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I protocolli del Biophilic Design: una scienza applicata per creare salute e benessere negli spazi costruiti

Il Biophilic Design è una prassi progettuale che mira a ristabilire il nostro legame ancestrale con la Natura negli spazi costruiti per garantire la salute e il benessere degli utenti. Questo articolo propone una panoramica sulle origini di questa disciplina e sui protocolli biofili riconosciuti dalla comunità scientifica, strumenti chiave per superare un approccio puramente intuitivo e colmare il divario tra teoria e pratica e per applicare correttamente i principi biofili nella progettazione.

Il nostro bisogno di Natura negli ambienti costruiti

Biophilic Design: una scienza applicata

La progettazione biofila, più nota con il termine inglese Biophilic Design, è una disciplina relativamente recente. L’obiettivo del Biophilic Design è di realizzare ambienti artificiali inserendo nei progetti le caratteristiche e strutture presenti in Natura che hanno permesso alla nostra specie di sopravvivere.

Fino a qualche anno fa, era conosciuta solo da un numero ristretto di esperti e, soprattutto in Italia, resta tuttora poco diffusa. Non di rado il Biophilic Design viene percepito come una tendenza o una moda momentanea, emersa soprattutto in risposta alla pandemia e al diffuso “bisogno di Natura” espresso da molte persone durante i mesi di confinamento. Spesso, inoltre, viene riduttivamente interpretato come una pratica che si limita a portare la vegetazione sulle facciate, sui tetti o all’interno degli edifici, trascurandone la reale profondità teorica e la ricchezza progettuale.

Invece, si tratta di una scienza applicata fondata su solide evidenze scientifiche, che sta diventando una disciplina sempre più riconosciuta e integrata nella progettazione a livello internazionale.

 

Un sapere antico, una pratica contemporanea

In realtà, ciò che oggi definiamo Biophilic Design è, in una certa misura, sempre esistito: per secoli l’uomo ha costruito i suoi rifugi utilizzando materiali locali e vivendo in stretta relazione con i ritmi e le risorse della Natura. L’ambiente costruito era il riflesso diretto del contesto naturale e culturale, e il legame con la terra, il clima e il paesaggio era parte integrante dell’abitare.

Questa antica connessione con il mondo naturale, tipica delle comunità del passato e della tradizione vernacolare, è stata a lungo dimenticata. Oggi viene riscoperta e reinterpretata in chiave contemporanea, con il supporto di conoscenze scientifiche multi- e interdisciplinari e di nuovi strumenti progettuali.

 

Il punto di partenza: l’ipotesi della biofilia

La disciplina del Biophilic Design nasce alla fine del secolo scorso e affonda le sue radici nel concetto di biofilia, che è la combinazione di due parole del greco antico: bios (βίος) che significa "vita» o "vivente»; philia (φιλία) che significa “amore” o “affinità”. La parola viene coniata per la prima volta dallo psicologo tedesco Erich Fromm che la interpreta come l'amore appassionato per la vita e per tutto quello che è vivo (Fromm, 1964). Vent’anni dopo, nel 1984, il biologo statunitense Edward O. Wilson (Università di Harvard), indipendentemente dalle teorie di Fromm, nel suo libro Biophilia riconosce che gli esseri umani possiedono un’innata attrazione per tutto ciò che è vivo e per la Natura (Wilson, 1984).

Secondo Wilson la biofilia è “l'innata tendenza a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente” (Wilson, 2002).

 

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE: Biophilic Design: migliora l’apprendimento a scuola e rinforza il sentimento di affiliazione con la Natura

 

La biofilia e la storia evoluzionistica umana

Per Wilson, l’inclinazione biofila è frutto dell’evoluzione umana. Per millenni, la sopravvivenza dei nostri antenati è dipesa da una profonda familiarità con gli ambienti naturali. La capacità di riconoscere segnali vitali nei paesaggi naturali - principalmente nella savana africana - come la presenza di acqua, la varietà della vegetazione, la disponibilità di rifugi sicuri e fonti di cibo, diede alla nostra specie un chiaro vantaggio per la sopravvivenza. Questa familiarità con la Natura ha plasmato non solo i nostri comportamenti, ma anche la nostra percezione e il nostro benessere psicofisico.

