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Vendita immobili in assenza di collaudo statico: attenzione, il direttore dei lavori è responsabile!

Il certificato di collaudo statico costituisce uno strumento essenziale per l'utilizzo delle costruzioni e per attestare la conformità e la sicurezza strutturale dell'opera. In assenza di tale documento, l'utilizzazione dell'immobile configura un reato di natura permanente. In una sentenza della Corte di Cassazione n. 10235/2024 vengono identificate le responsabilità in caso di assenza del documento, tra cui quella del direttore dei lavori. Egli è il primo garante della sicurezza e ha l’obbligo giuridico di impedire l’uso dell’edificio prima del collaudo.

Direttore dei lavori e certificato di collaudo: obblighi e conseguenze

Nel campo dell’edilizia, la sicurezza e la garanzia delle prestazioni sono una priorità, non a caso esistono figure professionali preposte proprio a verificare il rispetto dalla conformità progettuale e normativa. In questo campo la figura più importante, in quanto garante dell’esecuzione a regola d’arte dell'intervento, è il direttore dei lavori (DL). Tale figura professionale non si occupa solo di controllare l'andamento dei lavori, ma deve anche garantire che ogni fase della costruzione rispetti le prestazioni richieste e i requisiti di sicurezza durante il futuro utilizzo. Il suo compito del DL si conclude con il rilascio del certificato di collaudo, che conferma come tutto l'intervento sia stato eseguito a regola d’arte e nel rispetto delle disposizioni vigenti.

In assenza del certificato di collaudo statico si configura un reato che non è solo a carico del costruttore e del committente, ma anche del direttore dei lavori. Quest’ultimo deve vietare l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo.

Tale principio viene riportato anche dall’art. 75 del TUE (Testo Unico dell’Edilizia), secondo il quale “chiunque consenta l'utilizzazione delle costruzioni prima del rilascio del certificato di collaudo è punito con l'arresto fino ad un mese o con l'ammenda da 103 a 1032 euro.”

Il certificato di collaudo statico è molto importante, in quanto rappresenta il documento conclusivo che attesta la sicurezza e la conformità strutturale di un edificio o di un’opera. Esso si basa su una serie di verifiche tecniche documentate e approfondite, quali:

  • ispezioni in cantiere;
  • prelievo e test sui campioni dei materiali utilizzati;
  • prove di carico e confronti con il progetto esecutivo.

Essendo il direttore dei lavori, quindi, il primo garante della sicurezza, egli deve vigilare, segnalare e sospendere l’utilizzo del bene in caso di irregolarità nel collaudo. In assenza del certificato di collaudo, non solo l’agibilità non può essere rilasciata e l'opera deve quindi restare inutilizzata, ma le conseguenze legali coinvolgono anche il direttore dei lavori stesso.

Il ruolo del direttore, dunque, non si limita alla supervisione delle fasi costruttive, ma include un controllo attivo sulla procedura di collaudo, con attività di:

  • programmazione delle ispezioni e delle prove di carico;
  • redazione dei verbali di cantiere;
  • redazione della documentazione necessaria per il collaudatore.

Ulteriori chiarimenti in merito alle responsabilità e alle conseguenze in assenza di collaudo arrivano con la sentenza della Corte di Cassazione n. 10235/2024.

  

Il direttore dei lavori risponde anche se non vende

La Corte di Cassazione ha recentemente annullato una sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno chiarendo alcuni aspetti fondamentali relativi ai termini di prescrizione nei reati edilizi e all'equipollenza tra certificato di collaudo e certificato di idoneità statica.

I tre ricorrenti avevano ruoli professionali distinti: due erano amministratori della società costruttrice e uno ricopriva il ruolo di progettista e direttore dei lavori. Essi avevano realizzato un complesso immobiliare in totale difformità dalla concessione di lottizzazione, consentendo l'utilizzo delle costruzioni prima del rilascio del certificato di collaudo, in contrasto con l'art. 75 del Testo Unico Edilizia.

Il reato, per giunta di natura permanente, aveva avuto origine nel 2003, poiché la società aveva completato la vendita degli immobili senza aver ottenuto il certificato di collaudo.
In particolare, le unità immobiliari erano state cedute e messe in uso per l’appunto prima del rilascio della relativa certificazione statica obbligatoria.

