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Trasformare un vano tecnico in vano abitabile è veramente un cambio di destinazione d'uso?

In questo articolo viene affrontata la tematica dei cambi di destinazione d'uso rilevanti in edilizia, partendo da una sentenza sul tema che inserisce il passaggio da vano tecnico a unità immobiliare abitabile in questa categoria, passando dall'analisi normativa succedutasi nel tempo e finendo per approfondire le regole del Testo Unico Edilizia in materia.

In questo scritto l’Autrice commenta una recentissima decisione del Consiglio di Stato in merito ad una questione delicatissima e ancor oggi oggetto di contestate interpretazioni: si tratta del cambio di destinazione d’uso.

Nonostante l’intervento del Legislatore, che con l’articolo 23-ter del DPR 380/01 aveva inteso darne una omogenea e indiscutibile interpretazione, potremmo dire - in estrema sintesi – che il Giudice propenda decisamente per un’interpretazione sostanziale più che per quella letterale.

*presentazione di Ermete Dalprato


Una recente sentenza (n. 10062 del 23/11/2023 ) della sesta sezione del Consiglio di Stato stimola la riflessione sul tema piuttosto dibattuto dei cambi di destinazione d’uso.

 

Il caso: da vano tecnico a unità abitabile

Nella fattispecie viene impugnata un’ordinanza di demolizione con cui l’Amministrazione Comunale aveva contestato la realizzazione, il luogo di un vano tecnico preesistente, di una “unità immobiliare con struttura portante in muratura della superficie di mq 118 circa, avente altezza variabile da ml. 1,80 a ml. 2,30, completamente interrata e ubicata al di sotto dell’area di sedime dell’abitazione pre-esistente, con accesso indipendente dall’esterno, composta da: a) stanza massaggi di mq 7,60 con annesso bagno di mq. 3,50; b) stanza vogatori di mq 10,20 con annesso bagno di mq 5,00; stanza pluriuso di mq. 70; d) atrio d’ingresso di mq 4,50; e) locale ripostiglio di mq 4,80; f) corridoio di mq 13,00”.

L’intervento, finalizzato alla trasformazione della “destinazione d’uso” (così si esprime il CdS) in “abitabile”, veniva posto in essere in un’area classificata dalla normativa urbanistica locale quale verde privato vincolato ove sono consentite unicamente opere di restauro e risanamento conservativo degli edifici esistenti.

La pronuncia in trattazione è una delle tante sentenze in cui il diverso utilizzo di un locale viene definito ex se quale intervento di trasformazione della destinazione d’uso.

Di qui l’idea piuttosto diffusa che effettivamente interventi come quelli sopra descritti siano da qualificarsi come mutamenti di destinazione d’uso, spesso arrivando anche a statuire che aumentando il carico urbanistico in essere siano necessariamente soggetti a permesso di costruire.

Va tuttavia evidenziato che sussiste una netta discrasia tra l’interpretazione giurisprudenziale e la normativa edilizia vigente (frutto di una specifica volontà del legislatore di semplificazione e liberalizzazione) in tema di mutamenti della destinazione d’uso.

 

Cambio di destinazione d'uso: cronistoria delle regole

Il Decreto Legge n. 133/2014 (c.d. Sblocca italia convertito con L 164/2014) ha dedicato l’art 17 ad una serie di disposizioni semplificatorie in materia edilizia, inserendo, per quanto ci interessa, l’art 23 ter DPR 380/01 quale disciplina statale dei mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti.

Il legislatore statale ha poi rinviato a quello regionale l’adeguamento della propria normativa ai principi fissati dall’art 23 ter DPR 380/01, pena l’applicazione diretta dello stesso, statuendo che, in assenza di una specifica disposizione legislativa regionale (eventualmente declinata nel dettaglio dalla strumentazione urbanistica locale) il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale sia sempre consentito.

 

I principi del cambio di destinazione d'uso rilevante

I principi fissati dall’articolo precitato possono essere come di seguito riassunti:

  • la destinazione d’uso dell’immobile è l’utilizzo dello stesso, ovvero l’attività che viene esercitata;
  • la destinazione d’uso è quella stabilita dalla documentazione indicata dall'art. 9 bis co. 1 bis DPR 380/01;
  • le categorie funzionali relative alla destinazione d’uso dell’immobile si distinguono in residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale;
  • è mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevate quello generato da un diverso utilizzo dell’immobile con il passaggio da una categoria funzionale ad altra distinta;
  • all’interno di una categoria funzionale vi possono essere diversi utilizzi corrispondenti a sotto-categorie;
  • il mutamento d’uso all’interno della stessa categoria non è urbanisticamente rilevante ma può avere una sua disciplina specifica all’interno della normativa regionale e locale.

Vale la pena di soffermarsi su questi ultimi punti per capire se effettivamente nel caso sottoposto ad esame stiamo trattando, per come è formulata la norma, di un cambio di destinazione d’uso o di altro.

La ragione non è puramente semantica in quanto definire se il diverso utilizzo comporti un cambio di destinazione d’uso ha la sua rilevanza.