Ancora oggi, nonostante viviamo in ambienti costruiti e tecnologicamente avanzati, il nostro cervello continua a rispondere positivamente a molti stimoli naturali. Numerosi studi hanno dimostrato che il contatto con la Natura può ridurre lo stress (Ulrich, 1984), rigenerare la nostra attenzione diretta dopo una fatica mentale (Kaplan, 1995), rafforzare le funzioni cognitive e apportare numerosi altri benefici. La biofilia, quindi, rappresenta un’eredità evolutiva che resta attiva e influente, anche nel contesto urbano contemporaneo.

 

Un cervello “primordiale” a disagio nel mondo moderno

Oggi più della metà della popolazione mondiale vive nei grandi agglomerati urbani; è una tendenza ormai inarrestabile.

Le città sono luoghi spesso caotici, rumorosi, densamente popolati, privi di riferimenti naturali dove dominano i ritmi frenetici, il cemento, l’asfalto e l’inquinamento atmosferico. Negli spazi costruiti i riferimenti naturali sono scarsi o del tutto assenti, il contatto con la Natura è ridotto a elementi decorativi o frammentari. Le moderne città, progettate nel nome della funzionalità, l’efficienza e la velocità, raramente tengono conto dei bisogni biologici ed emotivi degli esseri umani, contribuendo all’aumento di fenomeni come lo stress, l’ansia e la disconnessione sensoriale.

Questo contrasto tra il nostro patrimonio evolutivo e l’ambiente moderno crea una dissonanza e un conflitto profondo che il cervello umano fatica a gestire perché è stato programmato per rispondere positivamente agli stimoli naturali: la presenza di luce solare, colori presenti in Natura, forme organiche, suoni rilassanti come il cinguettio degli uccelli o l’acqua che scorre. Quando questi elementi mancano o sono sostituiti da stimoli artificiali – luci fluorescenti, rumori assordanti, spazi chiusi e monotoni – il nostro sistema nervoso simpatico si attiva in modalitàstress, generando una serie di reazioni fisiologiche che, se prolungate, possono compromettere la salute mentale e fisica.

La riduzione della capacità di attenzione, l’aumento di irritabilità e stanchezza sono solo alcune delle conseguenze di questa disconnessione dalla Natura. A livello cognitivo, la mancanza di stimoli naturali riduce la capacità di concentrazione e di recupero mentale dopo sforzi intellettivi prolungati, incidendo anche sulla produttività e sulla creatività.

 

Ambienti in linea con l’innata biofilia: tradurre la biofilia in prassi progettuale

Il Biophilic Design nasce proprio per colmare questo divario tra il nostro cervello “antico” e il mondo odierno creato dall’essere umano per altri esseri umani, integrando negli spazi costruiti elementi e principi naturali che risvegliano in noi una risposta positiva e rigenerativa in linea con la nostra innata biofilia. Attraverso l’uso consapevole di luce naturale, vegetazione, materiali naturali, superfici poco trattate e con caratteristiche tattili di qualità, elementi che ci incuriosiscono e ci invitano alla scoperta, forme e colori ispirati alla Natura, e moltissimi altri aspetti e soluzioni, si può influenzare positivamente la salute e il senso di benessere generale delle persone.

Non si tratta di una risposta estetica o filosofica, ma di un approccio scientifico e sistematico che riconosce la biofilia come una chiave essenziale per progettare ambienti più sani, umani e sostenibili.

 

Le origini del dibattito intorno alla progettazione biofila

L’ipotesi della biofilia (Kellert & Wilson, 1993) ha generato un ampio dibattito accademico e multidisciplinare intorno a Edward O. Wilson, arricchito dai contributi dell’ecologo Stephen R. Kellert (Università di Yale) e dagli studi del geografo Jay Appleton, dell’architetto e storico dell’architettura Grant Hildebrand, degli psicologi Judith Heerwagen, Rachel e Stephen Kaplan, Roger Ulrich e dell’ontologo ed ecologista Gordon H. Orians.

La curiosità verso gli spazi costruiti nacque dal fatto che già numerose evidenze scientifiche dimostravano come l’esposizione alla Natura producesse molteplici benefici per la salute e il benessere umano; di conseguenza, ci si è chiesti perché non portare questi elementi positivi anche negli ambienti costruiti. In questo contesto, Hildebrand fu uno dei primi a suggerire che le proprietà biofile dovessero essere estese all’ambiente progettato.

