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Calcolo delle altezze e delle distanze in edilizia: quali sono gli edifici circostanti da considerare?

Quando la disciplina edilizia di riferimento individua l'altezza massima delle nuove costruzioni in relazione a quella degli edifici circostanti, devono considerarsi non solo i manufatti preesistenti confinanti ma anche le edificazioni che si trovano in un rapporto di ragionevole prossimità con il sedime oggetto del titolo edilizio.

Quali sono le regole della disciplina sull'altezza massima degli edifici in zona omogenea B, prevista dall’art. 8 del decreto ministeriale 1444/1968? E ancora: per calcolare le distanze tra edifici si può derogare alle disposizioni del DM 1444/1968?

A queste domande risponde il Consiglio di Stato nell'interessante sentenza 3115/2023 dello scorso 27 marzo, relativo al caso di un permesso di costruire per la demolizione di un capannone ad uso produttivo e la costruzione di un nuovo edificio residenziale.

Le rimostranze dei confinanti sulle altezze massime e sulle distanze tra edifici

I ricorrenti, confinanti con l'edificio 'titolare' del permesso di costruire di cui sopra, non avendo ottenuto nulla al TAR, arrivano sino al Consiglio di Stato dove:

  • a) deducono la violazione della disciplina sull’altezza massima degli edifici in zona omogenea B, prevista dall’art. 8 d.m. n. 1444/1968, sotto due distinti profili:
    • a.1) essendo stata superata l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, non essendo a tal fine rilevante il rispetto della previsione dell’art. 22, lett. c) delle NTA, secondo cui l’altezza massima degli edifici nelle zone B1/R residenziali è di 12 metri in caso di nuova edificazione, stante la prevalenza della normativa nazionale di cui all’art. 8 del d.m. n. 1444/1968, che fissa l’altezza massima dei nuovi edifici nelle zone “B” facendo riferimento a quella degli “edifici preesistenti e circostanti”;
    • a.2) ad ogni modo essendo stata superato il limite di altezza di 12 metri, in quanto il locale sottotetto sarebbe in realtà abitabile e dovrebbe pertanto essere calcolato a tali fini;
  • b) lamentano la presunta violazione della disciplina sulle distanze minime fra fabbricati, sostenendo che la stessa andrebbe calcolata non nel rispetto dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 (distanza minima di 10 metri fra pareti finestrate), bensì secondo la diversa previsione dell’art. 3.4.12 del Regolamento locale di igiene, per cui la distanza fra l’edificio erigendo e il fabbricato dei ricorrenti dovrebbe essere maggiore dell’altezza dell’edificio più alto. Ad ogni modo non sarebbe rispettata neanche la distanza prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, a tal fine dovendo considerare anche i balconi aggettanti (della larghezza di circa 1 metro) previsti sulla facciata ovest (ai vari piani) dell’edificio costruendo.

Quali sono gli edifici circostanti?

Palazzo Spada respinge il ricorso ricordando che, per gli edifici siti in zona omogenea B, l’art. 8 d.m. n. 1444/1968 prevede che: “l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiari di cui all’art. 7”.

Al riguardo, per la definizione del concetto di “circostante o limitrofo” rileva la costante giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 settembre 2014, n. 4553; 14 maggio 2014, n. 2469), secondo cui, in applicazione del criterio letterale (privilegiato dall’art. 12 delle preleggi), la locuzione “edifici circostanti” indica lessicalmente gli edifici che si trovano intorno all’area oggetto del permesso, senza a tali fini poter estendere l’area di interesse ad ulteriori concetti come zona o fasce territoriale o comparto.

Ciò nonostante, l’intento di restringere l’area di confronto non può essere portata all’estremo di poter ritenere rilevanti ai fini del calcolo dell’altezza ammissibile i soli edifici confinanti, trattandosi di locuzione di distinto significato oggettivamente riferibile ad un ambito più circoscritto.

In ragione di ciò, possono fungere da parametro ex art. 8 d.m. n. 1444/1968 le costruzioni (almeno tre), di altezza pari o superiore a quella di 12 metri, che, sebbene non confinanti con il terreno interessato dall’erigendo edificio, insistano nell’area circostante, comunque circoscritta e non eccessivamente estesa.

In definitiva, è inammissibile la censura fondata sul carattere di abitabilità del locale sottotetto, essa fondandosi su una congettura, ossia sull’ipotesi della mera futura possibilità di adibire ad abitazione il locale lavatoio.

E le distanze? Si applica sempre il DM 1444/1968

Anche la censura afferente al mancato rispetto della normativa sulle distanze tra edifici è infondata, secondo il Consiglio di Stato.

E' infatti irrilevante, nel particolare caso di specie, l’invocata disciplina di cui all’art. 3.4.12 del Regolamento locale di igiene, trattandosi di norma non sempre cogente (indicativo al riguardo è l’utilizzo dell’espressione “di regola”, contenuta nell’art. 3.4.12) e finalizzata a rimuovere eventuali “ostacoli all’aeroilluminazione”, che, nella presente fattispecie, tuttavia non si ravvisano.

Quella che va applicata è quindi la disciplina di cui all’art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che prescrive, per i nuovi edifici, la distanza minima assoluta di dieci metri tra le pareti finestrate e pareti di edifici antistanti,

Per costante giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1670), la funzione della norma è quella di assicurare che fra edifici frontistanti non si creino intercapedini dannose per la salubrità, in quanto tali da non permettere un adeguato afflusso di aria e di luce, essendo quindi volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie.

Peraltro, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare, perpendicolare ed ortogonale, in quanto, come detto, lo scopo perseguito dal legislatore è quello di evitare le intercapedini dannose (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1993, n. 7048).

Come correttamente rilevato dal primo giudice, risulta quindi determinante l’avvenuta presentazione da parte della società proprietaria dell'edificio della SCIA del 2015 con cui si prevedeva l’eliminazione dei balconi in aggetto collocati nel lato sud-ovest.

La censura deve quindi ritenersi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che i quattro balconi eliminati sono situati nella porzione di facciata direttamente fronteggiante l’edificio dei ricorrenti, non potendo rilevare ai fini della persistenza dell’interesse la presenza dei due rimanenti balconi nella porzione di parete non in diretta corrispondenza con la parete dell’edificio dei ricorrenti.

Le massime della sentenza

Allorquando la disciplina edilizia di riferimento individui l’altezza massima delle nuove costruzioni in relazione a quella degli edifici circostanti, deve aversi riguardo non solo ai manufatti preesistenti confinanti ma anche alle edificazioni che si trovano in un rapporto di ragionevole prossimità con il sedime oggetto del titolo edilizio, con il limite che il giudizio di comparazione non può estendersi all’intera zona o fascia territoriale o comparto nel cui ambito il sedime è ubicato.

Nel caso di specie, possono fungere da parametro ex art. 8 d.m. n. 1444/1968 le tre costruzioni, di altezza pari o superiore a quella di 12 metri, che, benchè non confinanti con il terreno interessato dall’erigendo edificio, insistevano nell’area circostante, comunque circoscritta e non eccessivamente estesa.


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