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Abusi edilizi e Testo Unico Edilizia: l'opera si valuta nella globalità, vietate le frammentazioni

La verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico.

Quando il comune deve valutare un intervento abusivo per determinare se è legale o abusivo, non può limitarsi sulle singole opere che compongono il 'tutto' ma deve dotarsi di una visione complessiva e non atomistica dell'intervento stesso, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.

Gli abusi conclamati

Questo principio, molto importante per capire il senso 'repressivo' delle norme del Testo Unico Edilizia, viene ribadito nella sentenza 1734/2023 dello scorso 20 febbraio del Consiglio di Stato, relativa al ricorso contro l'ingiunizione di demolizione impartita da un comune - e confermata dal TAR competente - per una serie di manufatti abusivi realizzati senza permesso di costruire e senza autorizzazione paesaggistica, in zona agricola E1 del territorio comunale e precisamente:

  • sala ristorante di mq 47,39 annessa alla attività turistico-ricettiva “Agriturismo Villa Maria”, previa trasformazione dello spazio destinato a pergolato in legno e cannucce;
  • stanza con annesso servizio igienico di 12,64 mq;
  • apposizione, sull’area esterna antistante le camere, di una pavimentazione in gres, in difformità da quanto prescritto dall’autorizzazione edilizia precedente;
  • ampliamento di superficie e di volume del vano posto al piano terra dell’immobile principale;
  • realizzazione di un viottolo pavimentato con calcestruzzo cementizio di collegamento tra l’agriturismo e la strada comunale pedonale.

Secondo i ricorrenti, il Comune:

  • non aveva valutato la possibilità di assentire in sanatoria gli abusi che, comunque, non necessitavano di permesso di costruire, in quanto non erano tali da stravolgere l’assetto territoriale di riferimento;
  • aveva errato nel ricondurre le opere sanzionate all’art. 31 d.P.R. n. 380/2001 ed aveva irrogato una sanzione unica senza tenere in debito conto le relative differenze.

Si trattava, inoltre, di abusi minori soggetti al regime semplificato della DIA (oggi SCIA) e sanzionabili con la sola misura pecuniaria.

L'autorizzazione edilizia e l'ordinanza di demolizione

Il Consiglio di Stato inizia subito osservando quanto era stato assentito dalla licenza edilizia del giugno 2003 e quali interventi erano stati contestati come abusivi dal comune, evidenziando una netta discrepanza.

Infatti, l'autorizzazione ha ad oggetto, fermo restando la superficie e la volumetria concessa, i seguenti lavori in variante: 

  • diversa distribuzione interna degli ambienti;
  • pavimentazione in pietrame dell’area (aia) antistante l’immobile e del terrazzo di copertura; posa in opera di ringhiera in ferro pieno;
  • rotazione verso sud della rampa d’ingresso dalla via comunale;
  • realizzazione di quattro archi in facciata per inglobare gli sporti dei cornicioni esistenti;
  • rivestimento esterno dell’ex vasca irrigua con pietrame calcareo in continuazione delle macere esistenti;
  • realizzazione di un pergolato con pali di castagno sul terrazzo e a lato della cucina;
  • realizzazione di condotta fognaria interrata;
  • tutti i lavori di rifinitura nelle more delle prescrizioni già date nella concessione.

Gli interventi contestati con l’ordinanza impugnata (vedi sopra) non trovano quindi titolo nella predetta autorizzazione edilizia.

La visione globale dell'abuso edilizio

Quanto alla supposta natura minore di taluni abusi, la prospettazione di parte appellante non considera che la valutazione dell’abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell’intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.

Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l’amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l’intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.

In questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha ribadito che la verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. Cons. St., sez. VI, 06/06/2012, n. 3330).

Di eguale tenore la recente giurisprudenza penale, secondo cui: “non è ammessa la possibilità di frazionare i singoli interventi edilizi difformi al fine di dedurre la loro autonoma rilevanza, ma occorre verificare l’ammissibilità e la legalità alla luce della normativa vigente, dell’intervento complessivo realizzato” (Cass. pen., sez. III, 18/01/2017, n. 8885).

In definitiva, eve trovare integrale conferma la valutazione del TAR, laddove ha ritenuto che il Comune ha fatto corretta applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001, sanzionando con la demolizione interventi edilizi di rilevante consistenza ed idonei a modificare l’assetto territoriale di riferimento.

Non si è trattato, quindi, di abusi “minori”, sanzionabili in via solo pecuniaria, né tanto meno di interventi rientranti nell’art. 6, comma 2, lett. a) e lett. b) D.P.R. n. 380/01, ma di opere idonee a creare aumento di volumi e superfici e, per di più, collocati in zona gravata da vincolo paesaggistico ambientale.

L'istanza di accertamento di conformità non rende inefficace l'ordine di demolizione

Infine, Palazzo Spada ricorda che la presentazione di una istanza di accertamento di conformità non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso.

In materia edilizia, la legge 47/1985 (per come richiamata dalle successive leggi sul condono del 1994 e del 2003) ha previsto che la presentazione della domanda di condono – nei casi ivi previsti ed in presenza dei relativi presupposti – determina la cessazione degli effetti dei precedenti atti sanzionatori.

Ma qui siamo nel campo della sanatoria 'ordinaria': quando è proposta una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del dpr 380/2001, si verifica invece una sospensione dell’efficacia dell’ordine di demolizione (nel senso che questo non può essere portato ad esecuzione, finché non vi sia stata la definizione della domanda, con atto espresso o mediante il silenzio-rigetto), sicché nel caso di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr. Cons. St., sez. VI, 6/06/2018, n. 3417).


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Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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