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Abusi edilizi e dilemma del momento della realizzazione: quando un'opera può dirsi completata?

L'opera edilizia può considerarsi ultimata solo col compimento delle rifiniture esterne e interne, quali intonaci o infissi. Inoltre, un intervento edilizio costituisce un completamento di un altro fabbricato se risponde "ad esigenze funzionali all'utilizzazione dell'opera nel suo complesso".

La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti.

Lo ribadisce a 'gran voce' la Corte di Cassazione nella sentenza 42238/2023 dello scorso 17 ottobre, relativa al caso di un abuso edilizio rappresentato da un manufatto edilizio, che secondo i ricorrenti costituirebbe un intervento autonomo, con precisa identità strutturale e funzionale, tanto che, con riguardo al tempo di esecuzione (ed alla conseguente prescrizione del reato), non potrebbe essere assimilato alla pavimentazione in cemento dell'area esterna, di certo successiva ma del tutto indipendente rispetto al fabbricato.

Tale pavimentazione, dunque, rappresenterebbe un'opera nuova, autonomamente apprezzabile e "sganciata strutturalmente" dal preesistente fabbricato.

L'autonomia strutturale e funzionale del manufatto edilizio e il concetto unitario di costruzione

La Cassazione evidenzia che, quanto alla dedotta autonomia - strutturale e funzionale - del manufatto di circa 80 mq (che si presume sia stato realizzato e completato negli anni '90 dal defunto proprietario) rispetto alla pavimentazione in cemento armato (eseguita dai ricorrenti nel corso del 2016), la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti.

In virtù del concetto unitario di costruzione, di conseguenza, si evidenzia che:

  • la stessa può dirsi completata solo ove siano terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio, con l'effetto che la permanenza del reato di costruzione in difetto del permesso di costruire cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte;
  • ai fini del decorso del termine di prescrizione del reato, l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi.

Perchè gli interventi sono collegati

Nel 'nostro' caso, al momento del sopralluogo effettuato nel dicembre 2016, l'immobile interrato, in precedenza costruito, non era ancora ultimato e, pertanto, non poteva ritenersi utilizzabile, necessitando di essere riparato dalle infiltrazioni dell'acqua, quel che aveva giustificato la gettata di cemento armato in corso di realizzazione.

Tale gettata di cemento soddisfaceva dunque una finalità propria del primo manufatto, era annessa a questo ed eseguita in sua esclusiva funzione.

Lo stesso intervento, dunque, costituiva un completamento dell'altro fabbricato e - come ben affermato dalla Corte di appello - "rispondeva ad esigenze funzionali all'utilizzazione dell'opera nel suo complesso".

Pavimentazione esterna in zona tutelata: perché la gettata di cemento non entra nell'edilizia libera

Inoltre, è escluso che la gettata di cemento potesse esser qualificata come intervento di edilizia libera, ai sensi dell'art. 6 comma 1 lett. e-ter del dpr 380/2001 (opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati).

L'opera, infatti, non presentava carattere contingente, temporaneo e movibile, ma - per struttura ed estensione - modificava visibilmente l'assetto urbanistico del territorio: si trattava, in particolare, di un massetto di cemento preliminare alla realizzazione di una pavimentazione interna al manufatto, di complessivi 228 mq., e di una recinzione di cemento alta circa 2 metri.

La motivazione sull'impossibilità di rientrare nell'edilizia libera è figlia - precisa la Cassazione - del fatto che tale regime non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le previsioni indicate nell'incipit della stessa, nel caso di specie con la normativa in materia di tutela del paesaggio.

Per quanto di interesse, quindi, per la pavimentazione di aree esterne in zona vincolata, come nel caso in esame, la stessa non è assoggettata ad alcun titolo abilitativo urbanistico soltanto se sia rispettata la disciplina di cui al d.lgs. 42/2004, che per tali interventi, in quanto potenzialmente incidenti sul paesaggio, richiede di regola la prevista autorizzazione dell'ente preposto (cioè l'autorizzazione paesaggistica).

Non essendo stata ne richiesta ne ottenuta, si configura violazione dell'art. 181 d.lgs. 42/2004, alla luce delle caratteristiche e delle dimensioni dell'opera, con conseguente impossibilità di inserimento dei lavori sulla pavimentazione nel regime di edilizia libera.

Allegati

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