizzazione dell'abuso edilizio in relazione alle maggiori altezze: il calcolo corretto

La sentenza di primo grado ritiene non corretto il metodo seguito dall’Amministrazione (che consiste nella commutazione del volume in superficie con divisione del valore per cinque e moltiplicazione dell’importo per tre, al pari di quanto previsto dalla nota contenuta nella tabella allegata alla L. n. 47/1985) ritenendo non prevista tale ipotesi e impossibile l’applicazione estensiva o mediante interpretazione analogica di previsioni non espressamente richiamate dalla disposizione di cui all’art. 34, co. 2, Testo Unico Edilizia.

Palazzo Spada, in merito, afferma che la disposizione di cui all’art. 34, co. 1, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) prevede che gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire siano rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio.

La misura reale della rimozione o della demolizione costituisce la conseguenza tipica e primaria rispetto alle altre sanzioni che sono deroghe alla previsione generale.

Ciò vale anche per la c.d. fiscalizzazione dell'abuso, prevista dalla regola racchiusa nel secondo comma dell’art. 34 Testo Unico Edilizia e destinata ad operare solo laddove la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.

In tale ipotesi il legislatore intende salvaguardare le opere legittimamente eseguite evitando il pregiudizio che alle stesse deriverebbe dalla demolizione delle parti difformi.

La scelta legislativa non consiste, quindi, nell’abdicare dal sanzionare la difformità ma, al contrario, nel sostituire la misura reale con una sanzione pecuniaria variamente calibrata a seconda dell’uso dell’immobile.

L’ordinamento esige, quindi, una risposta “sanzionatoria non consentendo di deflettere da tale proposito se non in casi espressamente previsti dallo stesso legislatore cui solo compete stabilire, modulare o escludere la pretesa punitiva.

Non è quindi condivisibile la tesi del Giudice di primo grado che, dalla ritenuta insussistenza di regole volte a quantificare la sanzione in caso di incrementi meramente volumetrici, giunge a ritenere non sanzionabili tali ipotesi.

Tale tesi contrasta, infatti, con il dato normativo e con le indicazioni di carattere sistematico sopra esposte atteso che le regole contenute nell’alveo dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) non differenziano a seconda delle tipologie di abuso; inoltre, l’interpretazione del TAR creara una ipotesi di esclusione della sanzione sostitutiva priva di copertura legale e destinata ad operare nonostante l’integrarsi del presupposto operativo della sanzione principale, consistente nella realizzazione di opere in parziale difformità rispetto al titolo.

In sostanza, la tesi del TAR Molise infrange la sequenza tra la fattispecie recante i presupposti di illegittimità e le conseguenze sanzionatorie della stessa dissociando – in difetto di apposita previsione legale – il fatto e gli effetti che ad esso il legislatore riconduce.

La natura e tipologia dell’abuso non può, quindi, determinare l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), né tale soluzione può sostenersi in ragione delle ritenute difficoltà di adeguamento di un sistema calibrato sugli incrementi di superficie ai casi in cui si accerti esclusivamente una maggior cubatura illegittima.

Detto diversamente: la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) consente, comunque, di determinare il trattamento sanzionatorio per ipotesi come quelle all’attenzione del Collegio seppur con necessari adeguamenti imposti dalla peculiarità della fattispecie.

Infatti, la previsione in esame opera un rinvio in senso materiale alla L. n. 392/1978, “riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall'attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane (cfr. Cons. St., St., IV, 12 marzo 2007 n. 1203)”; infatti, sebbene “il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 [sia] ben successivo alla riforma dell'equo canone, [questo non si è adeguato] al nuovo regime ex l. 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell'edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4463).

Pertanto, le regole racchiuse nella legge 392/1978 costituiscono il punto di riferimento necessario per la determinazione della sanzione, secondo una precisa scelta legislativa che, come già spiegato, non può essere elusa con interpretazioni non aderenti a tale dato normativo di riferimento.

La legge 392/1978 determina il costo di produzione in base alla data di edificazione, distinguendo tra gli immobili ultimati entro il 31 dicembre 1975, ai quali si applicano i valori fissi indicati all’art. 14, e gli immobili completati dopo tale data, ai quali soltanto si applicano gli aggiornamenti valoriali individuati con decreti ministeriali (art. 22).

Pertanto la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli artt. 14 e 22 l. 392/1978 e in base alla data di completamento dell'edificazione.

I parametri per la corretta fiscalizzazione

Tali parametri sono calibrati su incrementi di superfici con la conseguente necessità – onde non operare una indebita disapplicazione della regola di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 – di individuare un meccanismo tecnico di “conversione” della volumetria illegittima in superficie al fine di determinare il quantum debeatur (quanto dovuto).