La corte di Cassazione ha sottolineato “(…) che il reato di cui all'art. 75 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un'opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall'utilizzazione dell'edificio e, dall'altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all'autorità competente (Fattispecie in tema di prescrizione, in cui la Corte ha precisato che il momento di cessazione della condotta antigiuridica coincide con il momento di dismissione dell'utilizzo dell'immobile ovvero con il collaudo: Sez. 3, n. 1411 del 03/11/2011, dep. 2012, Rv. 251880 - 01; Sez. 3, n. 36095 del 30/06/2016, Rv. 267917 - 01).”

La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato previsto dall’art. 75 del DPR 380/2001 è un reato permanente e si basa su due comportamenti:

  • da un lato, l’uso dell’edificio;
  • dall’altro, il fatto di non aver chiesto il certificato di collaudo.

Il reato continua nel tempo fino a quando si verifica una di queste due situazioni:

  • la dismissione dell'utilizzo dell'immobile;
  • l’ottenimento del certificato di collaudo.

Tuttavia, la Regione Marche, con una legge regionale del 2015 successivamente modificata nel 2028, ha equiparato il certificato di idoneità statica al certificato di collaudo statico. Quindi la sicurezza strutturale degli immobili può essere accertata dal certificato di collaudo statico o dal certificato di idoneità statica. Stabilita l'equipollenza tra i due certificati, la Corte ha dovuto determinare il momento di cessazione della permanenza del reato quando la società aveva ottenuto il certificato di idoneità il 1° settembre 2015, data che segna l’estinzione del reato.

Inoltre, da tale data ha avuto il termine di prescrizione di cinque anni, prorogato di 64 giorni per via dell’emergenza Covid. Il reato risulta quindi prescritto il 4 novembre 2020, cioè antecedente alla sentenza di primo grado del 28 febbraio 2023.

Uno dei punti più rilevanti riguarda la responsabilità del direttore dei lavori, infatti la corte sottolinea che “(…) il reato di cui all'art. 75, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (utilizzazione di un'opera in cemento armato od a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo) è configurabile anche a carico del direttore dei lavori (In motivazione la Corte ha precisato che questi, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all'obbligo specifico di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo: Sez. 3, n. 22291 del 15/02/2011, Rv. 250368 - 01). (…) Come già evidenziato in relazione al motivo che precede, il direttore dei lavori, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all'obbligo specifico di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo. Ne consegue che la sua responsabilità è configurabile a prescindere dalla sua partecipazione attiva alla fase della commercializzazione delle unità immobiliari sprovviste del certificato di collaudo.” Per quanto concerne l’efficacia del reato la Corte dichiara che lo stesso “deve essere dichiarato estinto per prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza.

La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale che riguarda le responsabilità implicite della direzione dei lavori.

Infatti, il direttore dei lavori può essere ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 75 del Testo Unico dell’Edilizia, in quanto i suoi compiti prevedono il dovere di impedire l’uso dell’edificio prima che venga rilasciato il certificato di collaudo.

La sua responsabilità esiste anche se non ha partecipato direttamente alla vendita degli immobili, proprio perché il suo ruolo è a prescindere quello di garantire la sicurezza dell’opera.

In tale contesto è importante chiarire la data di cessazione del reato (dismissione del bene ovvero redazione del certificato di collaudo) per valutare la possibile estinzione per prescrizione dello stesso.

In definitiva, la Corte di Cassazione conferma quindi il principio consolidato secondo cui il direttore dei lavori riveste una posizione di garanzia primaria nell'ambito della sicurezza edilizia. Tale figura professionale, pur non partecipando direttamente alla fase di commercializzazione degli immobili, è comunque penalmente responsabile per il reato di cui all'art. 75 del Testo Unico dell’Edilizia quando consente l'utilizzazione di opere in cemento armato prive del certificato di collaudo. Tale responsabilità deriva dalla sua posizione tecnico-professionale e dal ruolo di controllo che riveste durante l'intero processo costruttivo.

Nel caso specifico, sebbene il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione, la pronuncia ribadisce il fondamentale principio che la responsabilità penale del direttore dei lavori si radica nella violazione dei doveri di controllo e vigilanza che gli sono propri per legge.

Ciò consolida la tutela della sicurezza pubblica, attribuendo al direttore dei lavori un ruolo centrale e insostituibile nella prevenzione dei rischi derivanti dall'utilizzo prematuro di strutture non collaudate.

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