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Ristrutturazione edilizia demoricostruttiva: il criterio della continuità costruttiva

Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione che prevedono la demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti, anche con modifiche a sagoma, prospetti, posizione e caratteristiche volumetriche e tipologiche, non è necessario che il nuovo edificio sia una copia esatta del precedente, ma bisogna mantenere una continuità costruttiva con l'immobile originario, ovverosia conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi.

Una ristrutturazione con demolizione e ricostruzione rientra nel novero della ristrutturazione edilizia oppure 'sconfina' nella nuova costruzione? Il limite della 'fedele ricostruzione' è tassativo?

 

Ristrutturazione con demo-ricostruzione: la massima

A queste interessanti domande risponde il Tar Lombardia nella sentenza 1133/2025 del 1° aprile, chiarendo che nella ristrutturazione demoricostruttiva (comprendente interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) il criterio della continuità costruttiva, in termini di riconducibilità all'organismo preesistente (che si sostituisce a quello, più restrittivo, dell’identità dei fabbricanti ante e post intervento), non incontra il limite della "fedele ricostruzione", essendo sufficiente la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi.

 

Il caso: permesso di costruire negato per la ristrutturazione demo-ricostruttiva

Si disquisisce sul diniego di permesso di costruire relativo ad un intervento di ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione, che secondo la società ricorrente rientra nell'ambito dell'art. 3, comma 1, lett. d) del DPR 380/2001, modificato dall'art. 10, comma 1, lett. b) del DL 76/2020.

La ricorrente lamenta che l'intervento proposto non potrebbe essere qualificato come nuova costruzione, trattandosi di modificare un immobile già edificato e in stato di abbandono, con recupero della superficie lorda e la modifica della sagoma e del sedime.

L'intervento in questione, poi, prevedendo la demolizione e ricostruzione di un immobile preesistente sito in area già urbanizzata, non comporterebbe consumo di nuovo suolo. La proposta ristrutturazione neppure sarebbe impedita dalla circostanza che l’edificio risulta situato in area tutelata ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), poiché la rilevanza ostativa del vincolo sarebbe espressamente esclusa dal vigente art. 3 lett. d) del D.P.R. n.380/2001 in relazione a tali specifiche ipotesi.

 

Il tipo di intervento: due nuove distinte unità immobiliari

Per motivare il suo 'no' al ricorso, il TAR parte sottolineando che quanto alle caratteristiche tipologiche e planovolumetriche dell'intervento, in luogo dell'edificio unico preesistente sono ora previste due distinte unità immobiliari costituite da separati corpi di fabbrica a destinazione residenziale, di altezza inferiore di quella originaria, che si presentano completamenti differenti anche dal punto di vista estetico e architettonico rispetto all’immobile oggetto dell’intervento demo-ricostruttivo, oltre che collocati su diversa area di sedime.

 

Quando si 'sconfina' nella nuova costruzione

Quindi, secondo il Collegio, l'intervento in questione non può essere ricondotto alla categoria della ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione, ma deve correttamente essere qualificato come nuova costruzione, attesa la radicale diversità e l'assenza di ogni continuità tra l'immobile preesistente e quelli di nuova realizzazione, che vengono realizzati “senza lasciare alcuna traccia delle preesistenze” (così il provvedimento impugnato) e sono sotto tutti i profili “altro” se confrontati con il fabbricato originario.

 

Legittimità della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione

  1. Rientro nella definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, lett. d), DPR 380/2001)
    Il TAR, quindi, ribadisce che la demolizione e ricostruzione di un edificio può configurarsi come ristrutturazione edilizia, anche senza la necessaria ricostruzione fedele dell'edificio preesistente, purché siano rispettate alcune condizioni:
    • il volume e la superficie dell'intervento devono rispettare gli indici stabiliti dagli strumenti urbanistici;
    • la sagoma può variare, salvo che si tratti di edifici vincolati;
    • la localizzazione può anche essere differente, nei limiti previsti dal PGT o altri strumenti attuativi.
  2. Richiamo alla giurisprudenza consolidata
    Il TAR cita la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, secondo la quale la ristrutturazione edilizia include anche interventi di radicale trasformazione dell’edificio esistente, purché mantengano l'identità urbanistica del manufatto, in termini di:
    • destinazione d’uso compatibile;
    • inserimento nel contesto territoriale;
    • rispetto dei parametri urbanistici (altezza, superficie, volume, distacchi ecc.).
  3. Compatibilità con la normativa comunale (PGT e norme tecniche)
    La sentenza chiarisce che la ristrutturazione con demolizione e ricostruzione è compatibile con le previsioni urbanistiche comunali, anche se non espressamente richiamata, a condizione che:
    • non contrasti con specifici vincoli morfologici, ambientali o volumetrici;
    • rispetti le condizioni di ammissibilità previste dal PGT.

 

Caratteristiche specifiche ammesse per la demo-ricostruzione

  • Ampliamenti:
    L’intervento può comprendere un limitato ampliamento, qualora ammesso dal PGT, e purché resti nei limiti degli indici edificatori consentiti.
  • Traslazione del sedime:
    È possibile traslare il nuovo edificio, ovvero ricostruirlo in una posizione diversa da quella originaria, se non espressamente vietato dalle norme urbanistiche.
  • Modifica della sagoma:
    La nuova costruzione può differire nella sagoma rispetto all'edificio demolito, tranne nei casi di vincolo paesaggistico o storico.
  • Materiali e tipologie costruttive differenti:
    Non è richiesta la fedeltà costruttiva rispetto ai materiali e alla forma preesistente: l’edificio può essere modernizzato anche nel linguaggio architettonico.

 

Il criterio della continuità costruttiva

In definitiva, il TAR evidenzia come il criterio della “continuità” costruttiva e la riconducibilità all’organismo preesistente – che si sostituisce a quello, più restrittivo, dell’identità dei fabbricanti ante e post intervento – assume ancora maggior pregio interpretativo a seguito dell'ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione, “in quanto proprio perché non vi è più il limite della “fedele ricostruzione” si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.

Pertanto, deve ritenersi ancora valido – anche alla luce delle evoluzioni normative sopra tratteggiate – la posizione espressa più volte dalla giurisprudenza secondo cui “per qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente.

 

Niente da fare: questa è una nuova costruzione

Arrivando all'epilogo, si sottolinea come nel caso di specie non sussista alcuna continuità tra il precedente edificio oggetto di demolizione e i due nuovi fabbricati in progetto, che sono sensibilmente diversi sotto ogni profilo - cioè quanto a numero di corpi di fabbrica, volume, sagoma, superficie e diversa area di sedime occupata, caratteristiche planovolumetriche e tipologiche - così da escludere che gli immobili in progetto, quali dovrebbero risultare all’esito dei lavori, siano in qualche misura riconducibili all'edificio precedente.

Tale opera di radicale trasformazione del territorio, pertanto, rappresenta un nuovum oggettivo e si colloca nella categoria della nuova costruzione, come correttamente rilevato dal comune che ha negato il permesso di costruire.

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