Fu Kellert a coniare il termine ‘Biophilic Design’ nel libro Building for Life. Designing and Understanding the Human-Nature Connection (Kellert, 2005).

 

Dare vita agli edifici: la teoria, scienza e pratica del Biophilic Design

Il simposio Bringing Buildings to Life: The Theory, Science and Practice of Biophilic Building Design (in italiano: “Dare vita agli edifici: Teoria, Scienza e Pratica della Progettazione di Edifici Biofili”), organizzato da Stephen R. Kellert e Martin Mador a Rhode Island (USA) nel 2006, diede una significativa spinta al dibattito intorno alla disciplina progettuale del Biophilic Design. Kellert riunì 40 pensatori di fama internazionale per discutere su come tradurre la biofilia nell’ambito dell’interior design e dell’architettura.

Alcuni dei partecipanti al simposio contribuirono poi alla stesura del libro Biophilic Design: The Theory, Science, and Practice of Bringing Buildings to Life edito da Kellert, Heerwagen e Mador nel 2008 che divenne il testo base della disciplina da cui presero l’avvio tutti i successi studi di questa materia.

 

Un ponte tra il nostro passato evoluzionistico e il presente/futuro della progettazione

Il Biophilic Design si propone a tutti gli effetti come un ponte tra il nostro passato evoluzionistico e il presente/futuro della progettazione: si tratta di uno strumento per riconnettere l’essere umano con l’ambiente naturale negli ambienti costruiti e nelle città in modo consapevole, sistematico e scientificamente fondato.

In un’epoca in cui nel mondo occidentale tante persone trascorrono fino al 90% del proprio tempo in spazi chiusi - al punto da essere definiti la ‘generazione indoor’ - e in cui le giovani generazioni vivono sempre più distaccate dalla Natura, questa riconnessione diventa non solo auspicabile, ma davvero urgente. La crescente diffusione di fenomeni come l’ecoansia (= ansia legata alla crisi climatica e al futuro del pianeta) e la solastalgia (= disagio emotivo causato dalla perdita o dal degrado dell’ambiente naturale familiare), che riflettono il disagio emotivo causato dal degrado ambientale e dall’allontanamento dai luoghi naturali, sottolinea il bisogno profondo di ripensare il modo in cui progettiamo gli spazi in cui viviamo, lavoriamo, guariamo, giochiamo, riposiamo e studiamo.

 

Strumenti e metodi per applicare il Biophilic Design

I protocolli, metodi, elementi, modelli, attributi e temi del Biophilic Design

Diversi sono i protocolli, metodi ed elenchi di elementi, modelli, attributi e temi del Biophilic Design elaborati a partire dal 2001. Essi sono il risultato di studi, esperienze e punti di partenza differenti tra di loro, ma spesso compatibili e complementari. Conoscerli è fondamentale per orientarsi nella complessità della disciplina e per applicarla in modo concreto ed efficace, superando approcci semplificati e per lo più intuitivi. Nei prossimi paragrafi verranno presentati i principali riferimenti teorici e operativi che costituiscono oggi la base metodologica del Biophilic Design.

Approfondire questi riferimenti significa dotarsi di strumenti operativi affidabili, in grado di guidare progettisti, pianificatori, amministratori e committenti verso scelte più consapevoli e coerenti con importanti obiettivi di salute e benessere, in linea con strategie di sostenibilità consolidate. Solo attraverso una buona conoscenza dei principi che sottendono al Biophilic Design possiamo contribuire a trasformare gli spazi del quotidiano in ambienti realmente rigenerativi per le persone.

 

Biophilic Buildings (2001)

La psicologa ambientale Judith Heerwagen e la consulente Betty Hase tentarono per prime a sistematizzare alcune regole per la traduzione della biofilia in una prassi progettuale per creare quello che le autrici chiamarono biophilic buildings, ossia edifici biofili.

In uno studio pubblicato nel 2001, collegano ventiquattro attributi e qualità naturali a otto dimensioni chiave (Heerwagen & Hase, 2001) (Figura 1). Questo primo tentativo di definire alcune caratteristiche degli edifici biofili fornisce già preziose indicazioni su alcune tematiche che successivamente vengono approfondite e arricchite da altri ricercatori.