9Nel caso di specie, la soluzione adottata dal Comune è ritenuta “tecnicamente corretta” dalla verificazione eseguita nel giudizio di primo grado. Tale soluzione consiste:

  1. nella definizione del costo unitario di produzione;
  2. nella determinazione della superficie abusiva, calcolata sommando la superficie scaturita dalla conversione del volume abusivo rilevato nel sottotetto con la superficie dei locali garages (poi rideterminata con l’ordinanza n. 24 del 2017);
  3. nella moltiplicazione del costo unitario di produzione per l’intera superficie illegittima.

La conversione del volume in superficie è effettuata dall’Amministrazione moltiplicando la maggiore altezza del fabbricato per la superficie totale del piano sottotetto e determinando la superficie in misura pari a 3/5 del volume, come indicato dalla nota n. 1 della tabella allegata alla L. n. 47/1985.

Nell’operato dell’Amministrazione, questo meccanismo non costituisce propriamente l’applicazione diretta di una regola di diversa natura trattandosi, al contrario, di un mero parametro tecnico, utilizzato al fine di dare applicazione al disposto primario di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 individuando la sanzione dovuta per l’opera in difformità.

Individuata l’esatta natura della regola dei c.d. 3/5 in un parametro di carattere tecnico si osserva come l’uso dello stesso da parte dell’Amministrazione non possa ritenersi né arbitrario né irragionevole.

Infatti, si tratta di un criterio che tempera le conseguenze sanzionatorie che deriverebbero ove si operasse una mera moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi in eccesso; in secondo luogo, si tratta di criterio che consente di “agganciare” le ipotesi di abusi consistenti in incrementi volumetrici alle regole dettate dalla L. n. 392/1978 alla quale la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia.

Quest’ultima notazione - chiude Palazzo Spada - rende preferibile il meccanismo prescelto dall’Amministrazione rispetto alle ulteriori soluzioni sondate dal verificatore.

Alternativa 1: il metodo della moltiplicazione del costo di produzione per i mc in eccesso

Infatti, continua Palazzo Spada, la relazione di verificazione dà atto della sussistenza di due ulteriori metodi.

Il primo è esaminato dalla sentenza n. 3959/2009 del T.A.R. Milano che opera la moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi realizzati in eccesso, senza conversione in superficie.

Tale soluzione non tiene, comunque, conto della differenza tecnica tra volume e superficie e risulta, quindi, meno preferibile rispetto all’elaborazione del Comune appellante che, come già spiegato, tempera le conseguenze sanzionatorie in ragione della diversità tra i due elementi fisici.

Alternativa 2: la riduzione del costo di produzione in misura proporzionale all'altezza

Il meccanismo esaminato, invece, dal TAR Toscana nella sentenza n. 3495/1990 consiste nella riduzione del costo di produzione in misura proporzionale all’altezza illegittima concretamente rilevata partendo dalla misura di metri tre a cui è fissata l’altezza su cui si calcola tale costo.

Questo meccanismo risulta, tuttavia, slegato da dati normativi e, in particolare, dalle regole di cui alla L. n. 392/1978 a cui la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia.

Ma il calcolo migliore è quello della regola dei 3/5

In sostanza, il percorso seguito dal comune è quello più aderente sia alle previsioni legali contenute nella L. n. 392/1978 che alle necessità di tener conto della differenza tra superficie e volume modulando ed attenuando la pretesa punitiva senza, tuttavia, elidere la possibilità di sanzionare l’incremento volumetrico illegittimo che, per le ragioni spiegate, deve ritenersi non consentita dall’ordinamento.

Del resto, la giurisprudenza di Palazzo Spada impone di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5550); affermazione che postula la necessità di non ridurre la determinazione del quantum ad una meccanicistica applicazione di criteri nei casi in cui, per la peculiarità della fattispecie, risulti, invece, necessario un temperamento degli stessi secondo principi di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza.

Principi che, nel caso di specie, si ritiene osservati dal Comune ove si consideri che:

  • i) la “conversione” della volumetria in superficie secondo la proporzione dei 3/5 mira ad adeguare la pretesa sanzionatoria al differente elemento fisico illegittimamente realizzato;
  • ii) la riduzione insita nel criterio dei 3/5 realizza un temperamento della pretesa che tiene conto della diversità tra i due elementi anche sotto il differente incremento di valore che superficie e volumetria realizzano;
  • iii) il criterio dei 3/5 non costituisce indebita applicazione analogica di previsione estranea all’ambito normativo in esame ma, come già evidenziato, un criterio tecnico ragionevolmente utilizzato dall’Amministrazione nell’ambito della propria discrezionalità al fine di “tradurre” nel caso concreto le previsioni di cui alla L. n. 392/1978.

LA SENTENZA 8170/2022 DEL CONSIGLIO DI STATO E' SCARICABILE IN FORMATO PDF PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE

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