La modifica della destinazione d’uso viene infatti richiamata sia nell’ambito del restauro e risanamento conservativo (art. 3 co 1 lett c) DPR 380/01 - intervento soggetto a CILA se non avente rilevanza strutturale), per cui sono consentiti mutamenti delle destinazioni d’uso purché compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’immobile, sia nell’ambito della ristrutturazione edilizia (intervento soggetto quanto meno a SCIA) ove sono consentiti mutamenti di destinazione d’uso anche urbanisticamente rilevati con diversi regimi giuridici (ristrutturazione soggetta a permesso di costruire art. 10 co. 1 lett. c) DPR 380/01) qualora coinvolgano immobili compresi nelle zone A.

Ai sensi dell’art. 32 DPR 380/01 il mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal Dm 1444/68, viene qualificato poi quale variante essenziale al titolo edilizio.

Per come solitamente è strutturata la normativa urbanistica locale, la stessa contiene un richiamo alle macrocategorie previste dall’art. 23 ter DPR 380/01, con l’indicazione di specifiche sotto-categorie (es commerciale: pubblici esercizi, medie strutture di vendita, funzioni sportivo-ricreative ect ect).

Per quanto sopra l’utilizzo all’interno di un’unità immobiliare di un vano in modo diverso da quanto previsto nel titolo abilitativo, seppur incidente sul carico urbanistico, a titolo esemplificativo per il passaggio da superficie accessoria a superficie utile, non è in senso proprio un mutamento della destinazione d’uso.

Tale intervento può essere descritto come diverso utilizzo ma non può essere definito ai sensi dell’art 23 ter DPR 380/01 un mutamento di destinazione d’uso in quanto:

  • non varia la macro categoria di destinazione d’uso che rimane immutata (residenziale);
  • non comporta il passaggio da una sotto-categoria ad un’altra, che del pari rimane immutata.

Seppur il lessico sia importante, specie nell’ambito delle definizioni tecniche, va tuttavia rilevato che la giurisprudenza amministrativa è granitica nell’appellare il diverso utilizzo di vani nell’ambito della medesima categoria funzionale (es trasformazione di garage residenziali in abitazione), specie qualora vi sia aumento di carico urbanistico, quale “mutamento della destinazione d’uso”.

 

Il caso specifico

La sentenza in commento ha il pregio di entrare nel merito della corretta qualificazione giuridica dell’intervento che, vale la pena di ricordarlo, ha comportato la trasformazione di un vano tecnico ( di per sé irrilevante sotto il profilo urbanistico) in un’unità immobiliare autonoma abitabile, in spregio ai requisiti igienico-sanitari previsti per gli ambienti principali.

La tesi del ricorrente muoveva dalla premessa che l’intervento realizzato si qualificasse quale risanamento conservativo di un locale, posto in essere con opere di rilievo solo interno.

Anche successivamente all’intervento il locale, sempre secondo il ricorrente, non mutava la sua qualifica di volume tecnico, in quanto a causa delle sue caratteristiche strutturali, ed in particolare dell’altezza ridotta (che varia da mt. 2,30 nella sola parte limitrofa all’accesso a mt. 1,80 nella parte interna), non sarebbe suscettibile di utilizzazione autonoma, né utilizzabile ai fini residenziali.

Va ricordato che la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di quest’ultima (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 27/11/2017, n. 5516). Per tale ragione, i volumi tecnici sono tendenzialmente esclusi dal calcolo della volumetria

Il Consiglio di stato pone invece in evidenza che le opere contestate hanno permesso di trasformare lo spazio seminterrato da “vano vuoto”, privo di qualsiasi rilevanza urbanistico-edilizia, ad “unità immobiliare” invece rilevante in termini volumetrici ed urbanistici in quanto abitabile e fruibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Consiglio di Stato rileva che la categoria del risanamento conservativo comprende il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio al fine di consentire il recupero dell’edificio esistente, che si vuole conservare (cfr Cons. St., Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523).

Il mutamento della destinazione d’uso (rectius il diverso utilizzo), accompagnato da una risistemazione strutturale interna del volume originariamente non abitabile, risulta invece incompatibile con il concetto di risanamento, che presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio (cfr. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326).

Questo configura, anche per la giurisprudenza penale (cfr. Cassazione penale, sez. III, 14/02/2017, n. 6873), quantomeno un’ipotesi di ristrutturazione edilizia in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. VI, 15/11/2022 n. 9986; Consiglio di Stato sez. VI, 13/07/2022, n. 5907).

Il fatto che i “nuovi locali” non rispettino le altezze di legge necessarie per la destinazione residenziale aggrava la situazione abusiva concretizzatasi, non potendosi certo assumere che, siccome non sono rispettate le altezze, l’allestimento di detto volume non sia destinato alla fruizione umana, incompatibile con quella precedente di mero ricovero degli impianti.

In conclusione ciò che rileva per la realizzazione di un intervento come quello oggetto di sindacato giudiziale non è il mutamento d’uso così come definito dall’art. 23 ter DPR 380/01 ma l’insieme sistematico di opere che hanno consentito un diverso utilizzo dell’immobile con conseguenziale aumento del carico urbanistico, che altro non è che un intervento di ristrutturazione edilizia.


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