 

Primo framework di Biophilic Design
Figura 1 – Il primo framework di Biophilic Design - Heerwagen, J.H., Hase B., 2001. Building Biophilia: Connecting People to Nature in Building Design. (Journal of Environmental Design & Construction)

  

Gli elementi del Biophilic Design di Stephen R. Kellert (2005)

L’ecologo Stephen R. Kellert è stato uno dei principali teorici e promotori del Biophilic Design. Nel 2005 ha contribuito a definirne le basi scientifiche, identificando una serie di elementi e principi progettuali che favoriscono la connessione con la Natura negli ambienti costruiti. Il suo lavoro ha trasformato la progettazione biofila da intuizione a disciplina applicata. Nel suo libro Building for Life. Designing and Understanding the Human-Nature Connection del 2005 Kellert rielabora e amplia il primo framework provvisorio di Heerwagen e Hase, introducendo il concetto di ‘elementi’.

Nel lavoro di Kellert si percepisce chiaramente la prospettiva di un ecologo più che quella di un architetto: l'approccio privilegia il legame Uomo-Natura, prima ancora della forma e della materia dell’architettura.

 

72 attributi del Biophilic Design di Stephen R. Kellert (2008)

Kellert studia per lunghi anni gli effetti della Natura sull’uomo, contribuendo insieme al biologo Edward O. Wilson a definire l’ipotesi della biofilia. Egli cerca di coniugare le sue competenze di ecologo con la progettazione di ambienti rigenerativi. Anche per questo motivo riunisce intorno a sé psicologi ambientali e architetti. Con la consapevolezza della crescente disconnessione dell’essere umano dal mondo naturale e delle conseguenze sulla salute fisica e psicologica, Kellert si pose come obiettivo la riconnessione delle persone con la Natura, permettendo loro di beneficiarne anche senza allontanarsi dagli ambienti costruiti.

Queste ricerche culminano nel primo capitolo del libro Biophilic Design: The Theory, Science, and Practice of Bringing Buildings to Life del 2008 nel quale Kellert propone un’interpretazione sistematica del design biofilo. Il framework che ne scaturisce diventa il punto di riferimento per qualsiasi studio successivo nell’ambito del Biophilic Design (Figura 2).

Kellert riconosce due dimensioni del Biophilic Design: la prima è una dimensione naturalistica, ispirata alla biofilia che si è affermata geneticamente durante il periodo del Paleolitico; la seconda è una dimensione vernacolare, che si è sviluppata dopo il periodo del Neolitico.

A queste due dimensioni del Biophilic Design Kellert collega sei elementi:

  • Caratteristiche ambientali
  • Figure e forme naturali
  • Modelli e processi naturali
  • Luce e spazio
  • Relazioni con il luogo
  • Relazioni evolutive tra Uomo-Natura.

All’interno di questi sei elementi, Kellert identifica settantadue attributi del Biophilic Design. Questi attributi sono strategie progettuali pensate per migliorare il benessere fisico, emotivo e cognitivo delle persone.

Il modello di Kellert offre quindi una prima struttura solida e articolata, che permette di passare da un approccio intuitivo a uno scientifico e consapevole, in grado di guidare architetti, designer e pianificatori urbani verso una nuova visione della progettazione.

 

72 attributi del Biophilic Design - Kellert, S.R. (2008). Dimensions, Elements and Attributes of Biophilic Design.
Figura 2 – 72 attributi del Biophilic Design - Kellert, S.R. (2008). Dimensions, Elements and Attributes of Biophilic Design. In Biophilic Design, Kellert, S., Heerwagen, J., Mador, P. (eds). John Wiley & Sons, Hoboken, NJ, pp. 3-19. (traduzione di Bettina Bolten)

   

L'ARTICOLO CONTINUA NEL PDF IN ALLEGATO...

 

Nel pdf si continua parlando di:

  • Le tre categorie degli edifici biofili di Jenifer Seal Cramer e William Dee Browning (2008)
  • I 15 pattern di Terrapin Bright Green (2014 e 2020)
  • I 24 attributi di Stephen Kellert ed Elisabeth Calabrese (2015)
  • Natura nella progettazione di Kellert (2018)
  • I 10 temi del Biophilic Design di Bettina Bolten e Giuseppe Barbiero (2020, 2023)
  • Il credito pilota 106 Biofilia di Green Building Council Italia (2024)

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